Dal web alla moda è il momento ?delle “curvy”. Simbolo, certo, ?di un nuovo orgoglio. E di ?un mercato che ?era impossibile continuare ?a ignorare. Anche perché In Italia una donna su cinque supera la 48

Sono una ragazza che si racconta sul web come se stesse parlando a un’amica, faccio vedere i miei acquisti, le mie fotografie, do consigli e porto avanti la “mia filosofia”, ovvero che amare se stessi è la prima cosa di cui ognuno di noi ha bisogno». Questa è
“Vogue”, la prima venere plus size del Calendario Pirelli 2015. Il problema sono i corpi “normali” che portano i segni della maternità, degli impazzimenti ormonali, dei disordini alimentari, corpi imperfetti rispetto al modello estetico dominante. La spinta a scolpire, modificare, ridisegnare quello che non va con strumenti sempre più precisi (aghi, bisturi e laser) è forte, il dolore si sentirsi “sbagliate” è spesso vissuto in solitudine. Perciò la seconda rivoluzione curvy non porta i nomi delle dee maggiorate come Marquita Pring, Ashley Graham, Tara Lynn o Robyn Lawley, ma quelli delle blogger che hanno tirato fuori con leggerezza, ironia e sincerità le ansie sul corpo, le diete abortite, la paura di mangiare, vestirsi, essere giudicate dallo sguardo degli altri.



«Ho 1500 follower e le conosco tutte. Alcune hanno un bisogno disperato di essere rassicurate, incoraggiate. Il corpo è sempre stato un grande tabù per le donne, gli uomini sono più superficiali, se sei bella ti guardano, e non ne fanno una questione di taglia. Io mi sono messa in gioco per prima - sono sempre stata tanta, alta 1,81, ho la quarta di reggiseno - e mi sono fotografata in palestra, sudata e con la panza fuori, o la mattina, appena alzata dal letto, Ho lanciato l’hashtag “e quindi?” come tormentone per minimizzare le ansie: “Ho il sedere grosso”, “e quindi?”. “Sono sovrappeso”, “e quindi?”. So che si rischia sempre l’equivoco, ma sono sincera e si capisce. Se una mi scrive: “Da quando ti leggo, non vomito più”, mi sento ripagata. Penso che il nostro dichiararci non-magre sia un vero coming-out. Dobbiamo uscire dal bozzolo perché siamo farfalle tutte quante». Fabiana è andata oltre, partecipando al progetto di Carmine Laudiero “Tra le lenzuola” (vedi box a lato). «All’inizio non volevo saperne di farmi fotografare nuda. Poi, a poco a poco, mi sono sentita a mio agio e mi sono spogliata. Abbiamo accettato in 20, tutte non modelle. È stata un’iniezione di autostima».

«Creare un dialogo è importante. Molte avranno pensato di essere le uniche, e invece il rapporto problematico con la fisicità c’è sempre, in tutti noi», ricorda la filosofa Michela Marzano, parlamentare del Pd e curatrice del “Dizionario del corpo” (pubblicato in Francia nel 2007 e non ancora tradotto in italiano) un lavoro monumentale dalla A di Astinenza alla X di Xenotrapianto, e in mezzo piercing e botox: «Parliamo tanto dell’aspetto, di diete, di andare in palestra, ma sempre in maniera superficiale e aneddotica. Non si tratta soltanto di opporsi a un diktat, ma di trovare la strada per una realizzazione individuale. Attraverso il corpo, si cerca di giocare un ruolo, dietro i chili c’è la lotta per il riconoscimento».

Se questo era l’obiettivo, i primi risultati si vedono. “Vogue” ha messo in copertina la trionfale morbidezza di Kate Upton e inaugurato un canale curvy. La lingerie per le non-magre spopola nel low come nell’high-cost, da Intimissimi, collezione Shaping, alle creazioni burlesque firmate Dita von Teese. Senza grande clamore, Jenny Packham ha introdotto le curvy nella sua collezione di abiti da sposa 2015 che arriva alla nostra 56. Forever 21 ed H&M hanno lanciato linee dedicate, e sono apparsi da Zara (ma la prima a pensarli è stata Laura Biagiotti nel 1995) gli abiti “senza taglia”: a trapezio, arricciati, “a scatola” che nonostante l’indicazione delle misure sono inclusivi ed ecumenici.

Una blusa può vestire una 42 come una 46. È nell’ordine delle cose, se i tubini strizzati restano appesi nei negozi perché le donne normali “non ci entrano”. In Italia una su cinque supera la 48. Oltre il 38 per cento fatica a entrare nella 44, il che fa un 45 per cento che, per quanto ci provi, non scende sotto la 46. Le modelle sono il 9 per cento più magre, e il 16 per cento più alte della media. Tra la donna reale e quella immaginata c’è un abisso. Urge spostare il business dallo spigoloso al tondo (il mercato vale almeno 4,6 miliardi di euro secondo Demoskopea). Eppure quanto imbarazzo c’è nel linguaggio: taglie “più”, “morbide”, “comode” o “conformate”. Eufemismi per “grasse” o “ciccione”, come insegna “Il diavolo veste Prada”. Il complimento più grande che si può ricevere a Milano, capitale delle XS è ancora: «Come stai bene, quanto sei dimagrita!».

«Eh, sì, il Nord e il Sud hanno una valutazione differente. Me ne sono accorta anche personalmente», ride Lorella Zanardo, autrice dello strafamoso documentario sul corpo delle donne, sempre in giro nelle scuole, a parlare ai ragazzi: «Millecinquecento chilometri di distanza cambiano la percezione. Ma gli stereotipi sono potenti e pervasivi.



L’amica che mi dice con affetto “sei ingrassata, perché non fai una dieta?”, mi vede fuori dal modello dominante e vorrebbe che ci rientrassi per non mettere in discussione se stessa. Senza nulla togliere alla rivoluzione curvy, vorrei ricordare che le attrici e modelle over 46 sono lontane dalla normalità. Kim Kardashian ha un grosso sedere, ma non ha la pancia, Kate Winslett è formosa, ma con le gambe magre. Candice Huffine è divina. Le umane non ingrassano soltanto sul seno o sul sedere. Rischiamo di creare un nuovo recinto, una gabbia (i maschi ne hanno molte meno) perché il corpo è mercato, intero o a pezzi, con la prescrizione della bocca, degli zigomi, del seno che devi avere. Perciò, trovo interessantissime le blogger, e il fatto che siano diventate un punto di riferimento: se parliamo del corpo senza vergogna è liberatorio per tutte. Mi è piaciuta un’iniziativa partita dall’Inghilterra e arrivata anche in Italia: “Io non sono il mio peso”. Per le donne il peso è discriminatorio. Puoi avere tre master e non essere autorevole perché sei grassa, mentre a un genio informatico non succede. Avrebbe spazio l’equivalente al femminile di Giuliano Ferrara?». Ne parla anche il pedagogista Francesco Baggiani in un saggio appena uscito nelle edizioni Clichy: “P(r)eso di mira”, un vero e proprio manifesto contro la “discriminazione ponderale”.

“Io non sono il mio peso” rischia di essere il prossimo tormentone, sposato anche dalla nostra ”curvy model” per eccellenza, cioè Elisa d’Ospina (elisadospina.com), che ha cominciato la sua battaglia nel 2007, è approdata su “Detto fatto” (Rai 2) con la prima rubrica televisiva per donne fuori misura, e ha pubblicato questa primavera “Una vita tutta curve” (Giunti), biografia, saggio e self-help. Elisa riemerge a fatica dalla montagna di lettere che le scrivono: «C’è la ragazza in conflitto con la madre, l’autolesionista, la rifatta che non si piace, la vittima degli anoressizzanti. È come leggere un romanzo triste. Io ci metto il cuore, offro speranza, sono contro il business delle diete e l’eccesso di chirurgia, le invito a farsi un regalo invece di spendere 5mila euro in liposuzioni, lavoro per introdurre l’educazione alimentare nelle scuole. Non sono una psicologa o un medico, non salgo in cattedra, condivido la mia vita con altre vite, sdrammatizzo, e pur essendo una modella, il mio blog è frequentato soprattutto da donne (forse le mie foto non sono abbastanza sexy?). Ho elaborato una serie di risposte ironiche per quelle che restano senza parole davanti a un fidanzato insistente sul tema “dimagrisci o ti lascio”. Suggerisco: se qualcuno vuole andare via dalla tua vita, dagli una spinta».

Le blogger non sono la risposta, sono la domanda. Elisa Dal Forno, partita dai suoi 90 chili e dal vizio del caffè (tre moka da sei tazze al giorno) è diventata chef crudista vegana, la prima in Italia. Ha ascoltato i segnali del corpo. Si è “disintossicata”. Ha scoperto in altre il suo stesso disagio, l’ ha condiviso e superato: trovate le sue ricette su http://rawathome.com/elenadalforno. Non c’è una soluzione buona per tutte, ma c’è una sofferenza comune, molte volte inespressa.

«Usciamo da trent’anni in cui la negazione dell’imperfezione è diventata ideologia. Abbiamo l’esigenza di liberarci dal modello della perfezione, che poi è quello del controllo», spiega Michela Marzano: «La bellezza, l’età, la “linea”: non si può controllare tutto, è una battaglia persa in partenza. Non si può vivere di apparenza, essere giudicati prima ancora di aprire bocca, dalla taglia e dai capelli. Per me contano le parole e non il look, conta quello che dico. Il corpo è ciò che si condivide, ma noi siamo soprattutto altro. C’è una maggiore percezione in questo senso, c’è qualche segnale positivo, ma il rischio che la reale sofferenza sia strumentalizzata a fini commerciali, che le voci della diversità servano a creare altri mercati è sempre piuttosto alto. Il modello della donna morbida può trasformarsi in caricatura o generare un nuovo tipo di conformismo. Da un lato si valorizza la differenza, dall’altro si tende a cancellarla, inglobandola. Il sistema è adattabile, onnivoro, lo spazio che produce utili viene subito occupato, invaso, l’industria del desiderio non si ferma mai».

Eccolo, il tasto delicato: e se il punto d’arrivo fosse mettere le curvy nell’area del politicamente corretto, fare una mailing list e consegnarla al marketing? Fabiana Sera taglia corto: «Non accetto sponsorizzazioni», e non è la sola, ma la Rete è già affollata di offerte, proposte, lusinghe che puntano al corpo e lasciano fuori l’anima.
Michela Marzano, che ha raccontato l’anoressia (“Volevo essere una farfalla”) e i sentimenti mettendo in gioco anche la sua storia personale (l’ultimo libro è “L’amore è tutto”), ritorna al cuore della questione: “Il corpo ci definisce, è vero, ma nessuno di noi può essere ridotto a qualcosa di misurabile, con un metro o con una bilancia. Il vero problema non è il peso. È darsi peso da soli».