Sarà presto visitabile il complesso sotterraneo per i ricevimenti dell'imperatore bruciato nel rogo del 64 d.C.

Torna Nerone sul Palatino. Non il “divo” protagonista di un discusso spettacolo, ma l’ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia che, a 1950 anni dalla morte, ribadisce la sua grandiosa visione urbanistica.

Sta infatti per essere riaperto al pubblico il complesso sotterraneo per ricevimenti danneggiato dal grande incendio del 64 d.C. ma con affreschi e marmi ancora visibili. È un documento importante, in grado di testimoniare l’esistenza della Domus Transitoria, il primo progetto di Nerone per una grande reggia che doveva collegare il palazzo imperiale con i famosi Giardini (“Horti”) di Mecenate sul colle Esquilino. L’antico biografo Svetonio cita la residenza “di passaggio” - circa un chilometro in linea d’aria - senza però specificarne il percorso.

«Entro la prossima estate sarà possibile visitare l’originale triclinio con le stanze adiacenti», assicura Alfonsina Russo, direttore del Parco archeologico del Colosseo, già soprintendente dell’Etruria meridionale. «Stiamo lavorando per metterlo in sicurezza e dotarlo di un impianto di illuminazione. Vi collocheremo anche il video che ne mostra la ricostruzione virtuale: un tassello significativo per comprendere più a fondo il gusto artistico del suo ideatore».

Alla Domus si accedeva attraverso due rampe di scale ai lati di una parete concepita come una scena teatrale: ricoperta di marmi, conteneva nicchie per esporre statue. Una cascata al centro alimentava tanti zampilli sistemati davanti a colonnine colorate con capitelli di bronzo dorato. Lo spazio di fronte, circondato da colonne di porfido (restano alcune basi) era riservato all’imperatore. Negli ambienti laterali continuavano i giochi d’acqua, con gradini nelle pareti per piccole cascate, e si scorgono ancora intarsi di marmo e raffinati affreschi con foglia d’oro e scene del mito troiano: motivi cari a Nerone, eseguiti dallo stesso atelier artistico che proseguirà il suo impegno nella Domus Aurea. Altri affreschi, staccati dalle pareti nel secolo scorso, sottolineavano il lusso di questo elegante ninfeo con l’inserimento di pietre dure azzurre.

Si trovano nel Museo Palatino, insieme alle figurine femminili danzanti, agli eroti, agli elementi vegetali e architettonici in marmo, in origine incastrati in pannelli orizzontali che correvano lungo il ninfeo. Nel Settecento, quando i Farnese possedevano la zona, si pensò a un impianto termale della vicina Casa di Livia, moglie di Augusto, e molti ornamenti dei suoi “Bagni” furono trasferiti a Napoli, dove regnava Carlo di Borbone, unico erede della famiglia.

Nel triclinio, progettato come una grotta rinfrescata dall’acqua per ozi estivi, si svolgevano banchetti riservati a pochi intimi e vi possiamo immaginare, accanto all’imperatore con le lentiggini e gli occhi blu, la seconda moglie Poppea, lo scrittore Petronio Arbitro, forse il filosofo Seneca prima del suo ritiro, personaggi che nel 65 d. C. faranno tutti una triste fine. Allora, Nerone confidava ancora su una popolarità consolidata: successi militari in Britannia, pensioni annue ai senatori in difficoltà, costruzione del Macello e delle Terme col Ginnasio, scenografie all’insegna del colore verde al Circo Massimo, dove venivano lanciati “missilia”, una specie di gettoni-premio che si tramutavano in abiti, olio, case, schiavi, persino imbarcazioni.

Fu l’incendio scoppiato proprio al Circo tra il 18 e il 19 luglio del 64 d. C. a mutare ogni cosa, compresa la residenza imperiale, che fu oggetto di una ricostruzione estesa per circa ottanta ettari: si salvarono gli ambienti integri ma furono coperti quelli rovinati dalle fiamme, compreso il triclinio sotterraneo. È questa la Domus Aurea, che viene identificata con il padiglione del colle Oppio, l’unica zona conservata di una grande estensione che riguardava, oltre il Palatino e l’Esquilino, anche parte del Celio. Dalle alture, poderose strutture degradanti di portici e terrazze, tra boschetti “all’inglese” e giardini “all’italiana” consentivano la discesa nella valle centrale, dove fu realizzato un bacino artificiale.

Poteva gareggiare con gli altri palazzi dinastici del Mediterraneo, Alessandria d’Egitto in primis, ed esprimeva un linguaggio di sontuosità e magnificenza. L’oro profuso nelle decorazioni, incorruttibile, splendente come il sole, doveva trasmettere con i suoi bagliori la felicità dell’imperatore ai sudditi. E di preziosi marmi erano rivestite le pareti delle stanze fino all’imposta delle volte, mentre il pittore Fabullo dipingeva quadretti mitici e i suoi aiutanti affrescavano corridoi e soffitti con pitture a motivi fantastici, le cosiddette “grottesche”, che all’indomani della scoperta si moltiplicarono nei palazzi rinascimentali.

Per il Natale di Roma, il 21 aprile, Alfonsina Russo aprirà al pubblico altri monumenti del Palatino, inclusi nell’area occupata dalla Casa d’Oro: «Si potrà definitivamente attraversare il Criptoportico “neroniano” - una galleria che serviva a mettere in comunicazione i vari corpi di fabbrica del palazzo imperiale - e ammirare la raffinata Aula Isiaca dai motivi egittizzanti voluta da Augusto, messa fuori uso da una cisterna neroniana e sovrastata dalla cinquecentesca Loggia Mattei. Già da fine marzo, invece, si potranno anche visitare le Uccelliere Farnese, con il loro strepitoso affaccio sul Foro». L’ex Casino di caccia dell’aristocratica famiglia, installato sopra il palazzo imperiale giulio-claudio, ospiterà infatti una mostra documentaria: «Illustreremo le trasformazioni subite da questo luogo attraverso tre secoli di scavi - dal Cinquecento all’Ottocento - ed esporremo due pregiate statue in marmo, conservate al Museo nazionale di Napoli e collocate in origine proprio su una delle scenografiche terrazze delle Uccelliere: il “Prigioniero inginocchiato” e la cosiddetta “Iside-Fortuna”».

Il progetto odierno di riqualificazione del Colle per antonomasia in età romana riguarda pure l’eclatante conclusione di una scoperta fatta nel 2009 da un team archeologico italo-francese (Soprintendenza speciale ed École Française di Roma), che L’Espresso può anticipare. Siamo nella Vigna Barberini, il luogo più panoramico del Palatino, che oggi domina la valle del Colosseo e, all’epoca della Domus Aurea, permetteva di abbracciarne con lo sguardo lago, fabbricati e giardini.

Qui era venuto alla luce un edificio di età neroniana al cui interno si trova un pilone rotondo di quattro metri di diametro. Da esso parte un doppio ordine di otto arcate che lo collegano ad un muro circolare; un altro muro più esterno, sempre rotondo, definisce lo spazio in 28 metri di diametro. Sulla parte superiore si scorgevano un incavo centrale e incassi emisferici con un materiale scuro e vischioso. L’intera struttura è stata realizzata con laterizi di prima qualità, fino alle fondamenta: intatta, e perfettamente conservata, è persino la scala a chiocciola lunga 14 metri all’interno del pilone, usata dal personale di servizio. A cosa serviva una struttura del genere? Non ci sono esempi simili di architettura romana. Si è subito pensato alla sala che Svetonio definiva “rotunda” e che doveva sbalordire non poco i frequentatori della Domus Aurea perché «girava su se stessa tutto il giorno, continuamente». Ma erano necessarie ulteriori ricerche che ne verificassero l’identificazione.

Oggi, Françoise Villedieu, direttrice dell’équipe francese, a seguito di minuziose analisi ritiene che, sì, sul Palatino siamo di fronte all’innovazione più spettacolare della reggia di Nerone e a un’opera architettonica straordinaria. Infatti le tracce simmetriche di connessioni in ferro fra i due muri anulari rimandano a un meccanismo idraulico che trasmetteva forza ruotante a un pavimento posto sopra - evidentemente di legno. A equilibrare il piano contribuivano degli elementi di metallo inseriti nelle cavità rilevate in precedenza. Non a caso lo storico Tacito definiva “machinatores” i geniali architetti Severo e Celere che progettarono la Domus Aurea.
«Le reazioni dei frequentatori del salotto posto in alto, che girava lentamente, erano sicuramente di meraviglia: nessun’altra reggia poteva vantarne uno simile», sostiene Villedieu. «L’abbiamo immaginato con una copertura a cupola retta da colonne di marmo, e possiamo ipotizzare che fosse impreziosito da materiali rari e lussuosi, tanto amati dall’imperatore. Era un congegno davvero unico, che non solo ha stupito i contemporanei, ma continua a suscitare viva curiosità e ammirazione».

Il sobrio generale Vespasiano, capostipite della dinastia Flavia, seppellì la “camera con vista”, così come prosciugò il lago della Domus Aurea per costruire il più grande anfiteatro della romanità, il futuro Colosseo che - guarda un po’ - prese questo nome per la statua di Nerone alta 35 metri, sistemata lì vicino.
Ma l’uso di un luogo così suggestivo non finì con gli interventi di Vespasiano e dei suoi figli. Gli archeologi del Parco, sotto la direzione scientifica di Alessandro D’Alessio, hanno da poco ripreso i lavori che hanno messo in luce una serie di strutture e stratigrafie successive. «La continuità di occupazione è documentata fino al III sec. d.C.», rileva D’Alessio, «e le importanti trasformazioni culminano nella realizzazione del santuario dedicato al Sole dal giovanissimo imperatore Elagabalo».