La denuncia di un gruppo di cameriere ai piani: «Esistiamo e rivendichiamo rispetto»

Come in un film di Ken Loach, un affresco naturalistico dei gangli meno instagrammabili del mondo del lavoro. Molto diversi dalle verità di facciata, dai tormentoni politico-televisivi. Uno dei più celebrati negli ultimi anni vuole il comparto turistico italiano gravato dalla difficoltà insormontabile nel trovare manodopera. Nonostante gli stipendi più che congrui e le fulgide prospettive di carriera. Ah, quei bamboccioni dei proletari d’oggi... Ma non è sempre così, a giudicare dalle parole affilate, orgogliose e demistificanti di questo gruppo di addette alle pulizie alberghiere: “Le invisibili”.

 

Il loro atto d’accusa è stato raccolto dai Si Cobas. «Durante i tre anni del Covid, mentre l’industria del turismo crollava, sembrava che a soffrirne fosse solo il fatturato, ma non noi: inascoltate e mute, semplici accessori. L’esercito delle cameriere ai piani, a un certo punto, ha rotto il silenzio e sono partite le mobilitazioni. Davanti ai grandi alberghi abbiamo gridato al mondo: “Esistiamo e rivendichiamo rispetto”. Senza le proteste, la cassa integrazione sarebbe rimasta uno spot a uso del governo». Non tutte l’hanno ottenuta, comunque, ed è durata poco.

 

Poi il settore ha risalito la china fino al boom attuale, le strutture piene e il rincaro dei prezzi, ma «nessun beneficio per noi, solo un aggravio di lavoro. Le committenze continuano ad appaltare e subappaltare potendo scegliere tra ben 13 contratti del turismo. Tanta ricchezza di opzioni a disposizione dei fornitori di personale è finalizzata a rendere più povere le nostre buste paga». Dal contratto Aica, «il meno peggio», fermo però dal 2018 e non più rinnovato, al ricorso trasversale al Ccnl Multiservizi «perché, oltre a una paga oraria di 7,1 euro lordi, le assunzioni durano tre mesi, con turni di tre ore». E può andare peggio, «si può scivolare nel girone dei chiamati dalle agenzie e qui le retribuzioni sono ancora più basse».

 

Questione di sopravvivenza. Il pane, mica le rose. «Siamo madri, abbiamo un reddito solo se lavoriamo, molte di noi sono immigrate». E senza salario fisso, addio permesso di soggiorno. Donne che non conoscono i vocaboli «svago» e «superfluo».

 

«La nostra vita è un’estenuante corsa per gli affitti, il gas, la luce, i generi di prima necessità. I programmi di lavoro ruotano caoticamente in funzione delle prenotazioni dei clienti. Si alternano giornate di super-lavoro a ferie forzate. Il messaggino inviato all’ultimo sui cellulari scandisce il ritmo delle nostre giornate. Qualora il riordino delle camere non sia ultimato entro le ore stabilite, si deve continuare a lavorare a oltranza».

 

Cottimo-omaggio. E mai lamentarsi: «“Se non fai quanto richiesto, ti lascio a casa e impari la lezione”. Questa è una frase abbaiata e altre volte sottintesa». Ritmi produttivi che deteriorano la salute, «stress» e «carichi pesanti» e dopo un po’ «le articolazioni, la schiena, le ginocchia e i gomiti sono rovinati». Non dimenticando le molestie sessuali. La legge prevede un piano di prevenzione, ma «tutto rimane sulla carta». Tanto le stanze d’hotel verranno pulite lo stesso. E l’apparenza sarà impeccabile.