Serve una maggiore cultura della sicurezza e della prevenzione. Ma anche giustizia. «La sicurezza non è un’imposizione, ma un traguardo da raggiungere per il benessere delle persone e dell’ambiente»

Potatori di alberi e agricoltori, magazzinieri e operai di edilizia su fune. Sono queste le categorie maggiormente a rischio infortuni. Secondo i dati più recenti forniti da Inail, solo nei primi quattro mesi dell’anno in corso hanno perso la vita sul lavoro 264 persone: tre in più rispetto al 2022. Si aggiungono gli oltre 187 mila casi di infortuni non mortali. In “zona rossa”, con un’incidenza superiore al 25 per cento rispetto alla media nazionale, ci sono Umbria, Valle d’Aosta, Abruzzo e Marche. In “zona arancione”, Veneto, Piemonte, Liguria, Lombardia e Sicilia. In “zona gialla”, Campania, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Puglia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Lazio e Toscana. Infine, in “zona bianca”, Calabria, Basilicata e Molise.

 

«È un bilancio preoccupante che colpisce soprattutto quando si tratta di vittime giovanissime: l’incidenza di mortalità di chi ha un’età compresa tra i 15 e i 24 anni è il 50 per cento in più di quella nella fascia tra i 25 e i 34 anni (7,9 infortuni mortali ogni milione di occupati contro 5,1)», spiega Federico Maritan, direttore tecnico Osservatorio Vega Engineering di Mestre. «Particolarmente coinvolti anche i lavoratori stranieri: 15,2 morti ogni milione di occupati contro 8,3 italiani. Le denunce di infortunio sono diminuite del 26,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. Il decremento è più significativo nella sanità, passata l’emergenza Covid, mentre il maggior numero di segnalazioni arriva dal settore manifatturiero, dall’edilizia, dai trasporti, dal commercio». Serve, dunque, prevenzione. «I controlli da parte degli enti che vigilano sull’attuazione delle norme antinfortunistiche devono essere efficaci sia nel correggere i comportamenti errati sia nell’interrompere, se necessario, le attività ad alto rischio», sottolinea Maritan.

 

Il settore pubblico e quello privato presentano gli stessi problemi. «Il decreto 81 del 2008 su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, aggiornato ogni cinque anni, ha introdotto dispositivi di protezione collettiva e individuale, regolamentato la cosiddetta alternanza scuola-lavoro e la formazione per gli insegnanti» sottolinea Tommaso Barone, consulente per la sicurezza. «C’è una resistenza culturale al cambiamento che impedisce di capire un concetto basilare: la sicurezza non è un’imposizione, ma un traguardo da raggiungere per il benessere delle persone e dell’ambiente. Fin dalla scuola primaria bisognerebbe insegnare a rispettare chi ci sta accanto, in ufficio, a casa, per strada. È importante che datori di lavoro e lavoratori collaborino. E non va mai dimenticato che la mancanza di prudenza e l’improvvisazione nell’affrontare le situazioni non pagano».

 

Un monito da ricordare. Anche perché è difficile che le indagini sugli incidenti mortali portino a individuare le responsabilità. «Si colpevolizza solo il lavoratore, attribuendogli disattenzione e superficialità», dice Fabio Capraro, avvocato della famiglia di Andrea Soligo, elettricista morto nel 2022, a 25 anni, nel Vicentino. Nonostante le richieste di riapertura, l’inchiesta sul suo caso è stata archiviata. E giustizia rischia di non essere fatta.