«Parchi naturali e luoghi storici devono essere tutelati certo. Ma serve anche educare alla bellezza di questi impianti». La studiosa Serenella Iovino spiega come si impara una nuova estetica

Le pale eoliche di Pian dei Corsi, in Liguria, compaiono all’improvviso tra le immagini idilliache che accompagnano il video di “Andare oltre”, la canzone di Niccolò Fabi scelta dalla giuria del Club Tenco come migliore dell’anno. Anche il video, firmato da Valentina Pozzi, ha vinto un premio, al Roma Film Festival: è un giro d’Italia dall’alto fatto di colline e tetti di tegole, scogliere e foreste, strade di campagna e crinali di monti. Unico segno di modernità sono i mulini a vento contemporanei, tanto osteggiati da chi accusa la transizione energetica di minacciare la bellezza del paesaggio.

 

Immagini come queste possono aiutare a far nascere un nuovo sguardo, più benevolo verso gli impianti energetici necessari alla transizione ecologica? Ne abbiamo parlato con Serenella Iovino, comparatista e docente all’università di Chapel Hill (Usa): alla difesa delle bellezze italiane la studiosa ha dedicato di recente un saggio appassionato, intitolato “Paesaggio civile” (il Saggiatore).

 

«Come sempre quando a un paradigma si vuole sostituire un altro paradigma ci sono gruppi che fanno resistenza: e bisogna chiedersi da dove vengono o che interessi hanno quelli che fanno resistenza», spiega. La sua però non è una difesa acritica: «Parchi naturali e siti storici vanno salvaguardati: anche a me fa impressione vedere il cretto di Burri a Gibellina coronato da una cresta di pale. L’impatto delle nuove infrastrutture energetiche sul paesaggio è forte, tanto che quando è possibile si preferisce metterle in mare aperto. Anche l’impatto acustico è significativo, e per questo non possono essere vicine ai centri abitati. Quanto ai pannelli solari, che anni fa coprivano terreni agricoli, oggi si preferisce metterli sui tetti».

 

La soluzione però non è nascondere: se le luci dell’albero di Natale a Roma sono alimentate da pannelli solari è giusto metterli bene in vista, anche se questo fa gridare allo scandalo esteti come Vittorio Sgarbi. «È bene metterli in evidenza perché questo serve a far passare il messaggio che la transizione ecologica è importante per tutti. Le fonti di energia rinnovabile sono una scelta obbligata, dettata dalla scienza e dal buon senso. Ma devono dare un messaggio positivo, non essere considerate una punizione per un passato energivoro: non è che siccome abbiamo inquinato troppo, adesso dobbiamo accettare di avere le pale eoliche in giardino...».

 

È anche vero che il paesaggio è qualcosa che vive: «Il paesaggio cambia e cambia la sua interpretazione. Non è un museo, deve esprimere le esigenze evolutive del nostro abitare». È quello che è successo negli anni Cinquanta, ai tempi dell’elettrificazione del Paese, che ha provocato ferite ancora ben visibili nel paesaggio «ma», osserva Iovino, «se ci si fosse opposti a quel cambiamento si sarebbe bloccato il Paese, e avremmo inquinato molto di più».

 

In quegli anni la necessità di sottolineare il messaggio positivo è stata una preoccupazione degli industriali, che hanno chiesto aiuto all’arte: «Ricordo i documentari di Ermanno Olmi per l’Edison. Metteva in luce la monumentalità dell’impresa e il lavoro dei singoli che ci stavano dietro, degli operai che lavoravano sospesi a decine di metri da terra o in montagna e contribuivano a elettrificare il Paese».

 

In quel caso si era trattato di un colpo di fortuna: Olmi aveva iniziato a lavorare a sedici anni per l’azienda in cui era impiegata sua madre, e qualcuno gli chiese se voleva filmare il lavoro degli operai che costruivano le centrali e le linee elettriche. Il risultato sono quaranta documentari d’autore (disponibili sul sito dell’azienda).

 

«In quelle immagini gli operai che lavoravano su montagne per piantare i tralicci e realizzare la rete elettrica avevano uno spessore epico. Certo era un documentario pagato dall’Edison, ma c’è una vera poesia del lavoro: si vede l’interazione ottimista della piccola potenza degli operai con la potenza delle montagne, il fatto che il nostro Paese veniva per la prima volta collegato. Ora dovremmo fare lo stesso: educare lo sguardo alla bellezza degli impianti di energia rinnovabile. Quando sentiremo l’ottimismo e la progettualità che sono dietro alle nuove forme architettoniche, dietro alla loro monumentalità e al minimalismo delle loro linee essenziali, vedremo che sono anche belle».