Viva la libertà è nato dal desiderio di far irrompere sulla scena della politica italiana qualcosa che non c'è, qualcosa che a noi tutti appare ancora oggi come un miraggio: il vento della libertà e del cambiamento. Come ha detto Albert Camus, quando non c'è speranza si ha il dovere di inventarla. Il film racconta la fuga di un segretario di partito, leader di quell'opposizione cui negli ultimi vent'anni abbiamo affidato le nostre più irriducibili istanze di rinascita della società italiana. La sua fuga a Parigi in casa di ?una donna che in gioventù ha amato provocherà una reazione imprevista a Roma, la sostituzione a leader del partito con un fratello gemello, geniale filosofo affetto da depressione bipolare.

È un film "leggero", in cui ho raccontato lo spaesamento della politica ma ancor di più della vita, anzi, quel legame tra la politica ?e la vita che in Italia si è da tempo interrotto. Il volto funereo e malinconico di un potere che non possiede più un linguaggio adeguato alla realtà coincide con il volto, in tutto e per tutto identico, di un "matto" che con passione e intelligenza, sapienza e senso d'umana pietà, sa restituire prestigio alle parole della politica.

Nel film si ride molto, ed è accaduto che nel corso della sua fortunata e prolungata presenza in sala, molto spesso, alla fine, il film ricevesse un caldo applauso, cosa che avviene di rado, e per la quale sono molto grato al pubblico - a teatro il saluto del regista e degli attori è previsto, al cinema no. ?Il successo di "Viva la libertà" ha accompagnato le varie fasi ?di stallo prodotte in questi mesi dalla politica italiana, in un crescendo di somiglianze con le vicende raccontate dal film sulle quali nessuna immaginazione poteva fare conto. C'è stato anche il grandioso gesto di dimissioni di un papa, e la scelta, di grande legittimazione per la Chiesa, di un nuovo papa, l'estraneo Francesco Bergoglio. Un uomo che si è messo a parlare un linguaggio sorprendentemente nuovo. Segno che nel gioco tra la finzione e la realtà si scommette su cose che possono anche avvenire. Un filosofo che conosce bene la politica, Massimo Cacciari, ha scritto a commento del romanzo da cui è tratto il film, "Il trono vuoto" (Bompiani), che «il potere è maschera nella sua essenza; chi lo esercita nasconde in sé sempre un estraneo. E questo estraneo appartiene alla sua natura esattamente quanto un fratello gemello. Il potere è assolutamente impotente a fuggire da tale rapporto, per quanto lo tenti. Così, alla fine, pur attraverso ogni sdoppiamento, la differenza risulta inessenziale, e occorre riconoscere l'identità del potere in quanto finzione». È un commento che molti riconosceranno prezioso anche per il film, da me scritto insieme ad Angelo Pasquini. Non avrei mai corso il rischio di trarre un film da una mia opera letteraria senza l'adesione di Toni Servillo, al cui duplice genio il film deve moltissimo.

Così come deve tantissimo a Valerio Mastandrea, la cui stupefacente leggerezza ha ormai un'inarrivabile misura di profondità, e al complice talento degli altri attori e attrici, Gianrico Tedeschi, Massimo ?De Francovich, Andrea Renzi, Valeria Bruni Tedeschi, Michela Cescon, Anna Bonaiuto. L'apporto e il sostegno di Rai Cinema, ?e cioè di Cecilia Valmarana, Samanta Antonnicola e del direttore Paolo Del Brocco, mi è stato prezioso. Per non parlare di quanto devo a ognuno dei miei collaboratori, e, in primis, al mio produttore, Angelo Barbagallo. Ma questo lui lo sa già.