A Cervesina, Pavia, c’è LocaI green che dà lavoro a 15 persone e sforna 80 mila buste di confezioni per la grande distribuzione

Colture indipendenti dalle condizioni climatiche. Disponibili 365 giorni l’anno. Senza sprechi e senza pesticidi. Con l’obiettivo di ridurre il più possibile l’impatto ambientale: il fertilizzante in eccesso finisce nelle acque sotterranee e nell’atmosfera con conseguente emissione di gas serra. Le vertical farm, mercato ancora poco arato nel nostro Paese che esplora nuove frontiere per quanto riguarda le tecniche di produzione alimentare, raccolgono in un unico impianto l’intera filiera. Dal seme all’insalata in busta, pronta per essere condita e mangiata.

 

La prima azienda agricola verticale al mondo fu inaugurata a Singapore, dove il cemento aveva consumato tutto lo spazio coltivabile disponibile, oltre dieci anni fa: all’epoca erano tre le varietà di ortaggi prodotti in centoventi torri pari a una tonnellata ogni due giorni. Oggi il metodo idroponico, messo a punto in forma sperimentale sul finire degli anni Settanta negli Stati Uniti da James Rakocy, docente alla University of the Virgin Islands, sta conquistando una nuova generazione di imprenditori. Che fanno ricerca e sperimentano. Fra Europa, Giappone e Stati Uniti, si calcola che il fatturato globale delle vertical farm potrebbe raggiungere presto i sei miliardi di euro.

 

«Produrre di più con meno», è lo slogan di Local Green con sede nuova di zecca a Cervesina, in provincia di Pavia: creata nel 2020, impiega una quindicina di persone, prevalentemente giovani, con un 70 per cento di donne. Tre milioni di euro l’investimento iniziale, fra capitali pubblici e privati, 1.500 metri quadri di coltivazione, ottantamila buste di insalata confezionate ogni mese con consegna fino a sei giorni a settimana, energia solare autoprodotta in loco per almeno il 35 per cento del totale.

 

«Portare l’agricoltura dentro un edificio, in un’area protetta, permette di ricreare l’habitat ideale per le piante: freddo/caldo, luce, aerazione, umidità. Il seme attecchisce nell’acqua sospesa e si sostituisce la luce solare con quella a led, quasi a simulare una serie infinita di belle giornate. Tutto questo significa non incorrere in agenti patogeni esterni, evitare contaminazioni da metalli pesanti o parassiti, risparmiare il 95 per cento di acqua rispetto all’agricoltura tradizionale. Acqua che viene costantemente riciclata e rimineralizzata», spiega Paolo Forattini, 27 anni, studi di economia alla Cattolica di Milano e un background familiare nel settore, cofondatore di Local Green insieme a Lorenzo Beccari, laureato in Ingegneria al Politecnico (successivamente, si è aggiunto Marco Maggioni, il “Mastro agronomo”, da Bologna). «Con Lorenzo ci siamo conosciuti sui banchi di scuola e abbiamo unito passioni e competenze dopo alcune esperienze all’estero. Il nome che abbiamo scelto per i nostri prodotti vuole sottolineare il concetto di filiera controllata. Il territorio circostante è famoso per la coltivazione di peperoni, aglio e cipolla. Noi iniziamo con l’insalata anche perché c’è una grandissima richiesta. Scelta che hanno già fatto aziende italiane di vertical farming quali Planet Farms o Agricola Moderna».

 

Il primo raccolto è stato realizzato nel gennaio scorso e attualmente Local Green è in condizioni di condurre oltre venticinque cicli di raccolto all’anno rispetto ai tre solitamente realizzati in campo aperto. Le buste completamente riciclabili di lattuga nichel free sono finite sugli scaffali di catene della grande distribuzione come Coop Liguria, Piemonte e Lombardia, Unes, Iper la grande I, Gulliver. «Il nostro target di riferimento? Chi ha a cuore l’ambiente, ama l’innovazione, soffre di allergie o intolleranze, cerca una maggiore qualità. L’insalata Local Green, entro due minuti dalla raccolta, viene tagliata, convogliata, confezionata. Fresca, sostenibile, locale, pronta all’uso senza nessun lavaggio», conclude Forattini. E domani, magari, arriveranno sugli scaffali della grande distribuzione pomodori, zucchine, fragole.