Esce 'I tre inverni della paura', il nuovo romanzo storico di Giampaolo Pansa. Ambientato nel 'triangolo della morte'. Una storia d'amore e centinaia di delitti. Ne pubblichiamo un capitolo

Togliatti si preparò con cura alla missione reggiana. Mise nella cartella due documenti pericolosi per i compagni di Reggio. Il primo era un rapporto del 20 agosto 1946, inviato dal prefetto Potito Chieffo al ministero dell'Interno. Il secondo, del 7 settembre, era la relazione stesa da un ispettore dello stesso ministero, inviato a Reggio Emilia da De Gasperi, subito dopo l'uccisione del sindaco di Casalgrande.

Quest'ultima informativa rivelava una serie di circostanze che si riscontravano in quasi tutti i delitti del dopoguerra nel Reggiano. Erano stati sempre compiuti di sera, quando il buio copriva agguati, sparatorie, sequestri e omicidi. Gli assassini agivano in gruppi di tre o quattro persone. Le armi usate erano rivoltelle e mitra, mai fucili. La vittima veniva raggiunta e colpita in casa o nelle immediate vicinanze dell'abitazione. Ogni volta, gli assassini si presentavano mascherati, con fazzoletti rossi o neri. Era una descrizione perfetta degli Squadroni della morte. Infine, a proposito del delitto Farri, il fascicolo puntava il dito contro una banda di partigiani rossi, ormai identificata.

A rendere più inquieto il Migliore c'erano infine le conseguenze dell'omicidio di don Pessina. La ronda comunista a San Martino in Piccolo aveva ucciso il prete alle ore 22 del 18 giugno 1946. E l'amnistia varata da Togliatti quattro giorni dopo comprendeva tutti i delitti politici compiuti sino alle ore 24 del 18 giugno. A Reggio qualcuno aveva subito osservato che i termini di quel provvedimento di clemenza erano stati studiati apposta per mettere al sicuro gli assassini del parroco.

Tutto questo avrebbe già dovuto bastare. Ma agli occhi di Togliatti, l'effetto più pernicioso di quel delitto era un altro. La morte di don Pessina aveva scatenato l'ira del nuovo vescovo di Reggio. E il partito si era accorto subito di avere in monsignor Socche l'avversario più deciso. L'avevano capito per primi i compagni di Cesena, la diocesi di provenienza del prelato. (...)

Togliatti arrivò a Reggio Emilia nella tarda mattinata di lunedì 23 settembre 1946. E si recò a casa del sindaco Campioli che si era offerto di ospitarlo. Qui gli portarono i giornali emiliani e lui cominciò subito a sfogliarli.

Il leader del Pci considerava molto importante la carta stampata, l'unico media efficace allora esistente. Si occupava dell''Unità', il quotidiano del partito, con una cura costante, quasi maniacale. Però leggeva con altrettanta attenzione i fogli avversari. La propaganda comunista li considerava cartaccia. Ma non era questa l'opinione del Migliore.

Tra i giornali che gli portarono a casa di Campioli, trovò di certo gli ultimi numeri della 'Nuova Penna'. Quello di luglio e i due di agosto. Togliatti si rese conto che non era per niente 'un libello sedicente indipendente'. A bollarlo così era stato il prefetto Chieffo, spesso attaccato dal giornale di Eugenio e di Giorgio che lo ritenevano troppo tenero verso i comunisti.

Togliatti considerò accigliato le prime notizie sulle fosse clandestine scoperte in provincia. E gli ci volle poco per fare due più due. L'omicidio di don Pessina, il delitto Farri, l'emergere delle sepolture segrete, la guerra scatenata dal vescovo Socche, le velleità rivoluzionarie del vertice comunista reggiano e l'esistenza di incontrollabili nuclei di killer rossi: ecco un ginepraio di quelli rognosi. Zeppo di faccende molto pericolose. E foriere di guai anche più pesanti. Dunque s'imponeva un repulisti duro, molto duro.

La purga venne annunciata nell'incontro più importante delle tre giornate reggiane di Togliatti. Si tenne la sera dello stesso lunedì, sempre nell'abitazione di Campioli. Il peso di quel vertice era testimoniato dall'elenco dei dirigenti che il leader del Pci aveva deciso di convocare e di strigliare.

Venivano dalle tre province dove la seconda guerra civile era la più sanguinosa. Oltre a Campioli, c'era il sindaco di Bologna, Giuseppe Dozza. E quello di Modena, Alfeo Corassori. Insieme a loro tre dirigenti della federazione reggiana. Il primo era Nizzoli, il segretario fuori di testa. Insieme a lui, il Migliore aveva voluto incontrare Osvaldo Salvarani e Riccardo Cocconi. Quest'ultimo era un comandante partigiano garibaldino che aveva inutilmente tentato di far accettare da Nizzoli un documento di condanna del delitto Mirotti.

Qualcuno si aspettava di veder arrivare anche l'altro padrone di Reggio: il compagno Didimo Ferrari. Ma per il leader comunista, Eros era soltanto il presidente dell'Anpi, dunque un signor Nessuno o quasi. E non si curò di convocarlo.

Togliatti aveva sotto gli occhi il bilancio sanguinoso del dopoguerra in quelle tre province. Si trattava di un conto ancora parziale, per due motivi. Il primo era che l'epoca dei killer trionfanti non poteva dirsi conclusa. Il secondo era che nemmeno il vertice del Pci conosceva con esattezza le dimensioni delle mattanze compiute dopo la liberazione.

Tuttavia, anche i rendiconti incompleti apparivano terrificanti. A Bologna e nella sua provincia risultavano uccise almeno 770 persone. A Modena e nel suo territorio gli assassinati erano 890. A Reggio, infine, le vittime della seconda guerra civile erano 560, e forse di più. In totale i cristiani accoppati risultavano 2.220, secondo un calcolo prudente e parziale.

Nel settembre 1946 Togliatti aveva cinquantatré anni, sempre vissuti perigliosamente, soprattutto nella fase dei grandi processi staliniani. In quell'epoca di terrore, Togliatti viveva a Mosca, all'Hotel Lux. E non aveva battuto ciglio neppure quando la polizia segreta sovietica si era portata via suo cognato, Paolo Robotti, e tanti altri comunisti italiani. Tutti compagni poi fatti uccidere da Stalin o mandati a morire nei gulag. Robotti era uno dei pochi a essersi salvato.

Sotto la sferza staliniana, il Migliore aveva apprezzato l'importanza del cinismo e della durezza d'animo. Due doti che non gli facevano difetto. E che lo avevano aiutato a superare prove assai più aspre di quella riunione in provincia. Un incontro che lui risolse alla sua maniera: con rapidità e freddezza.

Del vertice a casa Campioli non si seppe quasi nulla. Nessun verbale venne steso. O se ci fu, è sempre stato tenuto segreto. Come segrete rimasero le testimonianze dei presenti nell'alloggio del sindaco di Reggio. Ma è facile immaginare che cosa disse Togliatti, con la sua voce chioccia e il tono gelido del professore che annuncia agli allievi una bocciatura in blocco.

Il primo ordine che impartì fu di smetterla di uccidere. Nessuno dei delitti commessi nelle tre province emiliane era utile al partito. E meno che mai alla rivoluzione, per chi ci credeva. Poi censurò in modo pesante l'operato della federazione di Reggio e della sua struttura periferica. Nell'ipotesi meno grave, non avevano saputo impedire i delitti. In quella più grave, li avevano ordinati e coperti.

Dunque, il Pci reggiano si era macchiato di due colpe pesanti: un'insufficienza assoluta nella vigilanza e una stupidità politica che non ammetteva scuse. Le conseguenze erano inevitabili. Il vertice del partito reggiano doveva essere rimosso. A cominciare dal segretario della federazione. Il repulisti avrebbe avuto una cadenza lenta, per non offrire pretesti alla polemica degli avversari. Ma ci sarebbe stato, entro la fine di quell'anno o al più tardi all'inizio del 1947.

Nizzoli capì che la sua sedia aveva iniziato a scricchiolare. Però accettò le critiche di Togliatti senza reagire. Mantenne la stessa espressione impassibile, quando il segretario del Pci lo censurò in modo aspro, sia pure senza nominarlo. Accadde due giorni dopo, alla Conferenza di organizzazione del partito reggiano.

Il Migliore accusò Nizzoli e compagni di aver creato una condizione di disordine insostenibile. I risultati elettorali e del tesseramento attenuavano soltanto di poco il danno politico e d'immagine per il partito. Poi concluse, gelido: "È più facile dirigere un'unità partigiana in combattimento che non una grande federazione di quaranta o cinquantamila iscritti".

Gli effetti della visita reggiana di Togliatti si fecero subito vedere. Gli Squadroni della morte smisero di sparare. E di delitti eccellenti non ne vennero più commessi. Eppure anche questa tregua improvvisa andò a discredito del partito. Infatti apparve a molti un'ammissione di colpa.