Analisi
Le risposte sbagliate dell’Europa all’inflazione provocheranno un’altra recessione
C’è un’inflazione da domanda e una da offerta. E se le due cose si confondono si finisce per utilizzare gli strumenti sbagliati per contrastarle. Proprio quello che stiamo facendo noi
L’origine delle difficoltà diffuse dell’economia mondiale in questa fase risale allo shock sanitario da Sars-Covid-19 che ha colpito in rapida successione molte economie a partire dall’inizio del 2020. Quello shock creò ad un tempo difficoltà dal lato dell’offerta e difficoltà dal lato della domanda. Dal lato dell’offerta, le politiche di contenimento, insieme agli isolamenti volontari, non distrussero capacità produttiva in senso proprio come invece è ad esempio tipico delle guerre, ma produssero tagli importanti alle attività produttive in moltissimi paesi e alla circolazione nazionale e internazionale delle merci. Dal lato della domanda, lo shock assunse la forma di riduzione di spese per consumi e aumento della quota di reddito destinata al risparmio. Dunque, meno offerta e meno domanda.
La distinzione da libro di testo tra “inflazione da offerta” e ‘”inflazione da domanda” è quindi utilissima per determinare da dove siano venute le spinte inflazionistiche prevalenti nella prima fase della crisi: l’inflazione era originata dalle difficoltà incontrate dalle imprese, cioè dai costi crescenti che dovevano sostenere a causa della ridotta disponibilità di materie prime, di semilavorati e prodotti intermedi, dell’uso ridotto di mezzi di trasporto causato dalla riduzione della forza lavoro utilizzabile. In particolare, fu il prezzo delle materie prime ad avviare il processo inflazionistico: come abbiamo visto in passato, il fatto che i prezzi delle materie prime vengano determinati su mercati finanziari ne ha “agevolato” l’esplosione e la diffusione a sezioni crescenti dell’economia reale produttiva in tempi rapidissimi.
Certo, nel tempo anche la domanda avrebbe dato il suo contributo alla crescita dei prezzi delle merci e dei servizi, poiché mano a mano che l’attività produttiva tornava a crescere e l’occupazione a riprendersi, i redditi delle famiglie tornarono a crescere e, con essi, la spesa per consumi. Fortunatamente, questo processo venne sostenuto da gran parte dei governi al mondo mediante politiche di sostegno alle famiglie accompagnate da politiche di garanzie pubbliche ai debiti delle imprese.
Questa “doppia natura’’ dell’inflazione attuale va sottolineata perché oggi ci troviamo di fronte a due combinazioni diverse delle cause dell’inflazione, da domanda o da offerta: vi è ampio accordo tra economisti e responsabili delle politiche economiche che l’inflazione europea è caratterizzabile come prevalentemente da offerta, mentre quella statunitense è prevalentemente da domanda. La distinzione è importante perché è su di essa che si basa il giudizio sulla adeguatezza o meno delle politiche antinflazionistiche di cui si discute, in particolare della opportunità o meno di una politica monetaria più o meno aggressivamente restrittiva da attuare mediante la fine del noto Quantitative Easing e, ancor più, mediante l’aumento dei tassi di sconto da parte delle banche centrali. La strategia di aumento dei tassi di sconto ha ovviamente l’obiettivo di rendere il credito più costoso e, quindi, di colpire la domanda di beni di consumo e di investimento: si tratta, comunque la si voglia imbellettare, di una politica che mira alla riduzione della domanda da parte di famiglie e imprese, con effetti potenzialmente recessivi.
Ora, se questa strategia può essere giustificata da chi la propone perché ritenuta la sola efficace per abbattere la domanda, non si vede in che modo essa possa esserlo quando la causa dell’inflazione è essenzialmente dal lato dell’offerta, come è in Europa, dove pandemia prima e guerra poi hanno avuto, stanno avendo e avranno effetti molto pesanti sui prezzi alla produzione, in particolare per i forti aumenti dei prezzi dell’energia. Tant’è: in Area Euro dobbiamo prepararci ad aumenti dei tassi che verranno adottati in tutta probabilità il 21 luglio e poi di nuovo, e probabilmente con mano più pesante, il 7-8 settembre.
La posizione critica di chi scrive è facilmente giustificabile: l’inflazione da offerta si combatte adottando strumenti per l’aumento dell’offerta, per l’aumento della produttività, per riportare merci e servizi sul mercato, per ristabilire in tempi brevi il funzionamento delle catene globali di produzione: verrebbe da dire, in aperta polemica con i protezionisti esteri e nostrani, per ridare fiato a quella globalizzazione che ha consentito decenni di prezzi stabili e scambi abbondanti.
Fabio Sdogati è professore di Economia Internazionale presso GSM Politecnico di Milano