Il documento di economia e finanza delude chi sperava in interventi più solidi per arginare la crisi e la spinta inflazionistica. La Cgil: “Serve uno scostamento di bilancio e l'introduzione di una tassazione sulle grandi ricchezze”

Il Def è stato approvato, ma per molti si poteva fare di più. Dal documento di economia e finanza che arriva a fronteggiare una doppia crisi - quella pandemica e quella scoppiata in seguito all'invasione dell'Ucraina - associazioni, sindacati e persino qualche gruppo parlamentare si aspettavano qualche sostegno in più in favore delle fasce più deboli, o di quelle che stanno pagando di più questo aumento dei prezzi scoppiato nel nuovo anno.

 

La forte ripresa che si era registrata nel 2021, ha subito una brusca battuta di arresto con il conflitto innescato dalla Russia e oggi i tecnici della Camera, nella relazione illustrativa al Def, descrivono un “quadro economico fortemente condizionato dall'incertezza”.

 

In questo contesto la fiducia di imprese e famiglie è sotto i piedi, con i prezzi dell'energia e degli alimentari che continuano a salire mettendo in crisi i conti familiari, soprattutto i redditi da lavoro dipendente che subiscono di più il peso dell'inflazione. Ed è proprio su questo punto che Stefano Fassina, deputato di Liberi e Uguali ed economista, punta il dito: «C'è bisogno di non scaricare sulle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori questa spirale inflazionistica, c'è bisogno di un'attenzione anche a livello europeo perché, a differenza del 1992-1993, la politica monetaria si fa a Francoforte, non si fa a Roma in via Nazionale e non è possibile immaginare una nuova scala mobile. Su questo il Governo dovrebbe prestare attenzione. Quindi, da un lato, tetti ai prezzi fondamentali delle materie prime, a cominciare dall'energia, dall'altro, una politica dei redditi assistita da misure sul versante della tassazione, sia per la difesa del potere d'acquisto sia per quanto riguarda gli utili delle imprese».

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Anche molte associazioni in queste settimane hanno puntato il dito contro il Def, accusato di rimanere totalmente inerme di fronte all'acuirsi della crisi per alcune fasce della popolazione colpite dall'austerità, dalla pandemia e dagli effetti della guerra in corso.

 

«Gli italiani stanno pagando il prezzo della guerra. Le guerre si preparano investendo in armi e tagliando in spese in diritti sociali e giustizia ecologica. In Italia questo percorso è iniziato da molti anni. - accusa il Responsabile nazionale delle Politiche Sociali di Libera e Coordinatore della Rete dei Numeri pari, Giuseppe De Marzo - Nel merito e nel metodo vediamo un declino della democrazia e siamo molto preoccupati perché non c'è neppure il confronto. Abbiamo scritto al governo e solo il Ministro Cingolani ci ha risposto che non aveva tempo per noi nella sua agenda. Questo Def non affronta le complessità delle questioni, ma riproduce quella normalità che ha prodotto la crisi, dirottando risorse verso il comparto delle armi e delle energie fossili. Torniamo indietro, ma abbiamo 6 milioni di poveri in più».

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Così con il Def si torna a parlare delle fragilità di questo paese che, nonostante i dati di ripresa registrati l'anno scorso, mostra la sua debolezza endemica che con la pandemia si è acutizzata. La Cgil nel documento depositato in commissione descrive “una situazione sociale drammatica” che trova conferma nelle relazioni tecniche che accompagnano il documento che definisce le prospettive di crescita “deboli e incerte”.

 

Così, di crisi in crisi, la forbice delle disuguaglianze si allarga e finisce per inghiottire sempre più persone, non più solo i fragilissimi, ma anche chi finora ha camminato sul cornicione. Qualche giorno fa, il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha diffuso l'analisi dei redditi del 2020, anno della crisi pandemica, in cui risulta che il reddito totalmente dichiarato registra un -19 per cento rispetto all'anno precedente, con una media procapite di 21.570 euro. E se in Lombardia il reddito medio dichiarato si attesta sui 25mila euro, in Calabria si arriva a 15 mila e a soffrire di più sono i lavoratori autonomi che registrano una flessione del fatturato pari -8,6 per cento. Poi, complessivamente, si sono perse circa 345 mila dichiarazioni dei redditi rispetto al 2019, segnale che qualcuno è scivolato nel mondo del sommerso o ha perso il lavoro.

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E ogni report, ogni relazione da chiunque sia stilata segna un bollettino di guerra, pezzi che se letti nella loro interezza mostrano una crisi dell'intero sistema che va dalla scuola, passando per il lavoro, il welfare, la sanità. Save The Children nell'ultima edizione dell'Atlante dell'Infanzia conta 1,3 milioni di minori in povertà assoluta e la percentuale di Neet (chi non studia e non lavora) più alta in Europa.

L'emergenza Covid - secondo l'associazione - si è innestata in un contesto già fragile caratterizzato da un calo demografico che ha lasciato vuote 1 milione di culle in dieci anni e da una carenza di fondi strutturali soprattutto in educazione.

 

Così si è tornati al blocco dell'ascensore sociale, dove la scuola rappresenta la piena attuazione dell'art. 3 della Costituzione, e soprattutto durante il lockdown ha mostrato il suo effetto più evidente: ha potuto seguire la dad chi aveva una connessione stabile, un device personale, una stanza silenziosa per poter studiare.

 

La Cgil avrebbe voluto un “Def coraggioso, soprattutto sul versante sociale” che sappia supportare le fasce più deboli dai pensionati ai lavoratori precari dall'aumento dell'inflazione. Insomma misure che materialmente possano sostenere il reddito, ma anche il coraggio di pensare un sistema energetico che possa affrancarsi totalmente dalle forniture russe.

 

Nel rapporto “Crisi, emergenze e shock. Appunti per scenari, previsioni e contromisure economiche” redatto dal sindacato di Corso d'Italia, si torna a chiedere uno scostamento di bilancio e l'introduzione di una tassazione sulle grandi ricchezze o patrimoni e misure che costituiscano “leva” per gli investimenti privati per fare fronte a questa situazione che vede sommarsi crisi alla crisi, con un indebolimento generale di tutti gli attori in campo.

 

E la sfiducia in economia porta recessione, perché tendenzialmente l'economia è una scienza sociale e con orizzonti nefasti, la domanda di beni e servizi tende a diminuire. Il Fondo Monetario Internazionale ha già stimato una brusca frenata della stima di crescita del Pil che quest'anno dovrebbe toccare il 2,3%, cioè 1,5 punti percentuali in meno rispetto alle previsioni di gennaio che sono bruciati a causa della guerra, che non si sa quando terminerà, con effetti evidenti su questi numeri che sintetizzano in cifre il benessere di un paese. Per questo associazioni e sindacati dal governo si aspettavano di più.