Cinque chilometri di rocce. 48 abitanti. Niente ospedale. ?E l’ultima bambina nata sei anni fa. Viaggio sull’atollo di Pitcairn. Tra gli eredi dei marinai ribelli più famosi del mondo

Da un'isola sperduta nell’Oceano Pacifico meridionale, Kari ci scrive via email: «Risponderò presto alle vostre domande, anche se qui la connessione è incerta. Ed è un momento difficile. Ho lasciato due settimane fa Pitcairn, la nostra isola, per accompagnare mio marito Brian, diabetico, che ha un dito del piede in cancrena dopo aver calpestato la spina di una bougainvillea. Gli antibiotici non hanno funzionato e il medico dell’isola, temendo che l’infezione si diffondesse, ci ha consigliato di andare nel più vicino ospedale. Così abbiamo viaggiato tre giorni su una longboat prima di raggiungere l’aeroporto di Mangareva, e da lì, dopo quattro ore di volo, siamo arrivati all’ospedale di Papeete, Tahiti, nella Polinesia francese».

Vivere in paradiso, tra spiagge e noci di cocco nella solitudine dell’oceano, può essere un inferno. Pare anzi lo sia sempre più spesso, visto che le isole del Pacifico meridionale (per intendersi: tra Nuova Zelanda e Cile) negli ultimi anni si sono andate spopolando. E il caso più clamoroso, quello che con più urgenza necessita di una soluzione se non vuole vedere scomparire la sua comunità di 48 abitanti, si chiama appunto Pitcairn, l’isola dei famosi ammutinati del Bounty, il cui budget, quasi totalmente dipendente dagli aiuti del Regno Unito, potrebbe essere tagliato.

L’unico dei quattro atolli di Pitcairn ad essere oggi abitato venne popolato infatti nel 1790 - 225 anni esatti lo scorso gennaio - da quei membri dell’equipaggio della fregata britannica Bounty che, guidati dall’ufficiale Fletcher Christian, nel 1789 si ribellarono al capitano William Bligh sfidando Londra, e si stabilirono, dopo aver rapito delle donne tahitiane, su questi cinque chilometri quadrati di rocce. Da allora ci vivono i discendenti di quell’avventura, amatissima da Jules Verne, che ne trasse un racconto, e soprattutto da Hollywood (Clark Gable, Marlon Brando e Mel Gibson hanno impersonato negli anni Christian).

Lo sanno bene Kari e Brian, quanto sia amaro il paradiso. Pochi giorni dopo quella prima email, Kari ci informa che a suo marito hanno amputato un dito: «E ora dobbiamo aspettare più di un mese per poter tornare su Pitcairn con la prossima nave». Proviamo a chiederle: sarebbe successo, se aveste avuto un ospedale vicino? Risponde Kari: «No, non sarebbe successo. Mio cognato è morto proprio mentre cercava di raggiungere quello di Mangareva».

È per motivi come questo che la storia molto cinematografica di Pitcairn rischia di vedere i titoli di coda. «Gli abitanti erano 200 negli anni Trenta. Oggi siamo in 48, più una decina di “outsider” tra dottori e insegnanti», spiega Kari: «L’ultimo a nascere è stata Adrianna Christian sei anni fa».

Sono solo due le famiglie con figli piccoli. Abbiamo contattato anche una delle due mamme. Si chiama Nadine Christian. È segretaria e tesoriere di Pitcairn, e spiega: «A livello amministrativo c’è un Consiglio composto da cinque membri, e poi un sindaco in contatto con il Governo di Sua Maestà, il Regno Unito, che ha sull’isola un Rappresentante (Pitcairn è un Territorio britannico d’Oltremare, come le Cayman o le Falkland, ed è l’ultimo rimasto nel Pacifico, ndr). C’è una scuola, frequentata da nove bambini di diversa età e grado, un ambulatorio e un poliziotto».

E come si finanzia l’isola? Per il 95 per cento con gli aiuti del Regno Unito, che nel 2013 sono ammontati a 3,6 milioni di sterline, così da farne il più costoso tra i Territori d’Oltremare. Una quantità di soldi che a Londra ogni tanto qualcuno contesta, tanto più ora in tempi di spending review.

Lo stanziamento britannico è più che raddoppiato dagli 1,5 milioni di sterline del 2010 ai 3,6 del 2013, mentre nel 2014 si è tornati a 2,1. Nel 2006 erano solo 600 mila. «I fondi britannici sono in aumento per quanto riguarda alcune spese, come quelle mediche», conferma Kari («Ma non solo per colpa del diabete di mio marito!», scherza). Non pagano tasse, ma hanno visto tagliati i sussidi per Internet e l’energia: «Per Internet spendo quasi tutta la mia pensione, ma mi serve per parlare su Skype con i nostri figli, che sono all’estero».

Il resto del bilancio di Pitcairn, appena il 5 per cento, è rappresentato dalla vendita internazionale di francobolli e monete e dagli introiti del turismo (vendono anche la registrazione di siti web con il dominio “.pn”, che per caso è lo stesso di Pitcairn e della nazione immaginaria di “Hunger Games”, Panem).

«A parte gli yacht di passaggio e le navi da crociera, che si fermano per poche ore, ogni tre mesi arriva una nave con 15-30 turisti che rimangono qui per 4 o 10 giorni, alloggiando nelle nostre case», spiega Nadine, che racconta come molti tra i turisti siano italiani («Il modo in cui parlano dei loro paesini mi fa pensare che l’Italia rurale non sia molto diversa da Pitcairn»). L’inaccessibilità dell’isola è più potente del mito del Bounty, che è parte della cultura e della storia del luogo («I cognomi più diffusi sono ancora gli stessi degli ammutinati, come Christian, Brown e Young») e che si prova a sfruttare per il poco turismo.

A sporcare l’immagine del piccolo paradiso sono intervenuti però due grossi guai. Uno è stato lo spreco di 250 mila sterline di aiuti britannici per un progetto che doveva far arrivare energia verde. L’altro è lo scandalo pedofilia che nel 2004 ha portato alla condanna di sei uomini, colpevoli di abusi su ragazzine di 12 anni. Proprio per costruire la loro prigione, e pagare degli assistenti sociali, sarebbe stato aumentato il budget dopo il 2006 («In pratica non c’è posto dell’isola che non sia stato associato a una violenza sessuale», ha scritto nel 2008 un’inviata dell’“Independent”).

La cattiva fama dell’isola, nonostante sul web i turisti riferiscano entusiasti della gentilezza dei “pitcairners”, era già stata diffusa da un libro del 1998 della scrittrice Dea Birkett e non ha fatto che rafforzarsi dopo che, nel 2010, sono state trovate mille immagini pedopornografiche nel computer del sindaco, che nonostante ciò è stato rieletto. In fondo però questa fama è vecchia quanto l’isola stessa, lo stesso Fletcher Christian fu assassinato tre anni dopo la fondazione.

Negli anni sono state avanzate diverse proposte per salvare l’isola, ora che l’età media si è impennata a causa della fuga dei giovani. C’è chi ha provato a coinvolgere il miliardario filantropo americano Warren Buffett. Chi ha proposto di richiamare qui la diaspora (ma solo 3 dei 33 interpellati si sono detti possibilisti). E c’è chi ha suggerito la creazione di un parco marino, che possa anche preservare i tesori di questi atolli. La vera soluzione sarebbe quella di aprire Pitcairn all’immigrazione. Ma non solo sembra poco praticabile (nessuno vi si è trasferito l’anno scorso, spaventato dalla mancanza di lavoro e dai 3 mila euro per arrivare dalla Nuova Zelanda in aereo e in nave), ma è anche poco popolare tra gli isolani.

Ma come è vivere qui? C’è un “centro” dove ci si incontra, ma niente cinema o ristoranti. C’è una scuola, una chiesa avventista, un negozio aperto un’ora per tre mattine a settimana.

Non tutti sono nati sull’isola. C’è chi l’ha scelta, proprio come Kari e Nadine.
Kari, 69 anni, viene dall’altra parte del mondo, dal Nord Europa. Tanto più, allora, chi glielo ha fatto fare? «Sono nata e cresciuta in Norvegia, ma nel ’73 venni in visita a Pitcairn e mi innamorai di Brian, che qui invece ci è nato. Nel ’78 mi trasferii definitivamente qui, e ci sposammo», racconta. «Oggi do da mangiare alle galline e curo l’orto. Brian va a pesca e si occupa degli alveari. Controlliamo l’email per vedere se ci hanno scritto dall’Australia e dalla Norvegia i nostri due figli. A pranzo pane e zuppa. Alle 18 si cena, e poi un dvd. Da giovane, mi attirava l’imprevedibilità di questa vita, l’assenza di routine. Poteva esserci una nave che arrivava all’orizzonte, un picnic dall’altra parte dell’isola a cui partecipavano tutti. Oggi le prospettive sono diverse. Molti di noi sono diventati anziani, sono in pensione. Io lavoravo alla posta e gestivo la stazione radio. Mi è rimasto solo il ruolo di meteorologa».

Quanto a Nadine, 41 anni, è invece cresciuta in Nuova Zelanda. Si è trasferita a Pitcairn nel 2002 per seguire suo marito Randal Christian, discendente di ottava generazione di Fletcher. Nadine fa il pane, cura il giardino e gli animali. È l’abitante più famosa dell’isola. Ha infatti scritto sei romanzi d’amore, tutti ambientati sull’isola, che si possono trovare su Amazon e li pubblicizza dal suo profilo Twitter, @pitcairngirl.

Kari e Nadine hanno sofferto sulla propria pelle lo scandalo degli stupri emersi nel 2004, perché entrambi i loro mariti sono stati condannati, ma ora hanno già scontato la pena (come anche il suocero di Nadine, ex sindaco). In una comunità così piccola ci si conosce tutti, quasi tutti sono imparentati, e sarà per quieto vivere, o perché l’alternativa sarebbe la guerra civile, che si è trovato comunque un modus vivendi, con i padri delle ragazze stuprate che vanno a pesca con gli stupratori delle loro figlie.

I giovani sono attratti dalle sirene del mondo e, a differenza di Ulisse, intendono ascoltarle. Gli anziani rimangono, ma consapevoli dei problemi.

Nadine ci racconta: «Sto scrivendo dalla mia capanna di tronchi. Attraverso le fronde delle palme da cocco e dei mango scorgo l’immensità azzurra del Pacifico, libera da barche e navi. Vorrei vivere qui per il resto della mia vita, ma lo spopolamento e l’invecchiamento sono un problema serio».

Kari lamenta il troppo isolamento, i sette giorni di viaggio da Auckland, il «non potersi fare una gita lontano da qui anche solo per ricaricare le batterie, e non potersi scegliere gli amici». Le sue migliori amiche, infatti, vivono in Norvegia o in Nuova Zelanda, dove ha abitato quando i suoi figli andavano al liceo: «È troppo tardi. Pitcairn non può risorgere».

Kari e Brian si trasferiranno in Nuova Zelanda prima o poi. Più ospedali a disposizione per la loro vecchiaia. Più possibilità di incontrare i figli e gli amici, che vivono «là fuori nel mondo». Kari, come Robinson Crusoe o come molti protagonisti di “Lost”, vuole tornare a casa, nel mondo. Dire anche lei addio a quell’isola su cui la sua giovinezza, un giorno, fece felice naufragio.