Erano due attori semi-sconosciuti. Ora sono due star, grazia alla fiction dei record ispirata al libro di Roberto Saviano che Rai Tre ripropone in chiaro dal 10 gennaio. Ritratto dei due protagonisti

Faranno fatica a liberarsi di loro, anche se ci stanno provando. Salvatore Esposito e Marco D’Amore hanno, senza volerlo, una doppia vita. Nella serie Gomorra sono Gennaro “Genny” Savastano, il figlio del vecchio boss Don Pietro, e il suo soldato migliore, Ciro Di Marzio, l’Immortale. Sono una coppia di anti-eroi oscura e affascinante che ha generato fan club, polemiche, innamoramenti. Sono attori, bravissimi e semisconosciuti diventati di botto ultrapopolari, inseguiti da folli proposte di pellegrinaggi in discoteche e inviti a feste che quasi li imbarazzano.

È il prezzo che pagano per essere entrati nella pelle di due camorristi inventati, ma parecchio verosimili. Il successo è stato travolgente e gli sceneggiatori sono già al lavoro sulla seconda stagione. Fiore all’occhiello di Sky Atlantic, Gomorra-la serie (12 episodi, 700mila ascolti medi) ispirata al romanzo di Roberto Saviano, regia di Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellin, è stata venduta in 50 nazioni.[[ge:espresso:visioni:1.169175:article:https://espresso.repubblica.it/visioni/2014/06/12/news/donna-imma-non-esiste-gomorra-vista-da-scampia-1.169175]]

Dal 10 gennaio, sbarcherà su Rai Tre, due puntate per sei settimane.

Ai francesi di Canal Plus è bastato un trailer di quattro minuti per comprarla. Harvey Wenstein, produttore da Oscar, l’ha presa al volo. Variety l’ha definita «la risposta italiana a “The Wire”». C’è di che montarsi la testa, obiettivamente. Ma loro no. Hanno i piedi per terra - la terra è Napoli - e due percorsi diversi, sofferti, che li hanno scolpiti con mutamenti fisici importanti: ingrassare e dimagrire come Christian Bale, Tom Hanks, Mathew Mcconaughey, cosa che in Italia di solito non usa.

«Nelle prime puntate», racconta Salvatore-Genny che ha occhi castano scuro, cupi, vellutati, e una struttura imponente da ex giocatore di pallanuoto, «ho preso quasi dieci chili perché dovevo essere il ragazzo di vent’anni - e io ne ho 28 - chiattone, imbranato, romantico. Ho fatto l’ultimo provino il 29 dicembre, c’erano le feste, mi è bastato non frenarmi a tavola. Sono arrivato a 114 chili. Poi però, quando Genny torna dall’Honduras, dove è andato a trattare la droga con il cartello, ne ho dovuti perdere 20 di chili, con due ore e mezza al giorno di allenamenti, mamma mia, e il nutrizionista che mi misurava ogni settimana…. La trasformazione è stata totale. Il ragazzo non c’era più. C’era il boss, con i capelli taglio mohicano, tatuato e spietato. È piaciuto da pazzi, sono arrivati in dodicimila sulla pagina Facebook, ho triplicato i followers su Twitter, sono raddoppiate le interviste. Nelle prime tre settimane Genny non se lo cagava nessuno, neppure i miei parenti, al settimo episodio, tutti a dire uè, quanto sei bravo!»

Curioso, ma la dieta e i capelli (ricci, nel suo caso rasati a zero) sono stati importanti anche per Marco D’Amore, 33 anni, attore di teatro cresciuto con Andrea Renzi e Toni Servillo, scelto tra 600 per la parte di Ciro. «Sollima mi ha detto: tra due mesi torni con venti chili in meno, voglio vedere gli spigoli della faccia». Addio pizza fritta, sformati, dolci, e sotto Natale per giunta, con i pranzi della nonna. Marco è alto 1,79 e post Gomorra pesa 76 chili. Ne ha persi 25. «Immortale a Napoli significa che sei un soldato, sei tu che uccidi. Devi avere il fisico e lo sguardo: duro, dritto, di chi conosce il mondo».

Lo sguardo di Ciro è verde, aguzzo come una scheggia di vetro, mentre quello di Marco è più dolce (la fidanzata potrebbe confermare). Non a caso il suo soprannome è “Mucillo”, gattino. E cangianti sono i suoi occhi: verde bottiglia, chiari, acquatici, e addirittura, sostiene lui, a volte gialli. «Ciro è come Iago dell’ “Otello”, sono tutti e due soldati, uomini di fuoco - e a un militare ho pensato nell’economia e nella freddezza dei suoi movimenti - psicologicamente simili, distruttivi. Iago trascina giù tutti, compreso se stesso. Ciro sembra uscito da una tragedia shakespeariana: fedeltà, dovere, figli che devono uccidere i padri per conquistare il loro posto».

A Marco spiace che la biografia del suo personaggio sia rimasta nell’ombra perché un po’ lo spiegherebbe, «ha perso i genitori nel terremoto del 1980, a quattro anni è finito in un orfanotrofio, dove ha vissuto la sua piccola educazione criminale: che chance aveva?». Ha cercato nella sua memoria per capirlo.

«Sono cresciuto a Caserta, ho frequentato lo stesso liceo scientifico di Roberto Saviano, io al primo anno, lui al quinto. Ho incrociato una sacca di piccola criminalità. In strada dovevi essere sveglio per cavartela. Ho assistito a episodi di violenza, a scippi, e per quanto le cose siano cambiate, girare a Scampia, che era la piazza di spaccio più importante d’Europa, faceva un milione di euro al giorno, mi ha dato un senso di vertigine. Entravamo nelle case della gente, dove vivono bambini che avrebbero diritto alla bellezza e invece crescono tra le macerie. Questi bambini sono fratelli miei, hanno un’intelligenza che gli altri se la sognano, eppure molti sono destinati a bruciarsi, a perdersi. Ho letto Gomorra in tempi non sospetti, in fotocopia durante una tournée, e ho riconosciuto la sua forza. Poi con Saviano ci siamo incontrati, io sono stato da lui a New York, e su questa fratellanza intellettuale stiamo costruendo un’amicizia».

Ciro somiglia a Saviano nella struttura del viso, impossibile non notarlo, e c’è stata qualche dietrologia. «Ho sentito dire cose assurde, tipo che hanno scelto me per fare l’apologia di Roberto, figuriamoci. Hanno anche scritto che sono sexy, che sono il nuovo Marco Bocci, ma questa almeno è divertente».

Un po’ meno divertente l’indignazione rituale, non contro la realtà, ma contro la fiction. Si arrabbiano a Scampia e a Giugliano, accusano la serie di dare un’immagine falsa e violenta del territorio, di creare miti negativi. Smorza Salvatore: «L’America ha mitizzato in lungo e in largo i suoi gangster, lasciamo perdere …Qui non raccontare le cose equivale a esserne complici. Io sono nato a Napoli e cresciuto a Mugnano, a 500 metri da Secondigliano, ho avuto a che fare con figli di boss, gente poco raccomandabile, ma mi portavano rispetto. Se dovevo litigare, litigavo. Sono alto 1,83, ho le spalle larghe, le gambe e le braccia grosse, non attacco briga in discoteca, ma se mi fanno arrabbiare divento pericoloso». Ed è lì, in fondo alle emozioni di guerre per fortuna non combattute, che Salvatore Esposito ha trovato il suo Genny, crestato e feroce, che è piaciuto anche a Saviano: «Mi ha scritto, mi ha fatto un sacco di complimenti».

Fa effetto confrontare la carriera criminale del giovane Savastano con il fuoco interiore di questo ragazzo che ha avuto il suo esordio tv con “Il clan dei Camorristi” nel 2013 e non resterà a lungo single (troppe fanciulle adoranti). Padre barbiere, madre casalinga, una sorella, Anna, un fratellino, Christian, liceo linguistico, media del 29 all’Università (era iscritto a management per imprese internazionali) è andato a lavorare da McDonald’s, perché nello studio non vedeva possibilità.

«Capisci perché è ancora più bello il sogno? Io facevo i panini… Assunto a tempo indeterminato, eh, 1300 euro al mese, che non sono pochi, tredicesima, quattordicesima, e quel posto l’ho lasciato a 24 anni per studiare recitazione a Roma. Ho detto a mia madre “non sono felice così”, lei ha capito, i miei mi hanno aiutato, anche se è stata una botta pesante. Facevo il cameriere ai banchetti, ai catering, e la famiglia mi mancava. A Gomorra sono arrivato tardi. Avevano visto 1500 attori e non attori tra i 20 e i 25 anni. Io davo le battute ai provini. Poi il provino l’ho fatto io, e Gomorra mi ha cambiato la vita. Gente che nemmeno mi filava, adesso te la trovi sotto casa, e “quanto sei bello”, e “fatti i capelli come Genny”, anche se una sera, in discoteca non mi volevano lasciar entrare: con la cresta mettevo paura e un’amica ha dovuto garantire per me». In questo intrecciarsi di vite e inizi difficili, Salvatore e Marco hanno in comune un legame viscerale con il territorio e la famiglia.

«Napoli è il focolare dove mi vengo a scaldare» dice Marco, «è la mia città di riferimento culturale, conosco gli artisti, tradizione musicale… Ho avuto la fortuna di avere tante passioni, e la musica per me è un bene prezioso, ho una formazione classica - flauto traverso e clarinetto, suonavo in orchestra - ho fatto tante compagnie amatoriali, poi tre anni alla scuola Paolo Grassi a Milano. A Milano devo molto, ma devo molto anche a miei, papà infermiere e mamma insegnante, due matti scatenati che mi hanno tirato su tra letture e spettacoli. Sono stato sostenuto in maniera silenziosa e gentile dalla mia famiglia e siccome non ho rendite, ho fatto il cameriere, il clown di strada, le feste dei bambini e lo ricordo con grande gioia. Non ho mai pensato al cinema se non come spettatore, mi auguravo la vita bohémien con la carovana del teatro, povero, ma artista. Mi interessa poco la popolarità, il ritorno economico, quel poco che ho guadagnato lo metterò in un film sulla storia dello scandalo Eternit».

Sembra che Marco abbia già salutato Ciro. «Con Gomorra ho un credito sia morale che contrattuale. Ci sarò, se il mio personaggio avrà una seconda stagione. Per il resto, io con i cattivi ho chiuso. Emotivamente non ce la faccio, non voglio più sentir parlare di pistole e ammazzamenti, e ho già rifiutato un po’ di cose del genere. Ho ragionato tanto prima di accettare Gomorra: un anno dentro quella distruzione è stato difficile. La scena in cui Ciro tortura la fidanzatina di Davide che era molto più lunga, è stata pesante. Sono contento che l’abbiano tagliata. Si rifà alla morte di Gelsomina Verde, una ragazzina di 15 anni, ammazzata per vendetta. Già avevo il carico di quel ricordo e stavo in una location spettrale con lei legata, e truccata, maciullata…Quando mi sono rivisto ho provato un senso di estraneità, di distanza. Non ero io, quello».

Anche Salvatore Esposito si terrà alla larga dalla camorra, assicura.«Stiamo scherzando? Ho fatto la serie più figa possibile, adesso basta». Con l’allegria del successo che legittima la possibilità di sognare in grande, confessa una grande attrazione per i supereroi come Superman («Bello “Man of Steel”, io potrei fare Genny ‘o Steel») e Batman («Sono un fan sfegatato del Cavaliere Oscuro») ma più di tutti gli piacerebbe essere James Bond, nella versione di Daniel Craig, «perché Sean Connery è troppo, troppo più affascinante di me»