La serie “The Crown”, il film da Oscar “The Queen”, il documentario “Royal Family”: esperimenti audaci e rappresentazioni tradizionali

«Uneasy lies the head that wears the Crown», a disagio riposa la testa che indossa la Corona, scriveva William Shakespeare nell’Enrico IV. Ed Elisabetta II nei suoi settant’anni di regno è riuscita a far percepire tutto il peso e l’onore che per lei ha rappresentato diventare il simbolo del regno, quello stesso onere che aveva consumato in fretta la vita del padre Giorgio VI, succeduto al trono dopo la tanto discussa abdicazione di Edoardo VIII.

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Negli ultimi anni è diventata la regina dai colori pastello e dei meme su Twitter, tentativi ironici e affettuosi di avvicinare a sé una sovrana amata ben al di là della Gran Bretagna e del Commonwealth. È dal 1947 però che Elisabetta II, allora ancora principessa, ha fatto il suo ingresso nell’immaginario collettivo, dal solenne discorso alla nazione per i suoi 21 anni, e da quel momento non ne è mai uscita.

Le apparizioni storiche
Sullo sfondo di una grande tenuta a Città del Capo (Sudafrica), Elisabetta è seduta a un tavolino, vestita di bianco e con un doppio filo di perle mentre giura fedeltà eterna al suo popolo. Al microfono di fronte a sé pronuncia parole storiche: «Dichiaro davanti a voi tutti che tutta la mia vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale a cui tutti apparteniamo» e le fotografie della BBC iniziano a scolpire l’immagine della monarca devota che Elisabetta II porterà sempre addosso, anche contro la sua stessa famiglia.

La successiva incoronazione del giugno 1953 segna la sovrapposizione definitiva fra la donna e l’istituzione: da quel momento Lilibet (vezzeggiativo usato da padre e oggi ripreso dal nipote Harry per la sua secondogenita) svanisce ed Elizabeth diventa effigie della Corona stessa.

 

Nel corso di sette decenni di regno, la vita della regina e della famiglia reale rimane trincerata dietro le mura di Buckingham Palace, incrementando la curiosità morbosa dei sudditi e non solo. È Filippo, Duca di Edimburgo e Principe consorte ad avere l’idea, a fine anni Sessanta, di aprire le porte del Palazzo alle telecamere della televisione nazionale. Il documentario “Royal Family” va in onda nel 1969 e per la prima volta mostra i Windsor in situazioni quotidiane, una famiglia noiosa e ordinaria, straordinariamente privilegiata. L’effetto-BBC del primo discorso radiofonico non solo non si ripete, ma si ribalta, incrinando il ritratto perfetto e immutabile della regina. «Essere troppo normali era pericoloso come essere troppo diversi», è con queste parole che “Royal Family” viene bandito da Buckingham Palace, tanto da essere ancora oggi irrecuperabile nella sua interezza.

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Se il documentario è stato il più grande fallimento dell’operazione di normalizzazione dei Reali, negli anni ci sono stati invece almeno due momenti privati di indiscutibile valore pubblico: il funerale di Diana Spencer e quello del Principe Filippo. La regina che cammina in abito e cappello nero fra le centinaia di biglietti e fiori lasciati davanti al cancello del palazzo reale per la Principessa del Galles è la fotografia di un intero decennio, seconda soltanto a quella di William e Harry dietro il feretro. Il suo impatto è tale da diventare una delle sequenze più importanti del film The Queen” (2006), in cui Helen Mirren, premio Oscar per questo ruolo, interpreta la sovrana.

Elisabetta II scavalca, così, facilmente il confine tra realtà e narrazione, diventando una figura da raccontare, un personaggio da sviluppare. Ed è lei stessa, con incredibile autoironia, a suggellare la sovrapposizione di questi due livelli di rappresentazione, accettando di partecipare alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra nel 2012 attraverso il cortometraggio di Danny Boyle intitolato “Happy & Glorious”. Interpreta sé stessa, accompagnata dai suoi amati corgi e da Daniel Craig nei panni di James Bond. I suoi due universi immaginifici si fondono in un’unica icona immortale.

Le maggiori rappresentazioni nello spettacolo
Le potenzialità dello storytelling su Elisabetta II, anche in quanto figura storica di un Novecento postbellico, spaziano su diversi fronti. L’esperimento più audace da questo punto di vista è il piccolo film “Una notte con la regina” di Julian Jarrold (2015), diventato un piccolo cult fra gli amanti della Corona. Prova infatti a immaginare una giovane Elisabetta durante la notte dell’8 maggio 1945, dopo l’annuncio della vittoria inglese nella seconda guerra mondiale. È una notte di festa, di gioia e normalità, di scoperte e di carezze segrete con un uomo che non sarà mai il suo consorte. Ma trattare la Regina come un personaggio vuol dire anche prendersi la libertà di immaginarlo.

 

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Un’operazione simile e molto più dettagliata la fa anche “The Crown”, la nota serie Netflix di Peter Morgan, che dal 2016 a oggi ha riacceso l’interesse del mondo dello spettacolo per Buckingham Palace, intrecciando storia, testimonianze e ricostruzioni di fantasia. Dagli occhi azzurri di Claire Foy a quelli castani di Olivia Colman, fino al nuovo volto di Imelda Staunton che ancora deve debuttare nella quinta stagione, quella della Regina diventa una maschera da indossare, un fardello da accogliere e restituire a un pubblico che non sa e non vuole lasciarla andare.