In molti lo conoscono per Cetto La Qualunque e altri personaggi inconfondibili. Adesso una nuova folgorazione: la regia di opere liriche. «È stato un colpo di fulmine. Trovo il melodramma una forma d’arte all’avanguardia»

Antonio Albanese è uno dei pochissimi attori in Italia, forse l’unico, ad avere così tante vene artistiche. È un comico straordinario, creatore di personaggi senza tempo. È un raffinato attore drammatico, un talentuoso regista cinematografico e teatrale, un ballerino sopraffino e uno scrittore (sì, ha scritto anche dei libri). Com’è possibile avere tutte queste abilità?

 

Sa fare tutto, gli dico appena me lo vedo apparire in videochiamata.
«Io non faccio tutto. Semplicemente faccio il mio lavoro. Sono un attore, e per fare l’attore bisogna pensare, osservare. E questo vuol dire scrivere. Fare l’attore implica la conoscenza del proprio corpo, il sapersi muovere, essere in grado anche di ballare, e ballare è musica. Fare l’attore vuol dire comunicare, immaginare, prendere delle decisioni: dunque anche dirigere».

 

Non mi stupirei se mi dicesse che sa anche disegnare.
«No, sono negato, e ci soffro perché sono un vero appassionato di pittura, di disegni in particolare. Mi piace credere di essere uno dei massimi esperti di George Grosz».

 

Lei è anche un motivo di speranza per chi crede che la vita non sia già scritta nelle pagine di un destino. Figlio di operai, a quindici anni entra in una piccola azienda come tornitore. A ventidue anni lascia il certo per l’incerto e fa delle scelte che la porteranno al successo.
«Da bambino nessuno mi ha aperto delle finestre per farmi scrutare un universo al di fuori di quello che conoscevo, familiare, piccolo. Eppure, grazie a un gruppo di amici, grazie a una passione debordante, a molti sacrifici e rinunce, sono riuscito a costruire un solido trampolino di lancio. Una volta a Milano, città alla quale devo tutto, ho seguito dei corsi serali di teatro. Poi ho fatto la “Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi” e da lì ho cominciato a fare cabaret… mi pagavano subito, e visto le mie condizioni economiche di allora mi faceva molto comodo».

 

Chi è stato a scoprirla?
«Giampiero Solari insieme a Paolo Rossi, mi notarono una sera in un locale. Rossi aveva bisogno di aiutanti, di una spalla nel suo programma televisivo “Su la testa”, e così mi chiese di lavorare con lui. Eravamo a Baggio, dentro un tendone, in un quartiere periferico di Milano. La ricordo come un’esperienza illuminante, capii che mi trovavo nel posto giusto. Da lì poi c’è stato l’incontro con la Gialappa’s Band, che mi chiamò per “Mai dire gol”, quindi mi ha visto Mazzacurati per il cinema e così via, ora non mi pare il caso di declamare il curriculum (ride)».

 

Se dovessi scrivere qui tutto quello che ha fatto l’elenco sarebbe lunghissimo. Parliamo invece di quello che accadrà nel 2023, che mi pare già tanto.
«Si apre un anno molto particolare per me. Un anno dove farò tutto quello che amo fare. Le spiego: ora esce al cinema un bellissimo film di Riccardo Milani, “Grazie ragazzi”, dove interpreto un regista squattrinato che si ritrova a dirigere un corso di teatro all’interno di un carcere di sicurezza. Allo stesso tempo dovrò spostarmi in Sardegna per realizzare la regia di “Gloria”, un’opera lirica semi-sconosciuta di Francesco Cilea, che il 10 febbraio inaugurerà la stagione del Teatro Lirico di Cagliari. Poi, dal 23 al 26 febbraio, sarò al Teatro degli Arcimboldi di Milano con tutti i miei personaggi. Maschere che ho costruito nel tempo, con minuzia, attenzione ossessiva, precisione, osservazione…non sa quanto ci tengo ai miei personaggi! Io sono molto più protettivo nei loro confronti che nei confronti della mia immagine. Le faccio un esempio: io non ho social. Non ho tempo. Anni fa c’era uno che aveva aperto un canale con la faccia di Cetto La Qualunque, il mio imprenditore-politico calabrese depravato e corrotto; ci guadagnava addirittura qualche soldino. Mi sono arrabbiato e l’ho fatto chiudere. I miei personaggi non si toccano! Adesso, sempre su Instagram, c’è un tizio che usa la mia di faccia, con più di centomila contatti. Beh, non mi importa. Mi dispiace solo per chi crede che sia io».

 

In effetti è strano, ci si aspetterebbe il contrario! Vorrei però tornare all’Opera lirica, che mi incuriosisce molto. Come ha cominciato a fare il regista per i maggiori teatri lirici d’Italia?
«Fare l’attore comico è uno dei mestieri più difficili. Prevede istinto, tecnica, scrittura, abilità motorie, forte espressività, senso del ritmo, ascolto. Se ho tutte queste capacità, come credo di avere, perché non dovrei essere capace di dirigere dei cantanti lirici? E mi ci diverto parecchio. A loro spesso dico: meglio non fare nulla che troppo. Non dovete essere eccessivamente entusiasti! Eliminate la fisicità barricata».

 

Barricata?
«Sì, come il vino barricato, vecchio! Ho cominciato grazie a Stéphane Lissner, che a quei tempi era il sovrintendente e direttore artistico del Teatro alla Scala di Milano. È stato lui ha propormi la regia di “Le convenienze ed inconvenienze teatrali” di Donizetti. Da lì l’occasione con l’Arena di Verona, per la quale misi in scena, sempre di Donizetti, il Don Pasquale. Quello con la lirica è stato un incontro folgorante. Trovo il melodramma una forma d’arte all’avanguardia. E poi, non sai che meraviglia stare in mezzo a un’orchestra. Travolto dalla musica, da voci splendide. Questa sulla quale sto lavorando ormai da mesi è una sfida meravigliosa. È stata rappresentata per la prima volta nel 1907 alla Scala di Milano diretta da Arturo Toscanini, poi a Napoli nel 1938, e poi se ne sono perse le tracce fino al 1969, quando venne trasmessa alla radio per la prima volta. Insomma, nessuno oggi può dire di aver mai visto “Gloria” in teatro. E io sarò il primo a metterla in scena dopo oltre ottant’anni».

 

E tra le tante cose ha in programma anche la regia di un suo film?
«Assolutamente sì. Dopo l’estate uscirà un lungometraggio che si intitola “Cento domeniche”. Mi sta molto a cuore; l’ho girato nella fabbrica dove ho lavorato da bimbo. Ma non dico di più, è ancora presto».

 

Mi sta raccontando una vita in discesa. Non ha mai avuto momenti difficili, ripensamenti, paure?
«Le rispondo con un poco di imbarazzo. La verità è che da quando ho cominciato a lavorare non ho avuto momenti difficili da affrontare. Certo, ho rinunciato a molti progetti anche importanti, ma non mi sono mai pentito. Sono un perfezionista, ogni mia scelta è stata ponderata con estrema attenzione. Ho avuto anche la fortuna di incontrare artisti di valore che mi hanno dato tanto, tra i quali Vincenzo Cerami, Michele Serra, Stefano Benni, Giampiero Solari e tanti altri. Diciamolo, sono un uomo anche molto fortunato».

 

Cosa pensa del nuovo governo?
«Io sto alla politica come Polifemo sta allo strabismo, quindi difficilmente ne parlo, ma di certo una cosa posso dirla: durante queste ultime elezioni politiche non ho mai sentito pronunciare la parola cultura. E questo è vergognoso».