Per la legge non potrebbero essere trattenuti più di 48 ore, invece ci restano mesi. In nome dell’emergenza. Così la loro salute mentale è a rischio. E tanti scappano

Sono bloccati in un limbo da cui non sanno come uscire. Per mesi, dopo aver attraversato il Mediterraneo a bordo di imbarcazioni di fortuna. Schiacciati come le speranze che avevano quando hanno deciso di partire, di lasciare casa e familiari alla ricerca di un futuro.

 

Sono centinaia i minori non accompagnati rinchiusi negli hub di accoglienza italiani, fermi, immobili, soli, privati della possibilità di fare qualsiasi cosa, anche se non hanno nessuno colpa. «Sono 200 solo nel centro Sant’Anna di Crotone», racconta Aouatif Mounchyne, operatrice e mediatrice culturale dell’ong di SOS Villaggi dei Bambini, la più grande Organizzazione a livello mondiale impegnata da anni affinché i minori che non possono beneficiare di adeguate cure genitoriali crescano in una situazione di parità con i propri coetanei.

 

«L’adolescenza è un periodo molto delicato. L’incertezza, l’insicurezza, l’inquietudine sono sentite con ancor più intensità da chi ha lasciato il proprio Paese per affrontare un viaggio lungo, difficile, in cui ha assistito e subito violenze. Per poi trovarsi solo in una terra straniera. Disorientato, smarrito. Così sono tanti i minori che cercano di scappare dai centri di accoglienza in cui restano bloccati per mesi. Perché mancano i tutori legali e le strutture idonee ad accoglierli. Anche se non hanno nessuno da cui andare, a cui chiedere aiuto, fuggono per tentare di costruirsi una vita».

 

Come ha fatto Amadou: 16 anni. Partito dalla Guinea è sbarcato nell’isola di Lampedusa lo scorso febbraio. Da lì è stato trasferito all’hub di Crotone dove è ancora in attesa. Alla fine di marzo è scappato: «La polizia l’ha riportato qui dopo averlo trovato che si muoveva senza una meta chiara tra i comuni del crotonese. Abbiamo cercato di spiegargli che fuggire non serve. Diventerebbe clandestino e perderebbe la possibilità di entrare a far parte della squadra di calcio locale. Il suo sogno. Per ora ha deciso di continuare ad aspettare. Ma non so quanto ancora resisterà».

 

Come spiega Mounchyne attendere, infatti, significa soffrire: «Un minore senza tutore non può fare niente. Neppure uscire dal centro. O andare a scuola, avere accesso agli ospedali. I servizi sociali intervengono solo in caso di emergenza. Così Amadou trascorre le giornate passeggiando: fa colazione, pranzo, cena e cammina». Stare senza fare niente tutto il tempo fa crescere anche il nodo alla gola: un pesante senso di colpa acuito dalle telefonate dei familiari che non conoscendo il contesto italiano incalzano i figli affinché si costruiscano una vita e inizino a lavorare. Anche per mandare i soldi a casa. Ma senza tutore i minori non possono neanche iniziare il processo di integrazione. Richiedere protezione, asilo, documenti.

 

«Per legge non potrebbero essere trattenuti negli hub di accoglienza per più di 48 ore. E invece ci restano mesi perché le strutture idonee ad accoglierli sono piene. Una procedura straordinaria che viene giustificata in nome dell’emergenza. Che però è routine» conclude Mounchyne. Che con SOS Villaggi dei Bambini promuove attività di supporto psicosociale all’interno dei centri, come sport e laboratori, per differenziare giornate che altrimenti sarebbe impossibile distinguere. Per adolescenti la cui salute mentale è già messa a durissima prova dalle esperienze affrontate prima di arrivare in Italia. Durante viaggi che in molti casi durano anni.