Il prete di strada scomparso nel 2013 non è stato dimenticato. I suoi valori di accoglienza e solidarietà vivono nonostante il vento politico contrario nella Comunità di San Benedetto da lui fondata. E che continua a essere meta del pellegrinaggio di politici e intellettuali

Nella trattoria A’ Lanterna, a Genova, è ancora tutto identico: il chiasso, l’odore di fritto, le foto di vip alle pareti. E le citazioni: Don Gallo di qua, Don Gallo di là. Perché fu proprio il prete di strada, all’inizio degli anni ’80, a immaginarsi in queste tre stanze qualcosa di impensabile per l’epoca: un ristorante gestito da persone con problemi di dipendenza. «E oggi eccoci qui», dicono gli eredi del progetto, una ciurma un po’ incasinata tra i fornelli e la sala. Maura, capello bianco, da dietro al bancone allunga il dito: «Don Gallo si sedeva lì, in quel tavolo ovale».

Il 22 maggio saranno dieci anni dalla morte del prete di strada, educatore, attivista, saggista e fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto. «Non una comunità di recupero, ma una comunità di accoglienza», ripete Domenico Chionetti detto “Megu”, che di Don Gallo è stato portavoce ed è da sempre in prima linea nel portare avanti le sue battaglie.

 

Non è stato semplice: subito dopo la morte del “Gallo” nella stessa Comunità c’era il timore che fosse difficile continuare con lo stesso slancio. E invece l’associazione ha resistito ed è ancora protagonista della vita sociale e politica di Genova, dove il 22 maggio doveva tenersi una giornata di eventi per ricordare il sacerdote, rinviata a luglio dopo la tragedia dell’Emilia Romagna. Hanno aderito Moni Ovadia, Dori Ghezzi, Africa Unite e Walter Massa (presidente nazionale di Arci). A volere la giornata è stata la Comunità, non le istituzioni locali: anche perché rispetto agli ultimi anni della vita di Don Gallo il contesto politico è completamente cambiato.

 

Dieci anni dopo: la destra dilaga, gli amici rimangono

Quando Don Gallo morì, a 84 anni, Genova e la Liguria erano in mano al centrosinistra mentre oggi il centrodestra del sindaco Marco Bucci e del presidente Giovanni Toti non hanno rivali; a livello nazionale Fratelli d’Italia aveva il 2% e la Lega il 4%, ora governano. La Comunità però è ancora in prima linea nelle lotte per diritti civili e sociali, ed è una tappa simbolica nelle visite genovesi per una certa sinistra politica e culturale. Tanto per dire: il comizio di Elly Schlein, il venerdì sera prima delle primarie del Pd, è stato in piazza Don Gallo, nel “ghetto” di Genova, zona dimenticata popolata da spacciatori e prostitute.

 

A metà aprile, come tradizione, il segretario della Cgil Maurizio Landini è stato a Campoligure nell’entroterra di Genova, paese natale della famiglia di Don Andrea, dove il prete è sepolto e dove ogni anno la Comunità ricorda la Liberazione. «Don Gallo era cattolico, ma anche partigiano e militante comunista: e non ci vedeva nessuna contraddizione», lo ricorda il suo caro amico Moni Ovadia, attore e scrittore. «Dal punto di vista cristiano era un santo, dal punto di vista ebraico un “giusto”. Si batteva per l’uguaglianza e la giustizia sociale e lo faceva con una passione vibrante». Tra battute e sbuffi di sigaro Don Gallo era un uomo di relazioni, ed è infatti lunga la lista di amici e sostenitori della Comunità: da Vasco Rossi e Ilaria Cucchi a Nicola Fratoianni e Vauro, passando per Vito Mancuso, Dario Vergassola, Fiorella Mannoia, Però Pelù, i Subsonica, Caparezza, Erri De Luca, Dori Ghezzi.

 

Per rendersi conto degli intrecci del sacerdote basta fare un salto nel suo archivio: tra le decine di agende spicca quella del 2001, anno del G8 di Genova. In quei giorni di manifestazioni gli appuntamenti del Don erano senza sosta: “intervista con Mario Monicelli”, “cena con Manu Chao”, “marcia con Franca Rame”, “intervista a Porta a Porta”. «Don Gallo andò al concerto di Manu Chao, il giorno dopo Manu Chao venne nella nostra sede», ricorda la storica aiutante del sacerdote, Liliana “Lilly” Zaccarelli. «Aveva un assegno per noi. “Serve per dar da mangiare alla gente”, ci disse».

 

La Comunità oggi

Oggi la Comunità ha una trentina di dipendenti ma non ama dare numeri, memore di quando in passato tutti chiedevano a Don Gallo: «Quanti ne salvate?». E lui piccato rispondeva: «Che importa? Degli altri cosa facciamo, li ammazziamo?», per sottolineare una visione non salvifica, ma di rispetto anche per chi non riusciva a liberarsi dalla dipendenza. L’impegno della Comunità in questo campo è intanto diventato meno rilevante, tanto che delle cinque comunità di un tempo oggi ne sopravvivono tre: dal dilagare dell’eroina negli anni ’70 il mondo delle dipendenze è cambiato: «Ma la vocazione è identica», spiega Marco Malfatto, presidente della Comunità. «Ci occupiamo di persone e di bisogni, di essere umani, luoghi, quartieri».

 

I bisogni cui risponde la Comunità si sono quindi ampliati: verso le vittime della tratta, delle nuove povertà e del gioco d’azzardo, oppure con l’aiuto ai migranti; ma anche con l’offerta di servizi in zone problematiche, e con la solidarietà in ottica di economia circolare grazie alla raccolta di abiti usati e la lotta agli sprechi del cibo. «La persona resta al centro: ma davvero, non per modo di dire», spiegano Malfatto e “Megu” Chionetti. «La grande eredità di Don Gallo è la sua pedagogia: è importante la scelta, la motivazione di ognuno».

 

Il fulcro di questo mondo continua a essere la trattoria di fronte al porto, in via Milano 134r, luogo di emancipazione e incontro, laboratorio politico e di riflessione. Dove il cuoco o il cameriere possono essere un richiedente asilo un ex carcerato, e a tutti i commensali è data la stessa importanza: che si tratti di un magistrato, un cantante, un politico, un portuale. «Qui non c’è una classe sociale, non si fanno distinzioni», ripete chi ci lavora, con orgoglio. «Perché questa è A’ Lanterna di Don Gallo. E a tavola, come diceva Don Andrea, siamo tutti uguali».