La crisi della democrazia nutre la diffidenza e il sospetto di poteri oscuri, manipolatori. E tutto questo è il frutto di una comunità spezzata

Non c’è evento inatteso che non provochi un fremito di diffidenza: disastri ambientali, attacchi terroristici, migrazioni inarrestabili, tracolli economici, conflitti esplosivi, rovesci politici. Tra stupore e indignazione, esplode il panico, cresce la febbre complottista. Chi c’è dietro? Chi tira le fila? Chi ha ordito quella trama? Si cercano i colpevoli di catastrofi, povertà, guerre, disuguaglianze, ma anche dei mille soprusi e abusi, della mancanza di etica, del malessere diffuso, dell’infinita perdita di senso.


Il complottismo è la via più semplice e rapida per venire a capo di un mondo ormai illeggibile. Svelare, smascherare, demistificare – l’onnipotenza esplicativa del complotto non lascia dietro sé misteri irrisolti o enigmi indecifrati. Quel che non trovava risposta si spiega infine grazie all’evidenza del complotto. Ecco la soluzione. Nel mondo uscito dall’ombra, è possibile distinguere nitidamente bianco e nero, luce e buio, bene e male. Il prisma del complotto restituisce un rassicurante scenario rigidamente manicheo.


Sarebbe perciò un errore considerarlo la bizzarria di frange isolate, un tormentone della subcultura, il residuo di una mentalità prelogica o un’ostinata superstizione. Se le narrazioni complottistiche vantano un enorme successo, se influiscono profondamente sull’opinione pubblica, è perché condividono esigenze correnti e mobilitano aspirazioni comuni.


Fenomeno dei margini, ma tutt’altro che marginale, il complottismo coinvolge coloro che si sentono vittime del caos presente e del futuro angoscioso, condannati a una frustrante impotenza, ridotti a semplici comparse nei «giochi della politica». Perciò la tentazione complottista, se prima era amatoriale, adesso ha dimensioni di massa e appare sempre più un ordinario modo di essere, di pensare, di agire.

 


Le linee interpretative sono per lo più due: il complottismo viene visto o come una patologia psichica oppure come un’anomalia logica. Nel primo caso si risale ai recessi oscuri della mente, dove una cricca di microscopici neuroni tenderebbe infinite trappole al pensiero spingendolo ad assecondare una disposizione innata. Nel secondo si giunge invece alla logica degli enunciati complottistici, cioè alle fake news che si propagano nell’epoca della «post-verità». In entrambi i casi ha la meglio un approccio normativo. Il presunto complottista dovrebbe essere avviato a una rieducazione cognitiva. Malgrado ogni sforzo, però, nessuna delle due terapie funziona, mentre l’onda complottista aumenta.


O deliri o menzogne. Una tale stigmatizzazione, oltre a restare inefficace, è controproducente. Come sempre, la sanzione poliziesca del pensiero e la denuncia inquisitoriale servono a poco. Da qualche tempo si è andata affermando una vulgata anticomplottista che, reclamando il possesso della verità, ridicolizza e delegittima le teorie giudicate devianti, irrazionali, nocive. Ma questo approccio polemico e patologizzante, che squalifica ogni critica alle istituzioni, non fa che confermare il gioco delle parti e aggravare una frattura sempre più profonda: da un canto chi, tacciato di essere complottista, rivendica di essere antisistema, dall’altro chi ricorrendo ai canoni della propria ragione, è accusato di sostenere l’ideologia dominante. In breve: l’anticomplottismo semplicistico rischia di assecondare lo scarto tra «verità ufficiale» e «verità nascosta» impedendo di comprendere un fenomeno complesso e poliedrico.


Il complottismo non è un crampo mentale né un argomento fallace, bensì un problema politico. Non riguarda tanto la verità, quanto il potere. Ed è strano che, pur nell’ampia riflessione, non sia stato messo a fuoco proprio il nodo decisivo: quello che lega complotto e potere.


Chi contesta la versione ufficiale mira ad attaccare coloro che detengono sapere e potere. La sfiducia verso la politica, le istituzioni, i media, gli esperti, diventa disapprovazione sistematica e sospetto infinito. Se sotto il cielo inquinato della globalizzazione gli eventi catastrofici si moltiplicano, se il mondo sembra votato a un caos inarrestabile, è per via della «casta», dell’«oligarchia», della «finanza internazionale». Occorre affinare lo sguardo e smascherare i piani occulti del «Nuovo Ordine Mondiale». Quale rivolta potrebbe mai esserci contro un potere senza volto?

 

L’ammissione tacita di questa impotenza va di pari passo con un risentimento cupo, una rabbia esplosiva e l’esigenza improrogabile di svelare quel Complotto al potere. Nella galleria di specchi del complottismo sono infatti sempre gli altri a complottare e chi incolpa non vorrebbe che difendersi. Le «potenze occulte», i «poteri forti», sono chiamati in causa da una teoria politica che vede la governance come complotto e che perciò si vota a una strategia e una pratica di contro-potere inteso necessariamente come contro-complotto. I «deboli» non avrebbero altra forma di resistenza contro i «padroni del mondo».

 


Il complottismo esprime un malessere diffuso, manifesta un disagio profondo. Non è un mero segnale di oscurantismo, ma è un segnale oscuro. Mette allo scoperto la crisi che agita la democrazia contemporanea. Quante promesse non mantenute! Quante speranze tradite! Che cos’altro significa quella parola se non il «governo del popolo», così a lungo atteso? Eppure, come per una triste beffa, il popolo sovrano non si sente davvero sovrano. Il potere sembra sfuggire, minacciato da quello incontrollabile del Complotto. Non è solo un sospetto. Il potere democratico sembra illusorio. Cambiano i governi, si alternano i partiti, ma nulla muta realmente. Resta lo «Stato profondo», quel potere istituzionale che si mantiene intatto e si perpetua grazie a caste, lobby, banche, dinastie, gruppi mediatici. Ecco chi tiene più o meno segretamente le fila, ecco il fondamento e il principio del vero potere!


Ma che di recente siano stati presidenti e capi di governo a puntare l’indice contro il Deep State e gridare al complotto dovrebbe far riflettere. Non si tratta solo di un espediente per sottrarsi a ogni responsabilità di governo, e neppure solo di un’azione di difesa geopolitica. Lo «Stato profondo» diventa la parola d’ordine per confermare subdolamente il tormento in cui è precipitato l’entusiasmo democratico. Si insinua che la democrazia sia svuotata di ogni valore, che non sia, anzi, che una «farsa». Il dubbio complottistico converge qui con una certa visione populistica della sovranità del popolo ridotta a simulacro dei «poteri forti».


Possibile che la democrazia sia solo quel che appare? Il luogo vuoto del potere democratico sembra appunto troppo vuoto. E il complotto ripristina l’idea arcaica di un potere assoluto incompatibile con la democrazia. Ma forse il complotto è proprio la maschera del potere nel tempo del potere senza volto. Occorre allora smascherare piuttosto questo dispositivo arcaico che spinge a ipotizzare un’arché, un principio e un comando, che la democrazia dovrebbe aver già da tempo destituito.


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