I politici italiani. I mercati. E la banca centrale europea. Tutti seduti allo stesso tavolo e con la stessa posta...

L'Italia è coinvolta, come la Grecia, in un programma di salvataggio stile Fondo Monetario Internazionale, solo che non lo sa. gli elementi del dramma ci sono tutti: il panico nel mercato dei titoli di Stato, la caduta della borsa, l'allarme di Bruxelles e Washington, le dimissioni del premier e la crisi politica. Meno compreso è che le varie parti del programma di salvataggio del Fmi sono state messe in atto, con una differenza fondamentale. Tra gli elementi standard c'è la lettera d'intenti esplicita inviata da Berlusconi a Barroso e contenente le misure che l'Italia intende adottare per rimettere in ordine i conti dello Stato e per rendere competitiva l'economia, con le relative scadenze. altrettanto tipica È La richiesta dell'Italia all'Fmi (e alla Ue) di un monitoraggio severo del programma di riforme proposto con l'obiettivo di rendere l'implementazione disciplinata, di potersi avvalere della collaborazione degli esperti e, soprattutto, di rassicurare i mercati. i programmi dell'Fmi sono sempre vincolati a queste due condizioni.

La differenza fondamentale è che, diversamente dai programmi ordinari del Fondo , nel caso italiano non è stato elargito alcun prestito per aiutare il Paese a finanziare il deficit nei tre anni che solitamente occorrono, quando tutto va bene, perché esso torni ad avere accesso ai mercati a tassi ragionevoli. Per una semplice ragione: né l'Fmi né l'European Financial Stability Facility (Efsf) hanno risorse sufficienti per salvare l'Italia. Nessuna delle due istituzioni è strutturata per salvare un'economia gigante che richiederebbe prestiti per un ammontare vicino ai mille miliardi di euro. E qui entra in gioco la Bce. L'Italia potrebbe contare su acquisti di emergenza delle sue obbligazioni da parte della Banca centrale europea (Bce), che impedirebbero che gli interessi sui titoli italiani tocchino livelli che porterebbero il costo del finanziamento a livelli insostenibili. Dati, tuttavia, il tasso di crescita, l'inflazione e le previsioni del surplus primario, quel limite (7 per cento circa sui Btp decennali) è già stato superato, si spera, solo temporaneamente.

Sorgono dunque due domande: innanzitutto, che cosa deve aspettarsi l'Italia ora che è soggetta, seppure virtualmente, a un programma dell'Fmi? Secondo, quali sono le implicazioni del dover contare sulla Bce invece che su un prestito? La risposta alla prima domanda è che l'Italia non potrà probabilmente evitare una recessione prolungata e profonda. La fiducia del mercato, una volta persa, è difficile da riconquistare e se lo Stato per finanziarsi dovrà pagare un interesse del 7 per cento, potranno le aziende e i privati sperare di pagare di meno? La condizione dell'economia italiana è migliore di quella greca e il sistema bancario italiano è in uno stato di salute migliore di quello del sistema bancario irlandese. Tuttavia appare di buon senso ricordare che in Grecia e in Irlanda il consumo delle famiglie è sceso dal picco del 2007 rispettivamente del 15 e del 20 per cento. Se il programma italiano non avrà successo, come nel caso greco, il risultato potrebbe essere la bancarotta e una possibile uscita dall'eurozona.

Quanto alla seconda domanda non esiste il precedente di un salvataggio di un paese delle dimensioni dell'Italia da parte di una banca centrale internazionale - una banca che, inoltre, è limitata a farlo dal suo stesso mandato. Di certo c'è che solo gli acquisti di obbligazioni sovrane da parte della Bce in questo momento evitano che l'Italia (e l'intera Eurozona) precipiti nel disastro. Inoltre, nessuno sa se l'Italia può contare sugli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce, a differenza dell'erogazione periodica di nuove tranche di prestiti come nel caso della Grecia.
Osservatori qualificati come Martin Wolf sostengono che una garanzia della Bce estesa a tutte le obbligazioni sovrane dei paesi membri dell'eurozona porrebbe fine alla crisi. A mio avviso ciò è sognare a occhi aperti: se gli acquisti di emergenza della Bce saranno considerati una sorta di soluzione permanente, i problemi fiscali e di competitività non vengono affrontati e, nei fatti, si rimuovono gli incentivi perché lo faccia la politica. Una tale strategia minerebbe inevitabilmente il sostegno politico all'Unione monetaria nei paesi del nocciolo dell'euro, i cui cittadini sanno bene che si starebbe svalutando la moneta e che la loro banca centrale starebbe assumendo dei rischi straordinari il cui peso ricadrebbe su di loro. La conseguenza di una mancata reazione rapida alla crisi è che il futuro dell'Italia ora è la posta in gioco di un poker tra la Bce, i leader politici italiani e i mercati.
traduzione di Guiomar Parada
Uri Dadush è associato senior del Carnegie Endowment for International Peace