Gli stilisti mettono in vendita online delle calzature chiamate 'slave sandals with pompoms'. Ma negli Usa scoppia la bufera perché l'espressione richiama la schiavitù dei neri e le discriminazioni razziali. Così le scarpre cambiano nome

New york Lost in translation. Come Bill Murray nella frenetica Tokyo del film di Sofia Coppola, Dolce & Gabbana si sono persi nella traduzione. Gli stilisti hanno messo in vendita sul sito un paio di calzature definendole “slave sandals with pompoms”, ovvero “sandali ?da schiava con pompon”.

In America però ne è nata ?una bufera mediatica che ?è stata cavalcata da blog, social network e testate come il “New York Magazine”, che su Twitter ha cinguettato: «E così a Dolce & Gabbana nessuno ha pensato che potesse essere una cattiva idea, eh?». C’è chi ha concesso che i sandali, che costano 2.395 dollari, sono «belli ma hanno un nome terribile», mentre qualcuno ha scritto: «Perché glorificate la schiavitù?».

Il problema è infatti che ?in America l’espressione - nonostante fosse usata al tempo del mitico kolossal “Ben Hur”, con Charlton Heston - richiama la schiavitù dei neri e le discriminazioni razziali.

In Italia invece i sandali allacciati alla schiava sono ?un modello tradizionale ?che si rifà all’antica Roma.
«È stato un errore di traduzione a cui abbiamo subito posto rimedio», spiegano in azienda. E infatti ora hanno deciso ?di definirli “gladiator” ?o “decorative flat sandals”.