Le multinazionali Usa annunciano utili senza precedenti grazie all’aumento del prezzo del greggio innescato dal conflitto. L’enorme liquidità in cassa servirà per comprare azioni proprie, premiando soci e manager. Nonostante le critiche del presidente Biden

In attesa che le energie rinnovabili proteggano il mondo dall’incombente catastrofe climatica, le multinazionali del petrolio, fonte fossile per eccellenza, riescono a moltiplicare affari e profitti a un ritmo senza precedenti.

 

Secondo le previsioni degli analisti, gli utili sommati tra loro delle cinque cosiddette Supermajors, ovvero le statunitensi ExxoMobil e Chevron, l’anglolandese Shell, la britannica Bp e la francese Total, dovrebbero aver raggiunto la somma record di 200 miliardi di dollari (185 miliardi di euro) nell’anno appena concluso.

Un anno eccezionale, con la guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia che hanno spinto le quotazioni dell’oro nero fino a un massimo di oltre 120 dollari al barile toccato l’estate scorsa.

 

Solo nelle ultime settimane il greggio è tornato stabilmente sotto i 90 dollari (ora viaggia intorno ai 78-80), un prezzo che è comunque superiore del 30 per cento a quello medio del 2019, prima della pandemia. Di conseguenza anche la redditività dei grandi gruppi petroliferi ha battuto tutti i record del passato, come dimostrano i bilanci di ExxonMobil e Chevron, che proprio nei giorni scorsi hanno pubblicato i conti del 2022. Entrambe le società hanno più che raddoppiato gli utili rispetto a un 2021 già tutt’altro che deludente. I profitti di ExxonMobil hanno toccato i 59 miliardi di dollari contro 23 miliardi dell’anno precedente, mentre Chevron è arrivata a quota 35,5 miliardi, con un balzo di 20 miliardi rispetto al 2021.

 

Gli azionisti festeggiano, ovviamente, e con loro anche i manager, premiati da ricchi compensi in gran parte elargiti sotto forma di azioni, le cosiddette stock option. E siccome le quotazioni, spinte dai conti brillanti, sono da mesi in rialzo constante, anche i guadagni dei dirigenti aumentano.

 

Nel 2021, per esempio, l’amministratore delegato di ExxonMobil, Darren Woods ha ricevuto circa 23,6 milioni di dollari, di cui solo (si fa per dire) 1,8 milioni in contanti e il resto in titoli della sua azienda.

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Oltre ai prevedibili applausi del mondo di Wall Street, i profitti di Big Oil, come viene soprannominato il club delle cinque multinazionali, hanno però innescato anche feroci polemiche politiche. Il dibattito ruota attorno a una domanda: come verranno investiti i miliardi finiti nelle casse dei grandi gruppi petroliferi? Le aziende hanno promesso un aumento degli investimenti nella transizione ecologica (cattura e stoccaggio della CO2, idrogeno e biocarburanti).

 

La quota di gran lunga maggiore degli utili finirà però ancora una volta nelle tasche degli azionisti (soprattutto fondi e altri investitori istituzionali) e dei manager. Come? Semplice: ExxonMobil e Chevron hanno annunciato giganteschi programmi di buy back azionario. In sostanza entrambe le società investiranno buona parte dell’enorme liquidità in cassa per comprare le proprie azioni, con grande soddisfazione dei soci.

 

In altre parole, i profitti verranno spesi in Borsa e non in investimenti produttivi, compresi quelli verdi. Classico esempio di finanza che alimenta sé stessa. Con l’aggravante che il colossale incremento degli utili si spiega in buona parte con il conflitto in Europa che sta mietendo centinaia di migliaia di morti.

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Già nell’ottobre scorso, il presidente americano Joe Biden aveva paragonato le grandi compagnie petrolifere ai profittatori di guerra. E anche nei giorni scorsi i portavoce della Casa Bianca hanno criticato i giganteschi programmi di buy back appena annunciati. Nessuna reazione da Big Oil, che si gode gli applausi di Wall Street.