Da Skam al cinema, ora in teatro, presto il ritorno in una fiction con la divisa da Carabiniere. «Credo di avere un difetto che forse è anche la mia fortuna: non mi sentirò mai arrivato»

Elia Santini è diventato adulto e torna al primo amore, il teatro. Francesco Centorame, nato nel 1996 a Montesilvano in provincia di Pescara, ha smesso i panni del protagonista di SKAM 5, serie Netflix amatissima fra gli adolescenti, e calca le tavole del palcoscenico in una sala prove del Trullo, borgata di pasoliniana memoria, punteggiata da murales colorati e da cantieri grigi che a Roma non finiscono mai. La commedia si intitola “Lei”, scritta da Federico Maria Giansanti e diretta da Riccardo D’Alessandro che è anche produttore, e andrà in scena all’Off Off Theatre di Roma dal 19 al 22 gennaio, con ulteriori date e piazze da definire.

Cosa racconta questo spettacolo e a chi si rivolge?
«È la storia di tre amici e coinquilini alle prese con la precarietà quotidiana: io interpreto Claudio, regista che sta per diventare padre. Poi ci sono Renato (Andrea Lintozzi) e Lorenzo (Riccardo Alemanni), attori anche sulla scena. I ritmi sono serrati e c’è il filo conduttore della musica con brani di Anna Oxa, Lucio Dalla, Patty Pravo e, ovviamente, Charles Aznavour con Lei. Ci rivolgiamo a un pubblico di under 30 e per il futuro vorremmo trasformare il testo in una sceneggiatura per il grande schermo. Prima, però, dobbiamo conquistare le platee».

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In questi mesi si divide fra prove e set in giro per l’Italia. La sua precarietà di attore è solo un ricordo?
«Credo di avere un difetto che forse è anche la mia fortuna: non mi sentirò mai arrivato. Sono grato al personaggio di Marco Carrera a cui ho dato volto ne Il colibrì, film di Francesca Archibugi tratto dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi. Abbiamo molto in comune. Nella serie tv Il maresciallo Fenoglio, di prossima programmazione su Rai1, interpreto Carlo Montemurro un giovane carabiniere che studia informatica e non sa ancora cosa farà da grande. Rapportandosi con i suoi superiori capirà molte cose. Lavorare con Alessio Boni ha fatto la differenza: lui viene dalla scuola di Orazio Costa Giovangigli, grande regista e pedagogo teatrale che ho studiato nel mio percorso formativo. Ma è stata anche una formidabile occasione per lavorare sul corpo, su un certo tipo di fisicità. Il carabiniere è sempre dritto, sempre pronto, sempre in ascolto. Ecco, l’ascolto è un elemento su cui mi piace soffermarmi».

Essere attore significa usare di volta in volta delle maschere. Come ha imparato a gestirle?
«Nel mio caso la teatroterapia è stata salvifica. Il teatro ti obbliga a vivere il momento. Fin da bambino soffrivo di ansia e attacchi di panico, problemi acutizzati dalla separazione dei miei genitori. Non riuscivo neppure a dire ciao a qualcuno. Alle scuole medie il professore di lettere, Americo Carissimo, piazzava il mio banco accanto alla porta in modo da avere una via di fuga. Seguivo la lezione guardando i suoi occhi. A un certo punto ho capito che potevo farcela. Combattevo la timidezza giocando a pallone nel ruolo di esterno alto d’attacco. Per correre e per recitare serve fiato. E anche per cantare: ho avuto una cover band di Mannarino, miseramente fallita. Detto questo, ogni giorno cerco di prendermi dieci minuti per respirare, sentire l’aria che entra e che esce dal corpo. E porto sempre con me un’armonica: mi piace come tutti gli strumenti a fiato ma è più pratica di un sax. Suonarla è un modo per condividere uno stato emotivo».

Si sta allenando anche come papà di Leonardo che ha poco più di due anni?
«Lo osservo molto nella sua meravigliosa capacità di perdersi in quello che fa. Invento storie per lui, imito i versi degli animali, mangiamo con la tovaglia sul pavimento. Grazie a lui ho riscoperto gli odori, compreso quello del caffè. So bene che devo dargli delle regole perché la disciplina è importante, nel lavoro come nella vita. Ma poi rientra in gioco l’ansia e divento permissivo. Per fortuna c’è la mamma (Valentina Salvagno, anche lei nel mondo dello spettacolo, ndr) che si dedica a Leonardo quasi a tempo pieno. Sicuramente la paternità mi ha regalato l’imprevedibilità in una quotidianità scandita da ritmi serrati. Con lui ho riscoperto la magia della semplicità che ti aiuta a scrollarti di dosso la paura del giudizio».

Che posto occupa l’amore nella sua vita?
«Credo che l’amicizia sia la vera forma di amore perché al suo interno non si insinua il possesso che spesso, erroneamente, scambiamo per amore. Possesso e amore sono due cose diverse. Molto diverse. Nella vita di coppia non riesco a dire ‘ti amo’, ci vedo della pigrizia. Dire ‘ti amo’ equivale a non dire tante altre cose».