La risposta in un saggio tratto da un ebook de L’Espresso. Che mostra come culture distanti, quella araba e quella cristiana, abbiano radici comuni: in Africa

Le costruzioni protese verso l’alto punteggiano la storia: dalla Torre di Babele ai moderni grattacieli. Questi due esempi, pur lontani nel tempo e nello spazio, hanno in comune una caratteristica: sono monumenti dell’uomo per l’uomo, a riprova delle proprie capacità, in una sfida senza limiti. Puramente religioso era invece lo scopo degli obelischi egizi connessi al culto solare, la cui città sacra nella Bibbia è citata come On e dai greci detta Eliopolis. Si trovava vicino all’attuale capitale egiziana e, proprio per costruire il Cairo, furono utilizzati i copiosi materiali rimasti nel sito. Di forma quadrangolare e dalla punta a piramide ricoperta da metalli per riflettere la luce, furono gli obelischi a contendersi il titolo della costruzione più alta (e più sottile), a partire dal III millennio a.C. Ma, come vedremo, la corsa a toccare le nuvole è ancora molto attuale.

 

Gli imperatori romani trasportarono diversi obelischi in Italia; ma non si trattava di fede religiosa: servivano a dare prestigio alla capitale e a sottolineare la conquista del paese più ricco del Mediterraneo. Oggi ne esistono più a Roma che al Cairo: ben tredici, che fanno ormai parte del panorama urbano caratterizzando le piazze principali. Altri furono donati dall’Egitto agli Stati Uniti, a Parigi e a Londra e si è scelto proprio un obelisco come monumento in onore di George Washington nella capitale degli Usa che porta il suo nome: una costruzione dalle tante vicissitudini che quando fu terminata, nel 1888, vantava il titolo della più alta al mondo (fu sorpassata, poco dopo, dalla Tour Eiffel).

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Sarebbero dunque questi i precursori più elevati dei minareti islamici e dei campanili cristiani; ma ci sono altri antenati, molto meno conosciuti e straordinari nel loro genere: le stele di Axum in Etiopia. Una di esse si trovava a Roma fino a qualche anno fa, a piazza di Porta Capena, dove era stata innalzata nel 1937 davanti all’allora Ministero delle Colonie. Axum era la capitale di un impero che conobbe una grande fioritura nei primi secoli dopo Cristo, a controllo delle rotte commerciali tra il mar Rosso e l’Africa centrale. Le stele erano opere dalla simbologia ancora oggetto di discussione tra gli studiosi. Osservate nei particolari, sembrano gli antesignani anche dei grattacieli; rivelando infatti superfici con ritmi orizzontali di sporgenze e rientranze, sembrano indicare tanti appartamenti uno sull’altro, con i dettagli delle finestre e delle porte con battenti (qualcuno ha avanzato l’ipotesi che possano rappresentare i vari gradi dell’elevazione dell’anima).  Finalità a parte, sono state sempre considerate espressione dell’alto grado tecnologico raggiunto dalla comunità che le ha realizzate. Erano infatti ricavate da un unico blocco di granito e si ergevano per oltre venti metri. Tuttora, nel Parco archeologico di Axum, si può vedere a terra, ridotto in pezzi, l’esemplare più grande: sfiorava i 30 metri e pesava 517 tonnellate.

 

Anche i campanili cristiani e i minareti islamici guardano in alto e, pur nella diversa rappresentanza religiosa, hanno caratteristiche comuni: l’esistenza ultramillenaria, la continuità d’uso e la contiguità a edifici sacri, chiese e moschee. Se condividono con gli esempi precedenti l’elevazione, sempre più progressiva, a fare da prototipo sono state sicuramente le torri, soprattutto quelle di difesa: lungo mura urbiche o in luoghi strategici, così come si trovavano sia lungo il Mediterraneo, sia nelle regioni iraniche fino all’India. Per i minareti è stata avanzata un’altra ipotesi: la derivazione dal Faro di Alessandria, ancora in funzione nel Medioevo e importante punto di riferimento per i naviganti. E infatti il nome arabo manarah, significa proprio “faro”. Ricorda, fra gli altri, questo celebre monumento il minareto di Kairouan, in Tunisia. A pianta quadrata, come la maggior parte di questi edifici, è composto da piani decrescenti, con feritoie. Furono i califfi Omayadi, che governarono l’impero islamico dal 661 al 750, a introdurre nel Maghreb i minareti-torre a pianta quadrata costruiti in mattoni, che sono rimasti i più diffusi. Ma in Persia e nel Turkestan i primi esempi erano ottagonali, e di forma cilindrica quelli iracheni.  Col tempo, furono coronati da cupole dorate, tappezzati di ceramiche multicolori, abbelliti da finestre con ricche cornici, e apparivano a coppie, ai lati del portale della moschea, o quattro, agli angoli dei cortil. Un esempio particolare si trova a Jam, in Afghanistan. Ha una struttura circolare ed è famoso per la decorazione che evidenzia le incisioni con disegni geometrici e versetti del Corano. Si trova in una zona brulla, circondato da alte montagne. È andata distrutta la moschea vicino alla quale si ergeva con i suoi 65 metri, in un centro residenziale della dinastia dei Ghuridi, che tra il XII e il XIII secolo controllava non solo l’Afghanistan, ma vaste zone dell’Iran, del Pakistan e dell’India settentrionale. È stato il primo monumento afghano a entrare nel Patrimonio Unesco.

 

Nelle grandi città, gli alti minareti delle moschee hanno contribuito, e contribuiscono, alla definizione urbanistica dei luoghi; pensiamo a Santa Sofia di Istanbul, e alla modernissima moschea costruita da re Hassan II a Casablanca, in Marocco, inaugurata nel 1993 con il minareto finora più alto del mondo, ben 210 metri. È la stessa corsa al record da esibire, che continua a riguardare gli skyscrapers: i grattacieli. Nei secoli passati la spettacolarità degli edifici sacri musulmani era invece affidata all’architettura e alla decorazione delle moschee. Un esempio per tutti è proprio la moschea di Kairouan. Estesa per 9000 mq, ha avuto una vita piuttosto travagliata. Dal 670 fino all’836 fu distrutta e ricostruita tre volte. A sorprendere è il cortile con le sue gallerie, scandito da oltre 400 colonne in marmo bianco, granito e porfido, provenienti dai resti della Cartagine romana.

 

Altre colonne, fornite sempre dall’antica Cartagine, si trovano nella moschea di Testur. Questa città, impiantata su un precedente abitato romano, fu abbandonata nel Medioevo. Nel XVI secolo tornò a nuova vita, con l’arrivo di ebrei e musulmani fuggiti dalla Spagna dopo la “reconquista” cristiana. Le diverse culture degli abitanti che la popolarono si riflettono sia nell’aspetto del minareto, che sembra un campanile, sia nella presenza di due stelle di David incise sulla torre: un esempio di convivenza pacifica, di lavoro comune, di tradizioni rispettate, che ancora riecheggiano nel malouf, la musica tipica tunisina che unisce assonanze arabe e andaluse.

 

Come dai minareti il muezzin fa sentire la sua voce per invitare i fedeli alla preghiera, i campanili fungono da richiamo per i devoti cristiani. Per questo tipo di architettura l’origine risale sempre alle torri militari e all’inizio non c’erano le campane. Sin dalla prime erezioni di chiese, si diffusero torri in coppia, cilindriche o quadrate, solo per dare rilievo all’ingresso e alle facciate, come avancorpi. Per l’introduzione delle campane abbiamo una data precisa: nel 561 Gregorio di Tours ne attesta l’uso su una torretta. La diffusione è però attribuita all’esempio di papa Stefano II nell’VIII secolo, che ne sistemò tre nel campanile della prima basilica di S. Pietro a Roma.

 

Da torre di sorveglianza e appello religioso, la costruzione dei campanili è stata in seguito affidata ad architetti e artisti celebri. Pensiamo al campanile di Giotto a Firenze o a quello della basilica di S. Marco a Venezia, di particolare pregio artistico e architettonico. La presenza di questi monumenti, legata a tante singole storie locali, è così diffusa da aver fatto definire l’Italia come il “Paese dei campanili”. E campanilismo è definito il legame al luogo natio e alle sue tradizioni. Il significato positivo del termine ha finito però con l’assumerne un altro negativo. L’amore di campanile diventa così sinonimo di grettezza e faziosità e i rintocchi, in questo caso, suonano a vuoto.