Avere un figlio con i gameti di un uomo o di una donna fertili. Oggi si può anche in Italia. Ma mancano donatori,  regole e tempi certi. Mentre dalla Danimarca cresce (anche verso Roma) il fai da te dell'inseminazione. Così rischiamo il Far West

"Do it viking!”. È il cartello in mano a un ragazzo alto, biondo, dagli occhi chiari, vestito come uno dei suoi avi, con tanto di spada in mano e cappello con le corna in testa. Insomma, un vero vichingo, pubblicità vivente per una banca di sperma. E a “farlo vichingo” sono in tanti: Cryos International è una delle realtà più longeve in questo campo e nel 2013 il seme partito dalla sua sede in Danimarca ha prodotto circa 35mila gravidanze in tutta Europa.

«La domanda è in continuo aumento, le donne che si rivolgono a noi sono per la maggior parte sopra i 35 anni e con un titolo di studio superiore, e sempre di più chiedono informazioni sullo stato sociale e di salute del donatore», ci spiega Ole Shou, fondatore di Cryos International: «Ma la cosa che ci impressiona di più è vedere come sia cambiata la domanda: quando abbiamo iniziato i nostri clienti erano solo cliniche o ospedali. Oggi, invece, l’80 per cento di chi acquista sperma sono privati cittadini».

È il fai da te dell’inseminazione: si sceglie il donatore, si comprano una o più fiale di sperma, dopo massimo 48 ore si ricevono a casa e seguendo alcune facili istruzioni si procede con l’inseminazione. Il costo varia dai 40 ai 1000 euro, a seconda che si tratti di un donatore anonimo o no, delle sue caratteristiche fisiche e degli esami a cui si vuole venga sottoposto lui e il suo sperma.

Roba da fantascienza? Niente affatto, anzi proprio in Italia, dove la legge 40 vieta il ricorso alle tecniche di procreazione assistita alle coppie dello stesso sesso e ai single, questo è un modo lecito di bypassare l’ostacolo. «L’Italia è uno dei paesi dove effettuiamo le nostre consegne», prosegue Shou. «A singoli cittadini. D’altronde, nell’ambito della libera circolazione dei beni e delle merci che vige in Europa, le nostre fiale possono essere spedite e ricevute». Come Cryos anche molte banche statunitensi vendono direttamente ai pazienti.

E c’è da giurarci: il business è destinato a crescere. La fecondazione eterologa è da pochi giorni contemplata nelle disposizioni del ministero della Salute in materia di procreazione medicalmente assistita, ma nel nostro paese la donazione dei gameti è ancora al palo. Non tanto per quel che riguarda il seme maschile, anche se la libera circolazione dei campioni pone dei problemi di controllo: come è possibile tenere conto di quanti bambini nascono da ogni singolo donatore? Per scongiurare possibili incroci fra fratelli o sorelle inconsapevoli, alcune nazioni hanno posto un limite massimo di figli per donatore, ma in altri questa soglia non c’è. In Italia il limite è 10, in Danimarca c’è solo una specie di avvertenza dopo 25, tanto per fare un esempio.

La donazione di sperma sembra comunque assai semplice se paragonata a quella di ovociti, i gameti di cui c’è di gran lunga maggior bisogno, in Italia come in Europa. E che sono ottenibili solo a patto di sottoporre le donatrici a procedure abbastanza invasive. Ma le cifre parlano chiaro e suggeriscono che sarebbe meglio cercare di normare al meglio la donazione di ovuli e di farlo nella maniera più omogenea possibile, almeno all’interno dei confini europei.

I numeri sono quelli presentati al congresso della Società europea di riproduzione umana (Eshre), chiuso nei giorni scorsi a Lisbona, da Marta Devesa dell’Ospedale universitario Quiron-Dexeus di Barcellona: dopo i 40 anni le chance di avere un bambino con i propri ovuli sono progressivamente sempre più basse tanto che i medici dovrebbero consigliare alle donne che fanno procreazione assistita di ricorrere a ovociti donati. Cifre alla mano, i medici hanno calcolato infatti che le donne di 38-39 anni hanno il 23,6 per cento di probabilità di avere un figlio con un ciclo di Pma, percentuale che scende al 6,3 a 42 anni, e addirittura all’1,3 oltre i 44 anni.

«Abbiamo analizzato più di 5800 cicli condotti su oltre 4100 donne nel nostro istituto, dati che ci hanno consentito di elaborare un modello predittivo sulla base del quale possiamo affermare, per esempio, che alle donne sopra i 44 anni dovrebbe essere sconsigliato intraprendere la fecondazione assistita con i propri ovuli, e che neanche la possibilità di congelare ovuli o embrioni aiuta», ha spiegato Devesa: «Il dilemma per i medici inizia a 38 anni, è quella l’età in cui la percentuale di successo comincia a scendere vertiginosamente». 

Ma il fatto è che le percentuali da sole non convincono le pazienti, la cui prima preoccupazione è piuttosto quella dell’invasività delle cure, della pesantezza delle stimolazioni. Lo racconta Andrea Borini, presidente della Società Italiana di Fertilità e Sterilità: «Piuttosto di accettare fin dall’inizio di non riuscire con i propri gameti preferiscono provarci anche se le probabilità sono scarsissime. Poi dopo il primo fallimento valutano l’idea dell’eterologa».

Che oggi, finalmente, è una possibilità anche in Italia. Almeno teorica. Perché a 15 mesi dalla sentenza della Corte costituzionale - che ha abbattuto il divieto di ricorrere a gameti esterni - sono poche le donne che sono riuscite effettivamente a rimanere incinte grazie a un ovulo di una donatrice.

Nel marzo scorso a Roma sono nati i primi due bambini ottenuti grazie all’eterologa, e secondo Ovobank, una delle banche spagnole che fornisce gameti femminili ai centri italiani, sono almeno 10 le gravidanze in corso. Ben poca cosa rispetto alle 2-3 mila donne che ogni anno provano un’inseminazione eterologa, andando all’estero.

«Le pazienti vanno all’estero anche oggi, sebbene non si tratti più di una pratica vietata, perché lì hanno la certezza dei tempi. Chi va all’estero, poi, non deve neanche preoccuparsi della questione del rimborso, che in Italia non è ammesso ma che invece negli altri paesi è una prassi normata», spiega ancora Borini. Secondo la legge spagnola, per esempio, alla donatrice è riconosciuto un rimborso spese, in ragione del tempo impiegato e delle terapie a cui si deve sottoporre, al massimo di mille euro. Proprio l’assenza di chiarezza legislativa nel nostro paese è il motivo per cui Clinic Ava Peter, una banca di ovuli di San Pietroburgo, ha preferito non entrare ancora sul mercato italiano.

La soluzione l’hanno trovata alcune cliniche spagnole che stanno aprendo filiali in Italia, per venire a prendersi le coppie direttamente dove sono. In primavera era toccato a l’Institut Marques di Barcellona sbarcato a Milano, mentre ora la clinica Eugin ha annunciato una prossima apertura a Modena. Il clou dell’offerta è l’ovodonazione che anche in questo caso aggira il problema del rimborso. Dimostrando ancora una volta l’incapacità dei legislatori italiani di confrontarsi con il mondo della procreazione assistita.