Il nuovo game ci porta a bordo di un'astronave che esplora un universo (quasi) infinito, i cui quintilioni di pianeti sono generati da un algoritmo. Così, c'è chi critica l'assenza di una missione precisa o di una trama coinvolgente. Ma per apprezzarlo bisogna immergersi in un'atmosfera quasi meditativa

Esplorare all’infinito, guidati dal solo piacere tutto umano per la conoscenza, dal bisogno di gettare una luce nell’ignoto siderale. Senza una missione determinata, senza uno scopo strumentale che tolga poesia al senso di una ricerca.

Così è No Man’s Sky, indicato dagli esperti come uno dei tentativi più ambiziosi e innovativi di videogame tra quelli rivolti al grande pubblico. Uscito il 10 agosto per Playstation 4 e il 12 agosto per pc Windows, realizzato dagli sviluppatori della inglese Hello Games e distribuito da Sony per console.

Guidiamo un’astronave, cominciando ai margini dell’universo, e dobbiamo via via avvicinarci sempre più al suo centro; esplorando pianeti, scoprendo nuove forme di vita, flora e fauna aliene. Ogni scoperta va a compilare un database condiviso online (Atlas) tra tutti i giocatori. Al lancio del gioco, l’universo è quindi ignoto a tutti e viene illuminato solo grazie all’esplorazione collettiva. Sono le caratteristiche del videogame a renderla necessaria.

L’universo infatti è (quasi) infinito: 18 quintilioni (1.8 per 10 alla 19esima) di pianeti. Così tanti perché generati in modo “procedurale”. Ossia, a disegnare tutti i componenti dell’universo non è la mano umana, bensì gli algoritmi informatici, in modo automatico e casuale. Stesso sistema per la musica: è a cura del gruppo indie post-rock 65DaysofStatic, che però si è limitato a fare le basi, su cui poi gli algoritmi hanno realizzato in modo casuale la colonna sonora.

Tutto, in No Man’s Sky, persino il modo in cui è stato realizzato, sembra suggerire il concetto di un ignoto alieno e inumano con cui bisogna venire a patti. Esplorare la natura infinita, sì, ma senza illudersi di poterla controllare, credendo che questa sia stata fatta a misura umana.

Tanto più che il gioco punisce atteggiamenti colonialistici: chi ruba risorse da un pianeta o uccide viene perseguitato da sentinelle robotiche (a mo’ di polizia spaziale). "Il concetto di universo infinito da esplorare in un videogame è stato anticipato dal recente MirrorMoonEP, di Santa Ragione, una casa di sviluppo milanese, indipendente. A idearlo, Pietro Righi Riva, il coordinatore del Programma di Master della IULM", dice Matteo Bittanti, tra i massimi teorici di videogame, docente presso il California College of the Arts di San Francisco. «Ma quello era un gioco di nicchia, una esperienza meditativa per pochi. No Man’s Sky vuole essere adatto al grande pubblico», aggiunge. Perché c’è avventura nell’esplorazione, una grafica curata; combattimenti tra astronavi e interazioni con altri utenti via internet.

«No Man’s Sky è interessante anche perché conferma che i videogame sono entrati in una fase di ricerca e innovazione- dice Bittanti. Al punto che alcuni sviluppatori lasciano case blasonate per fondarne indipendenti. È il caso di Sean Murray, fondatore di Hello Games dopo essere stato in Criterion». Significa che si comincia a pensare sia possibile coniugare mercato e sperimentazione. Ci sono molti esempi recenti. «Si pensi a fenomeni come Monument Valley, creato da uno studio indie. Prima di passare ad Activision, King.com, creatrice di Candy Crush, era di fatto indipendente. Lo stesso Pokemon Go è stato creato da uno studio indie, uno spin-off di Google, Niantic e non certo da Nintendo», continua. Le nuove piattaforme mobili hanno rivitalizzato la creatività nei videogiochi. Ma adesso il fenomeno approda anche sulle piattaforme di gioco più complesse, come console e computer. Con No Man’s Sky, appunto.

«Dopo anni in cui i videogame di massa erano tutti cloni e sequel, massimo rispetto per questa epica interattiva che aspira a simulare l'universo», dice Bittanti. 

Era prevedibile che un gioco così anomalo fosse incompreso dai più. No Man’s Sky ha ricevuto giudizi spesso negativi, per l’assenza di missioni precise, di un senso di progresso definito e di una trama coinvolgente; ossia proprio i fattori di cui un giocatore ha bisogno per proseguire. Per apprezzarlo bisogna sganciarsi da questi vincoli e chiudere un occhio anche sulla grafica un po’ obsoleta, per immergersi in una esperienza simile a tratti alla meditazione: ricerca infinita, indefinita e senza un senso pre-determinato. Un po’ come la vita, in effetti.