«Stiamo vivendo un momento di trasformazione epocale. In cui le persone iniziano a capire che la spiritualità, il rispetto per l'ambiente, la sostenibilità e l'armonia non sono utopie altruiste: sono l'unico scenario possibile». Parla il filosofo Ervin Laszlo

Io sono parte del mondo. Il mondo è in me e io sono nel mondo». Comincia così il "Manifesto della Nuova Consapevolezza" in sedici punti che Ervin Laszlo ha appena scritto, una sintesi del suo pensiero e un invito al cambiamento.

«Se vogliamo affrontare e risolvere i problemi, dobbiamo seguire Gandhi ("Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo") e Einstein ("Non puoi risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha creato il problema"). Dobbiamo abbandonare convinzioni forti, ma spesso non verificate, e credenze obsolete».

Ervin Laszlo, filosofo della scienza nato tra le due guerre mondiali, fondatore del Club di Budapest e candidato al Nobel per la pace nel 2004, è un vecchio-giovanissimo. Gli è rimasto qualcosa del bambino prodigio di un tempo, quando teneva sessanta concerti di piano in un anno, e mentre le mani volavano sulla tastiera la sua mente era altrove. Ha lasciato la musica per la scienza, e la scienza per la filosofia. Ha insegnato in America, Europa e Asia. È andato oltre Darwin elaborando la teoria generale dell'evoluzione. Adesso, a 76 anni, dà lezioni via Internet (www.wisdomuniversity.org, dal 27 febbraio), è costantemente connesso con il suo editore in California ed è un vivace sostenitore degli e-book, felice della possibilità di moltiplicare studenti e lettori come mai è stato possibile a un filosofo (l'ultimo lavoro è on line: www.akashaparadigm.com). Laszlo ha visto nascere e morire il '68 e il '77, il terrorismo e l'ubriacatura liberista, e negli ultimi quindici anni è stato la coscienza critica di un mondo che gli ha dato in verità poco ascolto, ma che comincia riconoscere le sue ragioni: perché la crisi "ecol-nomica" ("ecologica ed economica") riguarda tutti. Come nel proverbio cinese che ama citare: "Se non cambiamo direzione, con tutta probabilità arriveremo dove siamo diretti". Al disastro. In uno dei suoi moltissimi saggi, "Il punto del caos", pubblicato nel 2007, scriveva che il 2012 era il termine ultimo per fermare la corsa dissennata verso l'autodistruzione. Così glielo chiediamo con un certo di timore:

Professore, siamo ancora in tempo?
«Sì, penso di sì. I mutamenti avvengono rapidamente, non solo in natura ma anche nella cultura, nel modo di pensare e agire. James Lovelock, che ha avuto l'idea di pensare Gaia, la Terra, come un organismo vivente e cosciente, ha sempre sostenuto che solo la natura riesce a produrre veri mutamenti, che l'umanità non cambierà. Siamo alla soglia del caos, siamo a una biforcazione cruciale, ma possiamo cambiare».

Quali segnali vede?
«L'aumento della spiritualità e delle tecniche di meditazione. La crescente attenzione per l'ambiente. La gente comincia a capire che così non si può continuare. La sostenibilità non è un concetto astratto, è qualcosa che prende forma nella nostra coscienza. Sta nascendo una nuova letteratura, una nuova concentrazione di idee, vedo grandi manifestazioni di interesse nel far rete, nel mettersi insieme. È come se un gigantesco puzzle si stesse ricomponendo. Il 6 dicembre ho tenuto una lezione via web: si erano registrate centomila persone. Per raggiungerne tante contemporaneamente avrei dovuto usare la telepatia. Oggi la telepatia è Internet».

Il cambiamento è un'opzione o una necessità?
«Una necessità senz'altro. Possiamo scegliere se realizzarlo in fretta , sull'onda della crisi dolorosa che stiamo vivendo e percepire il buono della crisi (perché c'è, come in tutte le rivoluzioni) oppure farlo con le spalle al muro, pressati dai problemi. L'homo sapiens è intelligente, beh vediamo quanto. L'intelligenza sta nell'anticipare, non solo nello sperimentare. È questa la sfida. Il primo passo è la comprensione, il secondo la consapevolezza della necessità. E non c'è un percorso obbligato. Possiamo arrivare a questa nuova visione attraverso l'arte, la spiritualità, la religione, la scienza».

Che cosa faremo in concreto?
«Ripartiremo da noi stessi. È l'individuo che deve essere sostenibile. Non deve consumare energie non rinnovabili, per quanto è possibile, non deve sfruttare o buttar via in maniera indiscriminata. Dobbiamo cambiare visione. Per molto tempo abbiamo seguito i criteri dell'economia classica. Abbiamo considerato l'economia il sistema principale, e la natura un sottosistema. Bisogna trovare il coraggio di rovesciare la prospettiva e dire che è il contrario. Passare a un pensiero dove l'umano è integrato e non dominante. Sette miliardi di persone devono sopravvivere e svilupparsi. Ed è possibile solo in armonia e coerenza con la natura».

La natura non è violenta?
«La violenza fa parte della catena della vita. Ma, a differenza del nostro sistema, in natura la violenza viene esercitata soltanto se necessaria, non per puro piacere o per profitto. La natura è coerente, siamo noi a essere diventati incoerenti».

Qualche esempio di affermazioni sbagliate nelle quali abbiamo creduto o ancora crediamo?
«Eccone alcune: 1) Ognuno persegue giustamente il proprio interesse. 2) Quando ciascuno serve il proprio interesse fa anche del bene: dopotutto il mercato distribuisce i profitti. 3) La vita è una lotta per l'esistenza: solo i più forti sopravvivono. 4) Nella lotta per essere i migliori (in fatto di potere, ricchezza e successo) il fine giustifica i mezzi. 5) Più soldi hai, migliore sei. 6) Se vuoi la pace, preparati per la guerra 7) La risposta è: «Più tecnologia e più efficienza», qualunque sia la domanda. 8) Per soddisfare le nostre esigenze, la natura è una fonte inesauribile di risorse e un bidone della spazzatura infinito. Potrei continuare».

D'accordo, un intero sistema al tramonto. Hanno ragione dei profeti della decrescita come Serge Latouche?
«è diverso il punto di vista. Io non parlo di decrescita, ma di trasformazione. Di crescita alternativa. Se vado a fare shopping in bici, anziché in auto, forse fatìco, ma è più sano e mi fa bene. Consumare meno, o in modo diverso, può aiutare a vivere meglio. Io ho abitato per dieci anni a New York e sono scappato nella bella campagna toscana. Ho un orto, produco, mangio quello che produco, sono più consapevole ed efficiente. Le nuove tecnologie ci possono essere d'aiuto. Quando vedo bike sharing e auto elettriche nelle grandi città, capisco che il cambiamento è in atto. Dobbiamo soltanto accelerarlo».

In che modo?
«Sviluppando le energie rinnovabili, esplorando i mercati legati alle nuove tecnologie, credendo nell'economia etica. L'etica è in molti casi un elemento decorativo del business: uso una parte dei profitti per aiutare qualcuno e metto a posto la mia coscienza. Invece l'etica deve diventare sostanza: la parte positiva deve essere integrata. Fare profitto e fare del bene non possono essere in alternativa. Guadagnare e migliorare la vita degli altri è possibile (pensiamo alla Banca Etica): allora sì saremo coerenti. Scopriremo che la consapevolezza può produrre utili».

E' dura però cambiare atteggiamento, non crede?
«Certo, immagino sia difficile. Però molti giovani che non hanno voglia di entrare a far parte di un meccanismo distruttivo, che hanno ideali e non sono accecati dalla follia dell'avere, stanno già lavorando in modo diverso. Non cercano soltanto rapporti di interesse, ma rapporti umani. Quando parliamo di "power of love" non parliamo di New Age, parliamo dell'umanesimo che ha fondato la grande tradizione europea. Del Rinascimento. Non c'è sviluppo in solitudine, bisogna tornare alla soddisfazione del lavoro, ormai perduta. Oggi il lavoro è fonte di angoscia perché non ce l'hai, perché se ce l'hai devi accettare qualsiasi condizione. Le scienze e la fisica quantistica spiegano che tutto è collegato, che siamo un insieme di destini interconnessi. La consapevolezza non è un sottoprodotto del cervello, fabbricato da un insieme complesso di neuroni. È qualcosa che pervade l'intero universo».

Dobbiamo passare da un sistema basato sull'egoismo a uno basato sull'altruismo?
«Non è altruismo. è convenienza. Il benessere dell'altro è il mio. La mia responsabilità si estende a tutti quelli che sono toccati dalle mie azioni. I miei vicini di casa e gli operai della fabbrica dove stanno costruendo il telefono che userò. Ogni azione è globale, planetaria, per le imprese come per i singoli individui. Durante i concerti, quando ero un giovane musicista, avevo la sensazione di essere parte di un universo più grande. Se comprendiamo questo, ci sarà più solidarietà, e un rapporto migliore con la natura e tra gli esseri umani».

E lei come si vede in mezzo a tutto questo?
«è un momento affascinante ed eccitante. Sono molto contento di essere vivo adesso».