“Quel libro mi mostrò l’arte della fuga, ma anche della sopravvivenza”

C’è un Pesce-cane per ogni età. Ognuno di noi ne ha fatto esperienza, e più volte, nel corso di una vita. C’è un Pesce-cane quando si è bambini, e uno quando si è adulti, e un altro ancora, da vecchi. È un animale terribile, grosso come una montagna o una casa di cinque piani, l’Attila dei pesci e dei pescatori, e viene a spargere la desolazione nelle nostre acque. A camminarci dentro, si affondano i piedi in pozzanghere grasse e sdrucciolone, il buio è spaventoso. Ognuno di noi conosce l’odore di quel pozzo, la vischiosità delle sue pareti. Il mio Pesce-cane, da bambino, era la vergogna. E dopo, la paura. Fu la lettura di Pinocchio a rivelarmi che se ne poteva guarire. Perché anche i Pesce-cani soffrono d’asma e quando respirano pare che soffi la tramontana. A volte, si addormentano: è in quel momento che se ne può scappare, a nuoto o sul dorso di un tonno con una voce di chitarra scordata.

 

Quel libro mi insegnò l’arte della fuga, ma anche della sopravvivenza. E questa fu una lezione persino più utile. Ho sempre portato con me l’immagine del vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o di panna montata, che nel ventre del Pesce-cane ci viveva. Aveva trovato un modo per adattarsi. Una tavola di legno da apparecchiare, una candela stearica infilata nel collo di una bottiglia di cristallo verde, tutti oggetti di scarto, rimediati dal relitto di qualche bastimento mercantile. Cassette di stagno con i viveri, conserve di carne, crostarelli di pane, un po’ di uva secca, di caffè, di zucchero. Quel poco che serve per andare avanti. Perché Pinocchio è un grande libro sui naufragi, e se è vero che ci ripetiamo per tutta la vita le storie imparate nell’infanzia, la mia è questa. Ma allora non potevo sapere che cinquant’anni dopo, quando un’ondata inattesa ci avrebbe piombato tutti in una stanza, avrei sentito con tanta forza il bisogno di raccontare la realtà di questo esperto di misantropia ma anche di evasione, mastro Geppetto, il primo falegname della mia coscienza. Per me è ancora lui, con il suo desiderio inestinguibile di mettersi in viaggio con una marionetta e la sua consuetudine secolare al rapporto tra costrizione e libertà, a mostrarci come si fa, anche nei nostri tempi chiusi e delusi, a restare liberi in un carcere cieco e a sognarci sani e salvi fino alla spiaggia.