La star del momento, con due lavori tra cinema e tv in arrivo, ha quasi ottant'anni ma non intende fermarsi. E qui parla della sua vita a cuore aperto ?tra ricordi di infanzia, passioni e affetti

Ci sono quelli che con l'età si chiudono, che finiscono per vivere consumati dall'amarezza e dal senso di solitudine, a volte anche dal rancore. Ci sono quelli che invece si ammorbidiscono, che diventano più dolci, che imparano ad accettare e ad accettarsi. Mentre si avvia a compiere i 79 anni, Anthony Hopkins è entrato a far parte di questa seconda categoria. «La verità», racconta a "l'Espresso" con un senso di innocente stupore nella voce, «è che guardo foto di quando ero ragazzo e mi domando: ma come sono arrivato dove sono? Mio Dio, che viaggio che mi è capitato!»

Lo abbiamo incontrato alla vigilia di due nuovi lavori in uscita in Italia nei prossimi giorni. Il 3 ottobre, in contemporanea con gli Usa, è iniziato su Sky "Westworld", serial televisivo prodotto dalla Hbo, un western fantascientifico narrato col punto di vista di androidi sull'orlo della rivolta. Il 10 invece arriva nei cinema un thriller presentato l'anno scorso alla Mostra di Venezia: in "Go with me" Hopkins è un boscaiolo che decide di aiutare una ragazza (Julia Stiles) terrorizzata dal bullo del paese (Ray Liotta). In tutti e due i casi, Hopkins è il divo su cui i distributori puntano per attirare il pubblico: un onore che può stupire, per un attore che ha quasi ottant'anni. E che oggi è prima di tutto quello che si dice "un gran bel vecchio", con quei suoi occhi azzurrissimi, i capelli bianchi folti e corti, il portamento fermo e quasi aristocratico. Ma appare anche come un uomo gioviale e spiritoso. Soddisfatto. Introspettivo. Grato. E in vena di raccontare, di guardarsi dentro con onestà.

Come si sente? E giunto a questo punto della sua vita e della sua carriera, dove vuole andare?
«Beh, penso che l'età dopotutto un po' di saggezza la porti. E di dolcezza, anche. Mi sento ancora abbastanza forte, ma le mie opinioni non sono più rigide come un tempo. Non ce la faccio a seguire il dibattito politico, tutti che urlano e si parlano addosso. Non seguo più le news anzi, ormai ci danno solo cose negative per tenerci preoccupati. E poi ciò che deve accadere accadrà. La storia va avanti e alla fine saremo tutti dimenticati. Saremo polvere nella polvere, un sogno dentro il sogno. Mi sento molto felice, anche se non mi è proprio chiaro che cosa vuol dire. Vivo a Malibu di fronte al mare, che è bello. Suono il piano. Dipingo. Faccio passeggiate sulla spiaggia, a volte con mia moglie. Sto lontano dall'industria del cinema. Ma poi mi chiamano per lavorare e io lo faccio».

Veramente continuano a chiamarla. E lei fa di tutto: ora anche televisione...
«Sono un grande fan di Bryan Cranston e di "Breaking Bad", a parte questo non  guardo molta televisione. Ma quando mi hanno proposto di fare televisione io ho detto: perché no? La cosa difficile della mia parte in "Westworld" è che parlo all'infinito di coscienza e di consapevolezza, argomenti non molto eccitanti. Ma è andata bene, pare siano contenti anche se non ho voluto un contratto pluriennale. Non mi piace sentirmi legato troppo a lungo. Voglio sentirmi libero, non so adattarmi alla routine. E poi sono spuntati fuori altri film: farò "Thor 3" in Australia e poi in Inghilterra "Transformers" - non  so più quale numero sia...».

E "Go with me"?
«Lo abbiamo girato tempo fa. Ricordo mia moglie - lo so, parlo in continuazione di lei, di Stella - che è sempre preoccupata per la mia salute. Io sono un po' matto e non me ne preoccupo, ma lei sì. Comunque eravamo in Canada a girare ed eravamo in questa fattoria piena di ragnatele e faceva un freddo cane. Stavamo tutti gelando, c'era anche Hal Halbrook che è sui 90. Arriva dunque Stella e le dico: non è splendido? E lei: splendido? No, è terribile. Poi mi ha preso da parte e mi ha chiesto: ma vuoi morire recitando? Vuoi continuare a farlo sinché caschi morto? Penso di sì, le ho detto, almeno sino a che la mia salute me lo permette. È la mia passione. E a quel punto Stella ha risposto: va bene, se questo è quello che vuoi fare, fallo. Penso che imparare i testi e le battute aiuti a tenere la mia memoria esercitata. Recitare mi da energia. E amo farlo, amo tutta l'attività che c'è dietro, alzarmi la mattina e andare sul set e farmi un caffè, fare colazione con la troupe...».

Per fare l'attore ci vuole un forte ego?
«Devi starci attento, ma devi avere un tuo ego, e anche un certo grado di narcisismo e di vanità. Olivier diceva che devi avere l'istinto del killer. Non vuol dire che devi essere un mostro, ma che devi avere dentro un qualcosa e non scendere a compromessi, che devi buttarti vincendo la paura. La paura c'è comunque, quindi tanto vale affrontarla. Se pensi che non sei bravo abbastanza o che sei appena adeguato, questo sarà tutto quello che riuscirai a esprimere. Devi credere in te stesso, devi volere di più. Mi viene in mente una storia che riguarda Richard Burton, che era di Port Talbot, la stessa cittadina dove sono nato io. Un giorno passò davanti alla nostra panetteria sulla sua Jaguar grigia. Eravamo nel 1955, e già vedere una Jaguar era un qualcosa di speciale...».

E poi? Che accadde?
«E poi Burton era a casa di sua sorella e io presi il coraggio e andai a chiedergli un autografo. Venne una signora alla porta e mi chiese: ma tu sei il figlio di Dick Hopkins? Sì, del panettiere, dissi io. Poco dopo ero davanti a lui, con quei suoi incredibili occhi blu, che si stava radendo la barba. Mi chiese se parlavo gallese, gli dissi di no e lui osservò che allora non ero un vero gallese. Poi stavo tornando al negozio e vedo di nuovo la Jaguar che passa. Sia lui che Sybill, la moglie, mi fecero un cenno di saluto. E fu lì, in quel momento, che decisi che avrei fatto qualcosa, che sarei uscito dal limite di sentirmi inadeguato. E che mi sarei vendicato di tutti i compagni che mi prendevano in giro e che, detto tra di noi, sono tutti morti nel frattempo. E anche di mio cugino Bobby, che era così bravo a scuola e che vive ancora nel Galles e che - Dio lo benedica- deve ancora stare lì a chiedersi che cosa mai è accaduto a quello strano cugino col quale era cresciuto. La vita è piena di sorprese. E tornando alla questione dell'ego: è bene avere un ego forte ma è anche bene saperlo tenere sotto controllo».

Come tanti altri attori e artisti Richard Burton non è finito molto bene, consumato a 58 anni dai demoni dell'alcolismo.
«La dipendenza da droghe e alcol è una cosa molto complessa. Di alcol un tempo ne sapevo molto anche io, ma in un qualche singolare momento di grazia - o forse di paura, non lo so ancora - ho trovato la mia via d'uscita. Ciascuno di noi è sempre alle prese con la grande battaglia per sopravvivere, combattiamo malattie e instabilità mentali. E dobbiamo continuare a combattere, a combattere per noi stessi più che contro gli altri. Forse anzi non è nemmeno una battaglia ma è solo riuscire a mantenere la passione di vivere. Ed è per questo che lavoro. Non perché devo provare niente a nessuno, ma per sentirmi vivo».