L’esecutivo ha raggiunto un accordo per la terza e quarta rata dei fondi europei. Ma per tanto tempo il dibattito sul tema è scomparso inghiottito dalle polemiche per il comportamento dei vari Santanchè, La Russa, Delmastro. La tela di Penelope del Piano è stata tessuta e disfatta mille volte. E i risultati finali sono ancora incerti

Cari lettori, i tempi che separano la chiusura in redazione del giornale e la sua uscita in edicola non aiutano a registrare gli eventi con la dovuta precisione. Così è accaduto che l’editoriale di questo numero de L’Espresso, nel momento in cui veniva scritto, non ha potuto tenere conto dell’accordo tra il Governo e la Commissione europea sulle ultime due tranche del Pnrr. Resta però valido l’impianto del pezzo che qui vi riproponiamo con alcune (inevitabili) modifiche e con le conseguenti (dovute) scuse.

 

Più passa il tempo, più il Pnrr somiglia alla tela di Penelope. Da quando l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, riuscì a farsi attribuire circa 200 miliardi tra finanziamenti e prestiti dalla Ue, il piano per ottenerli è stato montato e smontato più volte. Tutto è iniziato alle 5,31 del mattino del 21 luglio 2020 quando il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, annunciò su Twitter «Deal», accordo raggiunto. Dell’ammontare complessivo di circa 750 miliardi di euro all’Italia ne erano stati destinati 209, la fetta più grande tra tutti i Paesi dell’Unione europea. Da lì, però, mani diverse hanno preso a tessere e disfare la tela di Penelope.

 

Il governo Conte 2, con l’accordo in tasca, cominciò a lavorare per la ripartizione di quei soldi. Dopo pochi mesi, però, Conte cadde passando la mano a Mario Draghi. Nel giugno del 2021, Draghi inviò alla Commissione europea, che l’approvò, un piano articolato tra riforme e investimenti, regolato da un calendario di scadenze trimestrali, fino al 2026. Nell’aprile 2022 arrivò la prima rata di 21 miliardi. In ottobre Draghi salutò gli italiani per far posto a Giorgia Meloni vittoriosa alle elezioni di settembre. Draghi lasciò comunque in eredità la seconda tranche di 21 miliardi arrivata ai primi di novembre. E dopo? Bella domanda. Dopo…tante chiacchiere, propositi, proclami, stravolgimenti di assetti tecnici, rimodulazione degli obiettivi.

 

La sostanza è che (al momento in cui scriviamo, come dicevano i grandi inviati di una volta), la terza rata da 19 miliardi, attesa in Italia entro il 30 giugno, è ancora sul conto corrente della Ue anche se verrà liberata alla fine dell’anno insieme alla quarta sulla base dei recenti accordi tra il Governo Meloni e la Commissione europea. Sono soldi preziosi per far ripartire l’economia che il Paese attende con impazienza e fiducia. Ma ancora non li ha visti. Inoltre la rimodulazione degli obiettivi (alcuni sono da perseguire da zero) ci farà correre il rischio che non si riescano a realizzare nei tempi previsti (2026) e con il terrore che ci sia da restituire parte dei soldi erogati dalla Ue. La terza tranche del Pnrr si è incagliata a causa di una diatriba sulla realizzazione di posti letto in alcuni studentati. Il governo italiano avrebbe comunicato dati inesatti innescando controlli della Ue e per superarli si è arrivati appunto all’accordo che penalizzerà comunque l’Italia di alcune centinaia di milioni. Scrive il Corriere della sera, il quotidiano che per primo aveva sollevato la questione dei posti letto degli studentati, che “essendo in ritardo su questo come su altri target, l’Italia ha proposto a Bruxelles di modificare 10 dei 27 obiettivi (che ora diventano 28 con quello sugli studentati spostato dalla terza alla quarta rata). Tra questi quello sugli asili nido, chiedendo che, fermo restando l’obiettivo finale, venga rivisto l’obiettivo intermedio dell’aggiudicazione di tutti gli interventi entro lo scorso giugno in cambio dell’impegno a lanciare presto un nuovo bando”.

La conferma appunto della teoria della tela di Penelope, un piano smontato e rimontato tante volte

Ma l’aspetto più inquietante è che su questo tema per un lungo periodo è calato l’oblio. Il governo si è impegnato a mettere le toppe agli scandali nati attorno a Santanchè, La Russa e Delmastro (e l’opposizione c’è cascata con tutte le scarpe) ma, quando si parla delle cose che non vanno (come le rate del Pnrr), nonostante sia passato quasi un anno dalle elezioni, la colpa è sempre di quelli di prima. Evidentemente, sui temi scottanti, è meglio tacere perché il nemico potrebbe ascoltare. E magari si potrebbe anche svegliare facendo domande scomode.

 

In compenso è passata in Parlamento l’abolizione del controllo concomitante della Corte dei Conti sugli atti del Piano (vietato disturbare il manovratore), mentre un magistrato contabile, Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, è stato messo a capo della struttura dal ministro responsabile, Raffaele Fitto, forse a fare la foglia di fico. Certo, se l’opposizione facesse il suo mestiere ne avrebbe di cose da dire. Intanto proprio Fitto, nelle vesti di una moderna Penelope, ha tessuto e disfatto la tela del Pnrr. Ora, buon per lui, è arrivato un fantomatico Ulisse, nelle vesti dell’accordo, che ha rimesso un po’ a posto le cose. Ma se i tempi di realizzazione dei progetti sono quelli adottati finora, nella tela di Penelope ci saranno diverse smagliature.