È un’idea nata per permettere a tutti di avere l’essenziale a portata di mano. Ma ora è accusata di voler segregare i cittadini. Guida ai paradossi dell’ultima moda urbanistica basata sull’intuizione di un fisico italiano

Nella città ideale lo spazio si misura con il tempo. Sembra ovvio ora che sentiamo tanto parlare di “città dei 15 minuti”, quella in cui ogni abitante si trova a breve distanza dai servizi essenziali per gli impegni quotidiani e per la vita sociale, ma non è sempre stato così. Il primo ad avere l’idea del “cronourbanismo” che oggi sembra la soluzione a ogni problema di chi abita in città, è stato un fisico toscano. Si chiamava Cesare Marchetti e, come spesso accade, nel nostro Paese la sua genialità è passata quasi inosservata. Quando è morto, all’inizio dello scorso aprile, da noi non se n’è accorto nessuno: il messaggio di cordoglio più sentito è stato quello della Rockfeller University di New York.

 

Nel corso di una vita molto lunga (96 anni) e di una carriera molto varia, Marchetti ha inventato e ideato di tutto: un lubrificante per orologi, un metodo di produzione per l’acqua pesante per le centrali nucleari, un sistema di “carbon capture” che avrebbe sepolto nelle correnti profonde del Mediterraneo tutta la Co2 allora prodotta in un anno in Europa (eravamo nel 1977)… Le cronache italiane però si ricordano di lui soprattutto per una sua previsione che riguardava i delitti del mostro di Firenze. Subito dopo l’uccisione di Scopeti, nel settembre del 1985, Marchetti avrebbe sostenuto che, secondo calcoli basati su equazioni predittive, la curva dei delitti lasciava presagire che quello sarebbe stato l’ultimo: aveva ragione.Tornando all’urbanistica, «Marchetti si è reso conto che gli esseri umani hanno una tolleranza più o meno inflessibile per le distanze di viaggio tra le funzioni essenziali della loro vita, una caratteristica che è stata ripresa dagli urbanisti di oggi», racconta Natalie Whittle, ex giornalista del Financial Times che a “La città dei 15 minuti” ha dedicato un saggio documentatissimo (edizioni Il Margine). «Era un pensatore molto elegante che usò la sua inclinazione più filosofica per guardare attraverso l’apparente caos della crescita urbana e capire come il comportamento umano stava indirizzando la diffusione delle città verso la periferia».

 

Il fisico toscano ha dato il nome alla “costante di Marchetti”, una stima del tempo che un pendolare è disposto a investire per spostarsi ogni giorno da casa al lavoro, e che rimane uguale dall’antichità a oggi: circa mezz’ora. Se il tempo impiegato supera questo limite, le persone cercano di trasferirsi più vicino al luogo di lavoro o di trovare mezzi di trasporto o percorsi più veloci. Ma, paradossalmente, se mezzi pubblici più efficienti o nuove strade riducono il tempo di percorrenza, invece di godersi il tempo ritrovato le persone si spostano più lontano, e la città si allarga.

 

Da qualche anno però l’unità di misura del tempo considerato accettabile per gli spostamenti in città si è dimezzata: da mezz’ora a 15 minuti. È questa l’unità di tempo ideale per i fautori della nuova città perfetta: urbanisti ma anche amministratori, ecologisti ma anche sindaci, soprattutto quelli delle 100 città più importanti, riuniti in un club chiamato C40. Un quarto d’ora è anche il tempo limite rispetto al quale è meglio andare a piedi che prendere l’automobile: anche nella città ideale degli automobilisti, il tempo necessario per andare a prendere la macchina parcheggiata vicino casa, affrontare un breve percorso e trovare un nuovo parcheggio sarebbe comunque di circa un quarto d’ora. Tanto vale andare a piedi.

 

Il movimento mondiale per la città da 15 minuti ha trovato la sua accoppiata vincente a Parigi. Qui la sindaca franco-spagnola Anne Hidalgo e l’urbanista franco-colombiano Carlos Moreno in pochi anni hanno disseminato la città di piste ciclabili e aree pedonali, hanno trasformato le scuole pubbliche in centri culturali, hanno creato strutture sanitarie in tutti i 20 arrondissement e facilitato l’apertura di piccoli negozi di beni essenziali. Tutto, pur di combattere la città dei parcheggi e degli ingorghi e favorire quelle che Moreno definisce «le sei funzioni essenziali della socialità urbana: abitare, lavorare, rifornirsi, studiare, divertirsi e avere l’assistenza di cui si ha bisogno».

 

Un’utopia? Forse. Di certo, tra tante utopie, questa ha segnato un record: ci ha messo un attimo a trasformarsi, agli occhi dell’opinione pubblica amplificata dai social, in un incubo. Un’imposizione liberticida nata per rinchiudere i poveri nei loro ghetti. Un complotto mondiale delle élite contro la gente normale. Una guerra dei quartieri ricchi contro le periferie. Una “greenification” nata per creare una rete di isole verdi e costose da cui la gente comune sarebbe bandita. La campagna di demonizzazione delle città da 15 minuti ha dilagato dall’Europa agli Stati Uniti, dal Canada a Oxford. Quando la ridente città universitaria inglese si è trovata al centro della teoria del complotto, e gli amministratori che avevano annunciato un piano di riduzione del traffico sono stati bersagliati da proteste di strada e minacce di morte, la Bbc ha cercato di vederci chiaro. Jennie King, studiosa dei meccanismi della disinformazione per l’Institute for Strategic Dialogue, ha sottolineato i legami con il cospirazionismo sul Covid: «L’idea del lockdown climatico è apparsa per la prima volta nel marzo 2020, quando la notizia dei blocchi a Wuhan a seguito della pandemia è entrata per la prima volta nei telegiornali». La terminologia usata nelle fake news «proveniva da una serie di articoli pubblicati negli Stati Uniti e collegati a un think tank che nega i cambiamenti climatici, “The Heartland Institute”. Si tratta in realtà dell’attualizzazione di un vocabolario molto vecchio che immagina un futuro in balìa della “tirannia verde”, una distopia in cui le libertà civili individuali vengono strappate via con il pretesto di risolvere il cambiamento climatico».

 

Su un punto, però, la Bbc dà ragione agli oppositori: la comunicazione sulla trasformazione urbana è stata sbrigativa e controproducente. E non è successo solo ad Oxford, a quanto pare. Ne sanno qualcosa i funzionari del Comune di Roma che cercavano di preparare i cittadini all’introduzione della nuova fascia verde, vietata alle auto più inquinanti. «Sapete dove potete mettervela la città dei 15 minuti?», si sono sentiti gridare da un’elegante signora, memore delle promesse elettorali del sindaco Gualtieri.

 

Coinvolgere i cittadini è fondamentale, perché i cambiamenti positivi più importanti e duraturi nascono dalle loro richieste. Whittle ricorda il caso dell’Olanda: fino al 1971, anche nelle strade olandesi l’automobile la faceva da padrone. Ma in quell’anno si contarono tremila vittime di incidenti stradali, tra cui 450 bambini, e le strade si riempirono di manifestanti, spingendo i governanti a quelle misure di pedonalizzazione, piste ciclabili e parcheggi per bici che hanno reso i Paesi Bassi un paradiso delle due ruote.