Un soldato ferito rifugiato in un collegio femminile. Nicole Kidman minacciosa. Una prova di regia precisa e carica di senso

Il romanzo “The Beguiled” (1966) di Thomas P. Cullinan (da poco tradotto anche in italiano) è noto soprattutto per il film che Don Siegel ne trasse cinque anni dopo, intitolato da noi “La notte brava del soldato Jonathan”, forse per strizzare l’occhio alla “Calda notte dell’ispettore Tibbs”.

Era la storia di un soldato nordista che, durante la guerra di Secessione, giungeva gravemente ferito in un collegio femminile, dove l’istitutrice e le poche allieve lo curavano. Ma poi la sua presenza suscitava gelosie e inquietudini tra le donne, fino a provocare una specie di istinto da erinni. Insomma, la storia diventava una metafora delle paure maschili in epoca di montante femminismo. Il film di Siegel aveva l’idea geniale di prendere come protagonista Clint Eastwood, ridotto a impotente vittima di queste donne giovani e meno giovani.

Ovviamente, lo shock che si prova vedendo in quel ruolo Colin Farrell è molto minore, anche perché la compagnia femminile è guidata da una Nicole Kidman ben più minacciosa. L’attrice australiana, grazie anche a questo film, ha ricevuto un premio speciale all’ultimo festival di Cannes (dove era presente con altri due titoli), mentre la Coppola ha vinto per la miglior regia. Premio ineccepibile: nell’“Inganno” anzi la regista dimostra di non saper solo maneggiare uno stile pop, cool e barocco come nei suoi film più fortunati (“Marie Antoinette”), ma di saper abbassare i toni e lavorare su pochi elementi con squisita eleganza: una tavolozza di colori tra il beige e l’ocra, tutt’altro che squillante, un lavoro sul suono che tiene in lontananza i rumori della guerra, tocchi di consapevole ironia, un lavoro preciso e carico di senso sulle apparenze (i vestiti) e i rituali femminili.

Essere donna, ci dice Coppola aggiornata a decenni di teorie femministe, non è un’essenza ma una pratica, una performance.

“L’inganno” è anche un ritorno a certe atmosfere del suo miglior film, “Il giardino delle vergini suicide”, con maggior controllo ma forse in maniera meno travolgente. E se si tratta, come qualcuno ha detto, di un esercizio di regia, è comunque un esercizio di grande intelligenza ed eleganza.