Per una interpretazione restrittiva i report sulle puntate alle macchinette nei comuni vengono negati. Penalizzando così la ricerca sul fenomeno e la prevenzione del rischio ludopatie

Fino a due anni fa si poteva sapere quante slot machine, le cosiddette macchinette mangiasoldi, erano installate in ciascun comune d’Italia e dove incassavano di più. Dal 2020, i Monopoli si sono sentiti in dovere di negare questi dati anche agli enti di ricerca, come il Cnr, che li hanno sempre utilizzati per analizzare il comportamento dei giocatori italiani e individuare eventuali rischi. La ragione starebbe nell’interpretazione di un comma della legge finanziaria di quell’anno scritto dall’allora senatore Giovanni Endrizzi (5 Stelle). «Il mio emendamento – dice Endrizzi – aveva l’obiettivo opposto, cioè fornire i dati soprattutto alle amministrazioni locali, che devono conoscere il fenomeno del gioco d’azzardo e fronteggiarlo, ed evitare invece che fossero utilizzati dai concessionari per sviluppare software di gioco più aggressivi».

 

L’interpretazione restrittiva la si deve all’allora direttore dell’Agenzia dogane e monopoli, Marcello Minenna, designato a quell’incarico proprio da Beppe Grillo e che alcuni giorni fa è finito agli arresti per un’altra vicenda legata al suo suolo nell’Agenzia. «Minenna – dice ancora Endrizzi – venne in audizione in commissione Antimafia e io gli dissi che quella norma non intendeva affatto negare i dati sulle slot a chi lotta contro le dipendenze da gioco ma lui rispose: noi la interpretiamo così».

 

Per capire meglio il paradosso è bene sapere da dove arrivano i dati sul gioco d’azzardo in Italia. Quelle che vengono chiamate comunemente slot machine sono collegate ai computer della Sogei, la società informatica del ministero delle Finanze (che gestisce tra l’altro le nostre dichiarazioni dei redditi). Appena un singolo euro viene inserito in una macchina o viene erogata una vincita, l’informazione viene trasmessa al sistema centrale e, quindi, all’Adm, l’authority italiana per il gioco. L’agenzia, poi, pubblica il Libro blu, un rapporto annuale con tutte le cifre che gli italiani spendono su ogni gioco lecito. Dal 2022 sono disponibili quelle complessive ma mancano i dettagli per singolo comune. «Con quei dati potremmo capire se c’è relazione, per esempio, tra l’offerta di gioco e la spesa media dei residenti», spiega Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr che ogni anno realizza diverse indagini sulle dipendenze. «O anche confrontarli con elementi socio economici locali, come l’indice di povertà, la condizione sociale eccetera. In alcuni casi, come in Piemonte, siamo riusciti a verificare dove politiche locali più restrittive hanno portato a una riduzione dei giocatori a rischio».

 

In pratica, per non dare informazioni sul comportamento dei giocatori agli operatori di gioco, che hanno già quelle informazioni, visto che le forniscono allo Stato, si finisce col negarle a chi le userebbe per fare prevenzione sanitaria. Forse quell’emendamento infelice verrà neutralizzato da un altro, del deputato Stefano Vaccari (Pd) da inserire nella legge delega di riordino del gioco. Che, però, vedrà la luce tra non meno di un anno. E i Monopoli lasciano intendere che per adesso manterranno il segreto su questi numeri.