C’è la mano dell’uomo negli eventi atmosferici estremi. È quindi necessario cambiare le politiche sul territorio. Ma anche quelle sulla popolazione che lo abita

Il primo pensiero, in queste ore drammatiche, va alle popolazioni della Romagna. La natura si è ribellata ancora una volta e ha rivendicato, in modo spietato, il suo spazio. Dal cielo sono piovute quantità inaudite di pioggia, pochi giorni prima una grandinata di dimensioni bibliche aveva messo in ginocchio Firenze.

Ogni giorno c’è un pezzo d’Italia che frana, brucia, soffre la sete, è sommersa dall’acqua. La colpa, si dice, è del cambiamento climatico. Vero, un processo che però l’uomo sta accelerando. I cicli della natura non si misurano né in dieci né in cento, ma in migliaia, milioni di anni. I meteorologi sanno che, andando a ritroso nel tempo, si trovano ere siccitose o particolarmente piovose, eccessivamente calde o straordinariamente fredde. Certo, se poi l’uomo con le sue scelleratezze non rispetta la biosfera, sui cicli naturali finisce per metterci un carico da 11.

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«Non ci facciamo illusioni. Non sarà la politica che ci salverà dall’aumento indiscriminato della Co2. Saranno i mercati». Lo ha detto Riccardo Illy, imprenditore e ambientalista, ex sindaco di Trieste, ex parlamentare ed ex presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, sempre per il centrosinistra anche se da indipendente civico, inaugurando la nuova rubrica de “I dialoghi de L’Espresso” dove, attraverso una serie di interviste a protagonisti del nostro tempo, cercheremo di scandagliare il futuro, trovare idee per riprogrammare questo Paese che ha bisogno di professionalità e solidarietà, di leader capaci e coraggiosi, di progetti e visione per non rinchiudersi su sé stesso e non far vincere sempre i più forti. Secondo Illy, ci scalderemo, ci muoveremo, illumineremo, comunicheremo, scriveremo, faremo tutto con l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Ma perché sarà quella che costerà di meno, non perché l’avranno deciso i politici. I politici farebbero bene ad assecondare e a cercare di accelerare questo fenomeno.

A proposito di riprogrammare il Paese, uno dei grandi temi è quello dell’invecchiamento della popolazione. L’Espresso, giovedì 18 maggio, ha dedicato un evento alla Silver Economy, il sistema economico e sociale in cui si muove chi ha più di 65 anni. Secondo le stime, nel 2050 gli ultra 65enni saranno il 35,9% della popolazione italiana. Ma se li vediamo come peso sociale, ci sbagliamo.

L’aumento degli anziani e il calo dei giovani portano con sé incognite legate alle politiche fiscali (con pochi lavoratori attivi e tanti anziani, chi paga le pensioni?). Ma il Pil generato dagli over 65, secondo Confindustria, nel 2020 è stato tra i 300 e i 500 miliardi di euro, cioè tra il 20 e il 30% del totale. In Italia abbiamo circa 13,8 milioni di anziani. Entro il 2050 ne avremo oltre 20 milioni. I non autosufficienti, che oggi sono circa 3 milioni, nel 2030 potrebbero sfiorare quota 5 milioni. Nel 2070 ci saranno oltre 2 milioni di ultranovantenni, di cui 145 mila ultracentenari. Dovremo garantire loro un’adeguata qualità della vita. Ma bisogna anche considerare l’enorme spesa sanitaria per sostenere una popolazione così invecchiata.

Con il ddl Anziani il governo si è impegnato a promuovere «invecchiamento attivo e dignità, autonomia e inclusione sociali degli anziani» attraverso «sanità preventiva presso il domicilio». Il disegno di legge, approvato dal senato l’8 marzo, prevede una serie di interventi a favore dei caregiver e sostegno economico. Ma non è abbastanza. Come non è abbastanza l’ipotesi «niente tasse per chi fa figli» finché una donna sarà costretta a scegliere tra il lavoro e la maternità.