Si chiama rewilding. È il reinselvatichimento di grandi aree ?del Vecchio Continente. Grazie allo spopolamento di pascoli ?e campagne e a progetti mirati per creare oasi ecologiche. Così, dai Carpazi agli Appennini si ricominciano a vedere lupi, linci e perfino bisonti

Il «Selvaggio west » europeo comincia a un paio d’ore d’auto da Cracovia. Sulle montagne di Bieszczady, là dove s’incontrano le frontiere di Polonia, Ucraina e Slovacchia, sono tornate a vedersi grandi mandrie di bisonti. Questi giganteschi erbivori, associati nell’immaginario collettivo all’America delle praterie, sembrava si fossero estinti in Europa almeno dalla Prima guerra mondiale. I maschi adulti, che arrivano a sfiorare la tonnellata di stazza, hanno bisogno di mangiare ogni giorno fino a 60 chilogrammi di rami, cortecce, foglie, ghiande, arbusti e cespugli. Per quasi un secolo si è creduto che nel vecchio continente non ci fosse più un ambiente naturale in grado di garantire cibo in sufficiente quantità e varietà a questa specie. La crescita urbana, la cementificazione del suolo, lo sviluppo di un’agricoltura e un allevamento estensivi, col conseguente consumo di boschi e foreste, parevano aver irrimediabilmente compromesso le catene ecologiche e alimentari, e gli ecosistemi originari.

E invece, a dispetto di ogni previsione, in quel lembo di natura incontaminata che si trova tra Kosice, Leopoli e Cracovia, i bisonti sono tornati a crescere e a moltiplicarsi: degli oltre 2.300 capi stimati oggi nel continente, più della metà vive all’interno della Riserva della biosfera dei Carpazi orientali, area montana protetta dall’Unesco con 110 mila ettari di foreste millenarie, praterie, vallate fluviali e torrenti, al cui interno si sono riprodotte molte specie di animali che si credevano scomparse dalle nostre latitudini: bisonti, alci e linci, cavalli selvaggi e tori, cervi rossi e orsi, lontre e castori.

Gli animali allo stato brado sono tornati a riprendersi i loro spazi in Europa, come doveva essere milioni di anni fa. Per effetto della crisi economica forse, ma anche del progressivo abbandono di terre agricole e pascoli, e di una mutata sensibilità con un quadro legislativo più favorevole alla protezione dell’ambiente. Così i bisonti sono riapparsi anche non lontano dall’Adriatico: sulla catena montuosa del Velebit, altra area naturale che corre parallela alla costa croata, a neanche cento chilometri da Fiume, dove su 220 mila ettari di boschi vivono oggi in libertà cavalli e tori, lupi e orsi, cervi e camosci, cinghiali e capre, galli cedroni e aquile reali, avvoltoi, grifoni, falchi pellegrini e altri rapaci. 

Mandrie di bisonti hanno ripopolato anche il massiccio dei Rodopi, nel sud della Bulgaria, verso la Grecia, dove sono tornate a svolazzare anche 27 varietà di pipistrelli, oltre a 36 delle 38 specie di uccelli predatori conosciute in Europa; e le alture dei Carpazi meridionali, in Romania, in quella che dovrebbe diventare la più grande riserva di natura selvaggia del continente a sud del Circolo polare artico, un ecosistema con una gamma ricchissima di ambienti, e forme di vita vegetale e animale.

La savana a due ore dalle città
I Carpazi, il Velebit, i monti Rodopi sono soltanto alcune delle aree verdi che si stanno inselvatichendo in Europa, lasciando il terreno a specie animali che sembravano estinte. «Tra dieci o vent’anni», profetizza Alberto Zocchi, coordinatore di “Rewilding Appenines” («filiale» italiana della fondazione non profit olandese “Rewilding Europe”), «il paesaggio europeo potrebbe ricordare quello delle savane africane, con branchi di cervi inseguiti da lupi, carcasse di animali divorate da orsi, grifoni e altre specie di avvoltoi»; e questo a poche centinaia di chilometri dalle nostre grandi città.

Per fare un safari, insomma, non sarà più necessario andare fin sul Serengeti: basterà arrivare a un’ora e mezzo d’auto da Roma e Milano, rispettivamente sull’Appennino centrale e l’Adamello. Perché è lì, nel corridoio ecologico tra il parco nazionale d’Abruzzo e il parco del Velino Sirente (in provincia dell’Aquila), e nella Valsaviore (Brescia), che la fondazione “Rewilding Europe” ha avviato due progetti per creare grandi oasi selvagge. E questo nell’ambito di una iniziativa lanciata tre anni fa in tutto il continente allo scopo di sfruttare la crescente disponibilità di aree agricole dismesse per ricostituire gli habitat originari, e ripopolarli con le specie animali autoctone. 

I progetti per ora supportati in Europa sono nove, tutti in zone rurali di almeno cento mila ettari di superficie, tra la penisola iberica centrale e il delta del Danubio, gli Appennini e la Lapponia. «Siamo partiti all’inizio dell’anno scorso», racconta Alberto Zocchi, «dopo un lungo lavoro preparatorio con le amministrazioni locali, grazie anche ad un finanziamento per un progetto dedicato all’orso marsicano della fondazione svizzera Segré, e ci siamo concentrati sulle aree di collegamento fra i tre grandi parchi naturali dell’Appennino centrale: il parco d’Abruzzo, quello del Sirente Velino e quello della Majella». 

Le strade che da un parco portano all’altro attraversano una serie di piccoli comuni montani nel raggio di una decina di chilometri, come Gioia dei Marsi, Lecce nei Marsi e Ortona dei Marsi. Borghi caratterizzati da un forte fenomeno di abbandono, soprattutto dei giovani, e da un’elevata disoccupazione, che tuttavia costituiscono un osservatorio privilegiato per seguire gli animali che transitano liberamente da un’area protetta all’altra: orsi, lupi, cervi, caprioli, cinghiali, aquile reali, falchi, avvoltoi. Perché non usarli per creare opportunità di sviluppo e lavoro a livello locale?

E così è nata l’idea di far diventare i tre parchi il nucleo di un sistema molto più vasto e selvaggio, che includesse anche i comuni al di fuori delle aree protette. «Nella parte vecchia di Gioia», continua Zocchi, «ci sono dei punti di avvistamento naturali di orsi, ma non ci sono né le strutture né le capacità per convivere con questa frequentazione di animali». Succede ad esempio che gli orsi vadano a mangiare nei frutteti dei contadini, e qualcuno venga pure ucciso a fucilate, come è accaduto l’autunno scorso nelle campagne intorno Sulmona
Per evitarlo, sono state installate delle recinzioni elettrificate; sono stati anche montati dei segnali e delle barriere catarinfrangenti sulle strade, ed è stata avviata un’attività di informazione e sensibilizzazione delle comunità locali. Contemporaneamente si è cominciato a lavorare al potenziamento dell’offerta di accoglienza, con la progettazione di un rifugio e di un campeggio, e di due osservatori faunistici, al fine di creare dei pacchetti turistici da distribuire sui circuiti internazionali attraverso la Wildlife Adventures, nascente tour operator di Pescasseroli. Previsti anche nuovi bed&breakfast, e servizi di accompagnamento e guida.

Riappaiono specie scomparse
Tutto questo anche grazie ai circa 170 mila euro che “Rewilding Europe” ha girato alla sua branca italiana, nell’ambito di un’attività di fundraising tra enti di beneficenza (come le Lotterie olandese e svedese), il Wwf, fondazioni e investitori privati, che ha portato a redistribuire l’anno scorso quasi un milione di euro a nove associazioni partner, da Portogallo a Svezia, Polonia e Bulgaria. L’obiettivo? Arrivare entro il 2022 a riportare allo stato selvaggio almeno un milioni di ettari di foreste, praterie e malghe in tutto il continente, creando dieci aree naturali protette (l’ultima non è stata ancora individuata) che possano servire da stimolo anche per una nuova economia più sostenibile. 

Una missione agevolata anche dalla crescente domanda per un turismo ecologico, oltre che da un quadro politico e legislativo che in Europa, al contrario di quanto successo in altre regioni del mondo, ha favorito lo sviluppo della biodiversità e il ritorno di specie scomparse, soprattutto di grandi mammiferi e uccelli. Si calcola che negli ultimi 40 anni la popolazione animale del continente sia aumentata mediamente di un 6 per cento: con 17 mila orsi, 12 mila lupi, 9 mila linci, il numero di grandi predatori in Europa ha raggiunto il record dell’ultimo secolo. E questo anche per effetto di direttive comunitarie come quella che ha istituito “Natura 2000”, rete che conta più di 26 mila aree protette in tutta l’Ue, con una superficie complessiva pari al 18 per cento del territorio dei suoi Stati membri. La crescita delle città e l’abbandono delle campagne hanno fatto il resto: nel 2020 si stima che 4 cittadini su 5 in Europa vivranno in grandi agglomerati urbani. E tutt’intorno si estenderanno grandi parchi selvaggi, che non avranno nulla da invidiare allo Yosemite dei californiani.

Già oggi spagnoli e portoghesi hanno a disposizione, a metà strada tra Porto e Salamanca, la “Grande Rota do Côa”: un sentiero naturale attrezzato con campeggi e rifugi che si può percorrere a piedi, in bici o a cavallo, lungo l’omonima valle che si snoda per più di 200 chilometri tra steppe e savane, fiumi e canyon. E questo in uno degli angoli più suggestivi della penisola iberica, dove tra mandrie di tori e cavalli selvaggi, cervi e linci, sono riapparse anche le cicogne nere e le aquile imperiali. 

A due ore da Bucarest si trova invece la più grande zona umida del continente, il delta del Danubio, dove tra 180 mila ettari di paludi e canneti, lagune e foreste secolari, sono rispuntati visoni, sciacalli e pellicani, persino gli storioni. Così che è immaginabile che per i safari del futuro non ci sarà più bisogno di scomodare i Masai: basterà una gita fuori porta.