Il distretto produttivo di Penne vive le difficoltà del brand di moda. Attratto da tradizione e manodopera, il re del cachemire investe qui per l’alta gamma

«L’artigianato sartoriale ha avuto più continuità nel tempo anche perché non imponeva grossi investimenti in termini di quattrini, mentre richiedeva abbondanza di manodopera e attaccamento al lavoro. Di questo capitale umano i piccoli paesi dell’Abruzzo erano, per povertà e cultura dettata dalla povertà, assai generosi. Non avere problemi di manodopera significava possibilità di una maggiore cura nelle rifiniture dell’abito». Raccontava così il distretto produttivo di Penne, in provincia di Pescara, Lucio Marcotullio, a lungo amministratore delegato di Brioni Roman Style.

 

La prima sfilata moda uomo risale al 1952, nelle sale di Palazzo Pitti a Firenze, ma l’azienda era stata fondata nel Dopoguerra da Nazareno Fonticoli e Gaetano Savini, pionieri del made in Italy. Dagli abiti per i divi di Hollywood di passaggio a Roma ai completi di Pierce Brosnan 007, che in “GoldenEye” non fa una piega dopo aver distrutto parte di San Pietroburgo su un carro armato preso in prestito, tutto è uscito dallo stabilimento alle pendici del Gran Sasso. Nel 2011, la Ppr oggi Kering di François-Henri Pinault rileva Brioni (nome di un arcipelago della Croazia), ma il brand s’appanna fra crisi del settore e continui cambi di management e direttori creativi. Si arriva al 2016 con i 400 esuberi, i licenziamenti e la riduzione del lavoro dal tempo pieno al part-time. Una mazzata per l’economia dell’area. «In dieci anni Brioni ha mandato a casa circa 500 persone e ridotto il salario a molti dipendenti. Dopo mesi di trattativa, è stato siglato un accordo in Confindustria dove si stabiliscono anche incentivi all’esodo», spiega Antonio Perseo, segretario generale Filctem-Cgil Pescara, preoccupato per l’emorragia di maestranze che coinvolge anche i fasonisti della zona.

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Una situazione che desta l’interesse del re del cachemire, Brunello Cucinelli: attirato dalla sapiente tradizione dei sartori pennesi e dal serbatoio di manodopera altamente qualificata, decide d’investire su una nuova fabbrica di capispalla nella zona artigianale di Ponte Sant’Antonio. Due ettari di terreno per il capannone, con annessa mensa, e un progetto di espansione in linea con quello della Sartoria D’Avenza di Carrara, acquisita nel 2013.

 

«L’operazione sta creando un volano straordinario nella nostra comunità e siamo certi che, già in autunno, almeno una settantina di esuberi Brioni potranno essere riassorbiti, ciascuno con le sue competenze», annuncia Gilberto Petrucci, sindaco di Penne, ex assessore alle Attività produttive. «Per attirare gli imprenditori abbiamo messo a punto una politica ad hoc: esenzione dalla Tari per due anni e dall’Imu per i capannoni industriali, realizzazione di una nuova strada che collegherà Penne al litorale adriatico. E per questo utilizzeremo i fondi del Pnrr. Non mi sbilancio, ma siamo stati contattati da altri marchi del settore che, dopo Brioni e Cucinelli, potrebbero insediarsi proprio qui dove, fin dai primi del Novecento, le sartorie costituivano la base di un sistema già sviluppato». L’obiettivo? «Creare un polo della moda di alta gamma con Penne al centro, grazie a un progetto di legge regionale che riconosce il nostro borgo come Città della sartoria artigianale».