I toy designer progettano i giocattoli del futuro. Cercando di prevedere le fantasie dei piccoli in un mondo senza certezze 

Vanno nei giardini a osservare i bambini che giocano, frequentano gli asili per studiare le dinamiche, leggono con grande curiosità i blog delle mamme, prendono appunti quando parlano con i genitori. Progettano quasi sempre in coppia o in gruppo. Vanno alla ricerca dell’idea giusta: quella in grado di cogliere le fantasie dei bambini e capire il loro mondo, cercando di intercettare il loro mutevole immaginario.

Sono i toy designer, i nuovi inventori di giochi: un drappello di giovanissimi, poco più che ventenni, che sta cercando di immaginare gli scenari futuri dell’infanzia, di prevedere quali saranno le fantasie di bambini che vivono in un mondo senza più certezze. Sono i ragazzi che frequentano i corsi del Polidesign di Milano dove è stato avviato il Corso di Alta Formazione in Design del Giocattolo, in collaborazione con Assogiocattoli, una novità nel panorama italiano ed europeo.

L’Italia è la patria di Montessori, Rodari, Pinocchio. Ha gli asili di Reggio Emilia - un modello in tutto il mondo - ha gli unici disegnatori autorizzati della Disney. Ma nonostante una spiccata sensibilità per l’infanzia non ha mai avuto uno specifico spazio creativo, produttivo, dedicato al mondo dei giochi. Così il mercato dei giocattoli procede con inerzia, adagiato su rassicuranti certezze a livello di invenzioni, dislocato perlopiù in Cina per quanto riguarda la produzione. Per riempire un vuoto formativo e di made in Italy è nata l’iniziativa del Politecnico, che ha attirato anche studenti stranieri. Il gioco e il giocare stanno diventando un terreno d’investimento non solo in Italia: mesi fa l’Unione europea ha dedicato una giornata proprio a questi temi, il “Play Day Europe”, istituito quest’anno per la prima volta, un giorno dedicato al “diritto al gioco”. E anche di questo si discute tra i toy designer, uno spicchio di quella nuova generazione che statistiche e sociologia, la crisi come chiave di lettura dell’esistente, non riescono a raccontare. Una generazione creativa, flessibile, positiva. Che attraverso i giochi che inventa racconta anche se stessa.

«Il mio sogno è creare un giocattolo che lasci una traccia nel bambino, qualcosa che quando lui sarà grande, fra trent’anni, ricorderà ancora. Credo che un gioco sia riuscito se un adulto tornando indietro con la memoria ripensa con nostalgia a quel gioco e ai momenti felici che con esso ha trascorso». Elena Merengoni ha 23 anni, viene da Pavia, in tasca una laurea triennale in design industriale e molti progetti. «Il mio obiettivo è la progettazione a largo raggio sul mondo dell’infanzia. Mi piacerebbe usare le mie competenze al servizio dei bambini, il giocattolo potrebbe essere una parte». Anche lei, come gli altri, lavora utilizzando molto l’osservazione sul campo: «Mi piace guardare il bambino che gioca, come interagisce, che soluzioni cerca. I bambini sono persone che si stanno formando, penso che sia importante offrirgli degli stimoli, far fare loro delle esperienze. Sono persone in crescita, la nostra sfida è interagire con loro offrendogli delle occasioni di crescita». Elena usa uno slogan efficace,“Il lavoro non si trova ma si crea”: niente passività aspettando la “buona occasione” ma molta progettualità per creare opportunità. La sua idea di imprenditorialità è quella in cui si stanno già cimentando molti giovani tra piccole imprese e start up. «Credo moltissimo in una forma di imprenditorialità individuale, qualcosa che si basi su una rete di relazioni e interessi. Mi piacerebbe aggregare competenze, credo nel fare imprenditoria come modo per creare opportunità, una forma di impresa nuova che sia al servizio di qualcuno, che parta dal basso, dia idee e servizi».

Il gioco che ha ideato si chiama Lello: può essere un ombrello per la pioggia, uno slittino, una piscina, una casetta, tante cose da immaginare con la fantasia. Lello è stato progettato insieme ad altri studenti, tra loro Sabrina Doro, 24 anni, di Torino. «Credo che un giocattolo per essere “giusto” debba trasmettere dei valori positivi. Ci sono delle scorciatoie che permettono di vendere ma non sempre sono buoni prodotti, spesso istigano alla violenza o portano i bambini a chiudersi in se stessi. Io invece penso che un gioco debba dare degli insegnamenti». Sabrina quando era piccola amava giocare con Barbie, cambiarle i vestiti, arredare la sua casetta, ma oggi lei e gli altri toy designer non credono molto alla differenza di giochi per maschi e femmine. Il mondo diviso in categorie sessuali rigide è superato. «Nella progettazione si deve tendere a annullare le differenze, è sbagliato associare un tipo di gioco a un sesso. Alla base ci deve essere il divertimento». Una tendenza allo stravolgimento dei generi che è già in atto considerato che esistono cucine pensate proprio per maschietti.

Per la progettazione di giochi gli studenti fanno ricorso anche a ricerche che servono a capire quali saranno gli scenari futuri, perché un gioco progettato oggi sarà il passatempo del bambino di domani. «Abbiamo tratteggiato l’identikit del bambino del 2020: uscirà sempre meno, si ridurranno gli spazi disponibili per il gioco all’aria aperta, è quindi importante che i giochi gli facciano venir voglia di uscire. Pensiamo che ci sarà sempre più energia naturale autocreata e autoprodotta, quindi meno uso di elettricità e batterie. Il bambino del futuro lo immaginiamo anche come un grande comunicatore, allenato a passare dalla realtà fisica a quella virtuale ma sempre bisognoso di aver un compagno di giochi, che sia in carne e ossa o un giocattolo del cuore».

Dietro la progettazione di un giocattolo ci sono interrogativi etici ma anche esigenze commerciali. «Con un gioco si può guadagnare molto solo se si è bravi a creare intorno a quel prodotto tutto un mondo: se insieme al gioco si crea un sistema, come i cartoni animati, i gadget», dice Bernardo Corbellini, 32 anni, laureando in architettura ma già con una sua piccola società. «Ho fatto l’educatore negli orfanatrofi della Romania e con i bambini della Palestina, ero indeciso se fare il progettista o l’educatore, con questo lavoro ho finito per fare tutte e due le cose. Quando stavo con i bambini capitava spesso di dover inventare un gioco velocemente e questo tipo di esperienza mi è servita molto. Poi con Bice Dantona, anche lei studentessa del corso, abbiamo deciso di fare una società che si occupa di tutto il mondo dell’infanzia, offriamo servizi, progettazioni».

Sono tante le difficoltà nel creare un giocattolo, non serve solo la fantasia. «È un settore diverso da tutti gli altri perché chi compra non è il bambino, ma il suo genitore e anche di questo bisogna tener conto. Un altro limite viene dal fatto che c’è una normativa rigida che pone molti paletti. Esiste, per esempio, un simulatore dell’esofago di un bambino per capire se una pallina rischia di essere ingoiata; ci sono regole rigide anche sulla lunghezza e sul diametro di una corda, certe parti delle bambole non si possono staccare e se si staccano non devono essere inghiottibili».

Bernardo Corbellini ha ideato insieme ad altri “Lucillo”, un cavalcabile che trasforma in luce l’energia cinetica del bambino. Di giorno si gioca e di notte si illumina esaurendo lentamente l’energia immagazzinata. Senza batterie o elettricità.

«Questi sono giovani impegnati, preparati, allenati al lavoro di gruppo, che non si adagiano con l’alibi della crisi ma costruiscono», spiega Luca Fois, docente del Politecnico, curatore del Corso e organizzatore di una Toy Library all’interno della Design Library di Milano. «Oggi la domanda di qualità nel giocattolo è maggiore dell’offerta, c’è un buco nella formazione e nel mercato che cerchiamo di colmare. Vorremmo creare anche un Forum per far circolare le informazioni, cerchiamo di creare collegamenti con le aziende e i consumatori. Questi corsi servono soprattutto come base per progettare intorno al bambino, auspichiamo un “kidnascimento” che metta il bambino al centro di tanti progetti».

Programmi ambiziosi, che vedono molto disponibili le aziende. «Bisogna far conoscere il valore positivo del gioco, sostenendo questi progetti», dice Paolo Taverna, direttore di Assogiocattoli. «Alcuni studi testimoniano come il fattore che influenza di più lo sviluppo cognitivo del bambino durante l’infanzia e l’età prescolare, oltre al coinvolgimento della madre, è la disponibilità di materiali per il gioco». Un ruolo, quello dei giocattoli, spesso sottovalutato. «In Italia l’inventore dei giochi a volte è il titolare dell’azienda, aiutato da qualche collaboratore che parla con le maestre o la zia».

Ma ora qualcosa sta cambiando. Nascerà una Toy Designer List ufficiale. Intanto alcuni dei progetti realizzati dagli studenti sono già stati presentati in fiere internazionali.
E quale sarà il giocattolo del futuro? «Ci sarà una commistione tra gioco e tecnologia», dicono i giovani inventori, «e un ambito di sviluppo importante sarà sicuramente quello delle app. Le applicazioni saranno il nuovo business»