In attesa che tutti i protagonisti preparino (e scoprano) ad aprile le loro carte, L’Espresso ha ricostruito i dettagli economici e industriali

Il cda della società telefonica ha dato tempo fino al 18 aprile ai due contendenti per migliorare le proposte. Ma le prime valutazioni degli advisor hanno messo in luce le debolezze (anche industriali) del disegno del fondo americano azionista di Fibercop

 

Altro consiglio di amministrazione (di Tim), altro capitolo nella lunga storia per la creazione di una rete digitale nazionale in fibra, operazione fondamentale nel processo di modernizzazione dell’Italia. Lo scorso mercoledì 15 marzo il cda di Tim ha fatto un primo esame dell’offerta ricevuta il 5 aprile dalla cordata Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Macquaire e, così come aveva stabilito a febbraio per quella del fondo americano KKR, ha chiesto un miglioramento della proposta, aprendo quindi una procedura competitiva tra i due contendenti con scadenza 18 aprile. Poco più di 30 giorni per una riformulazione dei termini. Tutti di nuovo al lavoro, con governo e ministeri interessati (il Mef di Giancarlo Giorgetti e il Mimit di Adolfo Urso) che vigilano con attenzione su quanto sta succedendo. Sulla rete, infatti, il governo può esercitare i poteri della normativa sul golden power, previsti per salvaguardare gli assetti proprietari delle società che operano in settori strategici e di interesse nazionale fra i quali rientra anche la possibilità di opporsi all’acquisto di partecipazioni.

In attesa che tutti i protagonisti preparino (e scoprano) ad aprile le loro carte, L’Espresso ha ricostruito i dettagli del primo esame delle due offerte, fatto dagli advisor finanziari di Tim e dal comitato parti correlate, guidato da Paolo Boccardelli, ordinario di economia e gestione delle imprese della Luiss.

 

La parte economica. All’apparenza, le due offerte si equivalgono: 18 miliardi per la new company che racchiuderà rete primaria (in rame) e secondaria (Fibercop, fibra) di Tim, oltre alla controllata Sparkle. Un valore ben lontano dai 31 miliardi ventilati dal primo azionista di Tim, la francese Vivendi, ma in linea con il giudizio sul valore della rete dato dagli analisti.

La composizione delle due offerte è però ben diversa, con quella di CDP-Macquaire più equilibrata nei valori attribuiti alle singole parti e quindi con maggior benefici finali sui conti di Tim.

Un po' di storia: esattamente due anni fa, KKR aveva già rilevato il 37,5% di Fibercop per 1,8 miliardi, con un equity value di 4,7 miliardi e un enterprise value (incluso il debito) di 7,7. Nella offerta attuale, KKR valuta Fibercop 12,5 miliardi (di cui 9 di equity): un incremento del 100% che è al di sopra di ogni andamento di mercato. L’effetto sarebbe, per KKR, che dell’impegno totale di 18 miliardi, circa 4,5 tornerebbero indietro per l’incasso del 37,5% di Fibercop, drenando le risorse a favore di Tim. Come dire: i 18 diventerebbero meno di 14. Anche la valutazione che fa Sparkle, 1,2 miliardi, è stata giudicata sopra il valore intrinseco: in caso di eventuale utilizzo del golden power da parte del governo – e quindi l’esclusione dal perimetro della rete - l’incasso per Tim si ridurrebbe poi ulteriormente di pari cifra.

Diversa la valutazione di CDP-Macquaire: una più realistica di Fibercop, di 9,5 miliardi, ma soprattutto una della rete in rame di otto miliardi, molto al di sopra di quella di KKR. Effetto finale: con il progetto CDP-Macquaire le risorse che affluirebbero nella casse di Tim sarebbero superiori di oltre due miliardi, con risvolti positivi nella riduzione dell’elevato debito netto e maggiori garanzie quindi sulla tenuta della società, anche occupazionali.

 

E quella industriale: il gap del rame. Le valutazioni hanno riguardato anche la parte industriale, e quindi il problema della rete tuttora in rame di Tim. Nell’offerta di KKR non ci sono previsioni chiare sulla vecchia, obsoleta e altamente inquinante (il mantenimento è energivoro) rete in rame. Come dire: le connessioni saranno ad alta velocità sulla parte della rete in fibra ma continueranno a velocità da anni ’70 in quella in rame. La modernizzazione reale della rete italiana si potrà avere solo con il passaggio totale alla fibra, come richiesto dall’Europa con il PNRR e come stanno già facendo i più avanzati Peasi europei: Spagna, Francia, Olanda o Svezia, ad esempio, hanno già in corso o completato lo switch off (lo spegnimento) della rete in rame. E’ quello che prevedono CDP e Macquaire, che pur consci degli aspetti Antritrust (considerati gestibili), ripropongono la fusione con la controllata Open Fiber, che sta cablando l’Italia (soprattutto le aree bianche, quelle meno profittevoli) con fibra di ultima generazione, dove i dati di aziende ed enti locali possano viaggiare a grande velocità e grande capacità. Obiettivo: una connettività solo su fibra, a 1 Gigabit al secondo per sette milioni di numeri civici in tutta Italia entro il 2026. Come prevede il PNRR.