A bordo di un’imbarcazione stracolma pur di raggiungere Lampedusa. O a piedi per 6mila km fino all’Iran. Il fotoreporter Piscitelli e lo scrittore Pagliassotti raccontano chi sogna di raggiungere l’Ue. E chi li aiuta

«Le giornate erano lunghe e noiose a Djerba, in una villetta che fino a poco prima probabilmente ospitava turisti in vacanza. Passavamo la maggior parte del tempo fumando, giocando a carte, guardando il mare e il meteo alla tv, per capire quando sarebbe potuto essere il momento migliore per partire. Per tre volte abbiamo provato a imbarcarci verso Lampedusa: una volta eravamo in troppi, la seconda è arrivata la polizia. La terza siamo partiti alle 4 di mattina dal porto di Zarzis. All’inizio l’euforia generale, poi il mal di mare, il buio pesto, l’ansia hanno fatto calare il silenzio».

 

Così racconta Giulio Piscitelli, fotoreporter che dalle coste tunisine è partito per Lampedusa a bordo di una barca talmente piena di persone che la poppa era quasi a filo con l’acqua: «Tre uomini non si sono mai fermati per svuotare lo scafo con l’acqua che saliva nonostante la pompa di sentina. Pregavo affinché il motore non si spegnesse, altrimenti anche l’idrovora si sarebbe stoppata. E saremmo colati a picco. Dopo 12 ore abbiamo chiesto indicazioni a un peschereccio egiziano sulla direzione per Lampedusa. Credevo fosse un vecchio lupo di mare con il Gps. Invece no. All’alba abbiamo visto un gabbiano, poi una striscia di terra: con il cellulare quasi scarico ho chiamato la Guardia costiera; quand’è arrivata, il motore della nostra imbarcazione si era già spento. L’acqua saliva ancora. Eravamo 120 corpi stipati su una vecchia barca, senza possibilità di movimento ma pieni di speranze. La maggior parte dei miei compagni era spinta da una voglia di cambiare la propria vita che io solo in parte potevo capire».

 

L’organizzazione del viaggio, che solo per una catena fortuita di eventi è finita bene, era stata concordata con Osama, il passeur, 35 anni, volto affilato e in testa un berretto da baseball, non lontano dal porto di Zarzis: vitto e alloggio pre-partenza inclusi nel pacchetto. «Non è stata la persona peggiore che ho incontrato, ma neanche uno con cui andrei a prendere il caffè. Osama era una persona controversa, sicuramente scaltra, che si è ingegnata per sopravvivere: nelle zone di frontiera ci sono tanti micromondi e microeconomie, spesso sommerse, che si incrociano», conclude Piscitelli.

 

Che il trafficante sia un prodotto della frontiera lo pensa anche Maurizio Pagliassotti, scrittore, autore del libro “La Guerra invisibile. Un viaggio sul fronte dell’odio contro i migranti”, in cui descrive la guerra silenziosa che l’Europa conduce contro chi sogna di raggiungerla, dopo aver percorso per seimila chilometri le frontiere: «Posso dire di aver conosciuto come mai prima la figura del trafficante, un essere umano sul quale si è posato un giudizio manicheo che lo pone senza appelli tra i colpevoli di questa storia. Io porterò a casa un’immagine diversa, prismatica», scrive. «Tali figure sono il risultato della legislazione in riferimento alla frontiera. Se vogliamo eliminare questo mestiere dobbiamo modificare la legge che altrimenti continuerà a produrlo».

 

Per Pagliassotti quelli che chiamiamo confini sono linee fortificate, dove la vita si svolge su un piano militare. E i migranti sono «i nemici» contro cui l’Europa combatte: per l’Oim, dal 2014 a oggi nel Mar Mediterraneo sono morti o sono stati dati per dispersi più di 26 mila migranti. Quasi l’80 per cento di questi è scomparso lungo la rotta tra il Nord Africa e l’Italia.