Simone Siliani, direttore della Fondazione Finanza Etica, azionista critico di Leonardo Spa ora vuole vederci chiaro e capire perché lo scorso anno l’azienda avesse negato coinvolgimenti nell’inchiesta che vede indagati Massimo D’Alema e Alessandro Profumo per corruzione internazionale

La questione di fondo è capire se le aziende pubbliche di Stato, quando trattano all'estero, utilizzano abitualmente il metodo delle tangenti per vendere i propri prodotti - armamenti, imbarcazioni, tecnologia, oil&gas e via dicendo – ad altri stati o se si tratti solo di un grande abbaglio. E almeno su Leonardo Spa, fra le maggiori società di Stato, specializzata fra le altre cose nella produzione di velivoli per la difesa, l'azionariato critico, ora, vuole vederci chiaro.

 

La settimana scorsa il Corriere della Sera ha scritto che la Procura di Napoli ha iscritto nel registro degli indagati per corruzione internazionale aggravata due nomi di spicco, l'ex presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, e l'ex amministratore delegato, Alessandro Profumo. Insieme a loro anche l'ex direttore generale di Fincantieri, Giuseppe Giordo e alcuni presunti mediatori dell'operazione di vendita di sommergibili, navi e aerei prodotti dalle italiane Leonardo e Fincantieri alla Colombia: Gherardo Guardo, Umberto Claudio Bonavita, Francesco Amato, Emanuele Caruso e Giancarlo Mazzotta. Nel decreto di perquisizione dei Pm di Napoli l'ipotesi che gli indagati abbiano avviato la trattativa con il governo colombiano «per ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture ed il cui complessivo valore economico ammontava a oltre 4 miliardi di euro». Il tutto realizzato «con l'ausilio di un gruppo criminale organizzato attivo in diversi stati, tra cui Italia, Usa, Colombia».

 

La vicenda giudiziaria farà il suo corso e la Magistratura dirà se c'è stata o meno corruzione, ma il punto che interessa agli azionisti – perché ricordiamo che Leonardo è una società pubblica, ma è anche quotata in Borsa – è capire quanto sia complice l’azienda in questa vicenda, perché «l'affare delle armi in Colombia è un danno per lo Stato Italiano», dice a L'Espresso Simone Siliani, direttore della Fondazione Finanza Etica a cui fa capo l'attività di azionariato critico di Banca Etica nei consigli di amministrazioni delle maggiori imprese italiane, fra cui per l'appunto Leonardo Spa. 

 

Al di là dell'iscrizione nel registro degli indagati dell'ex premier Massimo D'Alema e di Alessandro Profumo, gli azionisti critici «vogliono sapere se Leonardo SpA ha mentito in assemblea lo scorso maggio 2022». Perché il fatto che fosse in corso un'inchiesta era noto dal maggio 2022, ovvero da quando Emanuele Caruso, che operava come consulente per la cooperazione internazionale del ministero degli Esteri della Colombia, era stato perquisito lo scorso anno dopo un esposto presentato dall'Assemblea parlamentare del Mediterraneo.

 

«Gli azionisti critici di Fondazione Finanza Etica vorrebbero finalmente le risposte giuste alle domande poste già nel maggio 2022, durante l’assemblea dei soci di Leonardo SpA, quando amministratore delegato era Alessandro Profumo (da maggio 2023 sostituito da Roberto Cingolani). E le vorrebbero tanto più oggi! Dopo che è uscita la notizia che la sezione reati economici della Procura di Napoli ha messo sotto inchiesta – con altri 6 indagati – sia l’ex primo ministro italiano, Massimo D’Alema, che lo stesso Profumo, entrambi per il presunto operato svolto nell’ambito di una vendita – non andata a buon fine – di navi e aerei militari di produzione italiana (Leonardo, appunto, e Fincantieri) alla Colombia».

 

Questo perché, su tale quadro a tinte fosche, e ben prima dell’attuale svolta nelle indagini, il 9 maggio 2022, Fondazione Finanza Etica, in qualità di azionista critico, aveva chiesto chiarezza durante l’assemblea annuale degli azionisti, ponendo a Leonardo SpA una semplice domanda, «che oggi pare quanto mai pertinente, quasi preveggente, purtroppo», dice Simone Siliani, che un anno fa aveva chiesto in sede di Consiglio d'Amministrazione di Leonardo: «In relazione a recenti notizie di stampa che riportavano di presunte attività di intermediazione svolte dall’ex Presidente del Consiglio Massimo D’Alema relativamente a possibili vendite di sistemi d’arma prodotti da Leonardo SpA alla Colombia - e considerando la smentita dell’ad Alessandro Profumo a riguardo di mandati di intermediazione conferiti all’onorevole D’Alema -, si chiede di conoscere l’attuale situazione della questione, soprattutto in relazione a possibili coinvolgimenti di natura legale e penale e all’impatto eventualmente avuto sulle prospettive di esportazione verso la Colombia».

 

E cosa aveva risposto Leonardo spa lo scorso anno? Al di là di alcuni dettagli tecnici riguardo i sistemi d’arma coinvolti, e di una risposta in generale vaga ed evasiva, la compagnia – partecipata al 30,2% dal ministero dell’Economia e delle finanze – era stata categorica su un punto, scrivendo che «Leonardo non ha instaurato rapporti negoziali, economici e finanziari con soggetti terzi (fisici e o giuridici) coinvolti nella vicenda o anche solo citati negli articoli di stampa, rispetto ai quali, pertanto, la società non ha assunto alcun impegno o disposto o eseguito alcun pagamento. La società ha agito nel pieno rispetto della disciplina applicabile e delle procedure interne». Risposta che, alla luce delle perquisizioni e dell'iscrizione nel registro degli indagati di Profumo e D'Alema e di quanto appreso in merito all'inchiesta, può essere interpretata come una bugia o come una totale incapacità degli organi di vigilanza aziendali di sapere cosa succede al proprio interno.

 

Quindi Fondazione Finanza Etica torna alla carica: «E così, col senno di ora, e premesse la presunzione d’innocenza per gli indagati e l’incertezza sulle risultanze finali dell’inchiesta napoletana, Fondazione Finanza Etica vuole richiamare alla memoria quel passaggio formale registrato nella sede dell’assemblea annuale per avanzare nuove e ancor più circostanziate riflessioni e interrogazioni, da sottoporre in primis agli indagati eccellenti e, necessariamente, all’attuale dirigenza di Leonardo SpA», dice Simone Siliani.

 

Se infatti fosse dimostrato il reato ascritto a Massimo D’Alema e Alessandro Profumo, oggi semplicemente inquisiti, al di là dell’eventuale responsabilità penale personale, «ci chiediamo se all’ex ad Alessandro Profumo si potrebbe attribuire anche la responsabilità di aver agito in modo scorretto verso l’azienda, eventualmente in relazione all’elusione di procedure, controlli e presidi organizzativi interni alla società, quotata in Borsa (lo ricordiamo), da cui deriverebbe un potenziale danno reputazionale ed economico. In tal caso, ci chiediamo pure se Leonardo SpA non dovrebbe valutare di costituirsi come parte lesa nell’eventuale processo a carico di Alessandro Profumo, un domani. Se, diversamente, si dimostrasse che D’Alema avesse ricevuto un incarico - ufficiale o informale - di consulente (non necessariamente di intermediazione), come commentano oggi alcuni editorialisti garantisti, e ciò non costituisse reato, allora potrebbe essersi verificata una condotta gravemente lesiva della trasparenza societaria e degli obblighi informativi nei confronti

degli azionisti. Critici e non. Come responsabile della risposta data alla nostra domanda, l’allora CdA di Leonardo SpA in carica, per ragioni da appurare, avrebbe infatti dichiarato qualcosa che non corrisponde alla realtà dei fatti. In tal caso, come azionisti, potremmo adire, quanto meno, al collegio sindacale della società ai sensi dell’articolo 2408 del Codice Civile, secondo il quale “Ogni socio può denunziare i fatti che ritiene censurabili al collegio sindacale, il quale deve tener conto della denunzia nella relazione all'assemblea”», commenta Siliani. Le società quotate, e in particolare quelle a partecipazione pubblica rilevante come Leonardo, hanno un dovere di trasparenza verso gli azionisti, oltre che di adesione incondizionata alle leggi dello Stato: «Il timore – ahinoi! corroborato in prima battuta dall’indagine in corso – è perciò che la compagnia stia correndo un rischio reputazionale serio, e che ciò possa tradursi in un danno economico per gli azionisti, a cominciare da quello di riferimento, cioè lo Stato, e quindi a danno di ogni cittadino. Non solo. Fondazione Finanza Etica è convinta che questi rischi possano essere ricondotti a un’opacità collegata sempre più strutturalmente ai prodotti su cui Leonardo SpA fonda il proprio bilancio economico, ovvero i sistemi d’arma. Ma il caso specifico ci consente anche di sottolineare qual è l’importanza del lavoro dell’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica, e quale sia il valore della trasparenza verso gli azionisti per tutelare il patrimonio dell’azienda stessa e dei contribuenti. Pena perdere i soldi pubblici dei cittadini e la credibilità delle istituzioni», conclude il direttore di Fondazione Finanza Etica.