Lo scontro nel board della Banca Centrale Europea sulla politica dei tassi è sempre più serrato. L’italiano è per una linea morbida, che aiuterebbe il governo di Roma. E il suo nome è in pole per la corsa al vertice di via Nazionale

Non era mai successo che il costo dei mutui a tasso variabile raddoppiasse in meno di un anno, né che gli interessi sui Btp arrivassero al 4% dal 2,1 in sette mesi. E neanche che i tassi della Bce schizzassero al 3% dallo 0 di settembre, con la promessa che il 16 marzo sarà aggiunto un altro 0,50% e con l’ipotesi niente affatto esclusa dalla presidente dell’Eurotower, Christine Lagarde, che all’inizio di maggio ci sia un ulteriore aumento. La corsa di Francoforte è in piena accelerazione anche se per la verità l’inflazione, il nemico da battere, sta scendendo: nell’eurozona era in media a gennaio dell’8,6% contro il 9,2 di dicembre (ma ancora il 10% in Italia). «Prevedere gli sviluppi è difficilissimo -spiega Brunello Rosa, docente alla London School of Economics - perché si intrecciano tre fattori: la guerra con tutte le sue incertezze, gli ultimi effetti sulla catena del valore internazionale delle strozzature create dalla ripresa post-pandemia, ma ora soprattutto il fatto che l’aumento dei costi ha ormai, partendo dall’energia, “contagiato” ogni settore, dai trasporti all’alimentare». Non a caso Philip Lane, che della Bce è capo economista, parla di “diagnostic challenge”.

 

L’incertezza sta portando alla polarizzazione del conflitto fra falchi e colombe all’interno del board della banca: chi vuole spingere senza esitazioni sugli aumenti pur di domare in fretta l’inflazione e ricondurla al mitico 2%, e chi invece invita alla prudenza per i timori di recessione. Lane è schierato con le colombe, il cui capofila è però il rappresentante italiano nel board Fabio Panetta, che è ricorso a un’immagine battistiana: «La politica monetaria ha già conosciuto un notevole aggiustamento, continuare così è come guidare a fari spenti nella notte». I rischi di recessione aumentano se insistiamo con i rialzi, come continua a ripetere anche il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli: «Rischiamo una crisi da ristrettezza di liquidità». Sull’altro fronte, quello dei “duri e puri”, sono schierati come da tradizione la Germania e i satelliti del nord (Olanda, Lussemburgo, Paesi baltici) guidati dalla pugnace tedesca nel board Isabel Schnabel, che pure all’inizio del suo mandato tre anni fa aveva sorpreso tutti con le sue aperture alle “colombe”.

 

«Il confronto ormai pubblico fra i membri della Bce - commenta Marcello Messori, economista della Luiss - non va derubricato a inopportuna polemica contingente. Considerando gli altri problemi cruciali che incombono sulle istituzioni europee (nuove regole fiscali, politica industriale centralizzata, ridisegno dei piani nazionali per NextGenEu e RePowerEu), le scelte incombenti di politica monetaria diventano un tassello fondamentale per la governance. Ecco perché, in presenza di segnali contrastanti, andrebbero evitate le soluzioni estreme a favore di azioni prudenti sui tassi».

 

In mezzo ai due schieramenti sta la Lagarde: viene ascritta al girone dei falchi, però a questo punto interviene un altro problema che alla fine assume importanza dirimente anche se nessuno degli interessati lo ammette. La Lagarde, francese, ex-ministro, ha un filo diretto inevitabilmente con Parigi, che in questo momento per motivi “bellici” ha interesse ad allinearsi con Berlino. Ma tutti i Paesi dell’euro hanno la loro politica economica, e ognuno dei membri del board finisce perlomeno col confrontarsi con il proprio governo. Schnabel è “falco” da quand’è cambiato l’esecutivo nel dicembre 2021, e dalla Merkel accomodante ultima versione (libera dall’imbarazzo del “panzer” Schaeuble dei tempi della Grecia e degli scontri con l’Italia) si è passati nuovamente alla versione rigorosa del ministro delle Finanze attuale, il “falco” Christian Lindner. E Panetta sapeva certamente che mentre esternava il suo dissenso, il governo italiano era impegnato a lavorare ai fianchi la Bce perché non stringesse i tassi. Altro caso in arrivo: «Mentre tutti parlano di tassi, si dovrà decidere come avviare lo smobilizzo dei 5mila miliardi di buoni statali che dopo tutti i programmi di acquisto degli anni scorsi sono nel bilancio Bce (il 27% del debito italiano, ndr)», ricorda Daniel Gros, l’economista tedesco che ha appena assunto la direzione del neonato European institute for policy making della Bocconi.

 

L’affare si complica se sono in ballo nomine cruciali, come quella del governatore della Banca d’Italia. Il successore diIgnazio Visco entrerà in carica il 1° novembre, ma i giochi si fanno adesso. E Panetta, al quale la Meloni aveva già chiesto di fare il ministro dell’Economia, è in pole position. Da sempre su questa nomina si scatena la bagarre politica. Nel 1993 si fronteggiarono Tommaso Padoa Schioppa, e Lamberto Dini. Alla fine passò Antonio Fazio. Nel 2011 si scontrarono Vittorio Grilli (dg del Tesoro) e Fabrizio Saccomanni (stessa carica in Bankitalia) e infine prevalse Visco. Oggi c’è un problema in più: se l’Italia perde il posto nel board Bce (composto da sei membri), non è automatico che venga nominato un altro italiano visti gli altalenanti rapporti fra Europa e Palazzo Chigi. Per Panetta, se è lecito ipotizzare una corsa a due, l’avversario da battere è Daniele Franco, anch’egli in possesso di un prestigioso curriculum in Via Nazionale impreziosito dalla carica di ministro dell’Economia nel governo Draghi. In base alla legge sul conflitto d’interessi deve passare un anno fra gli incarichi governativi e nuove posizioni di vertice. E quando scade un anno per Franco? Guarda caso, a ottobre.