Gli esponenti della minoranza forzista erano tra i sospetti citati nella relazione che sciolse per mafia il Comune. Si sono ripresentati. Ecco tutti i rapporti di parentela con i clan

C’è del marcio sulla costa degli dei, soprattutto nel Comune di Tropea. La cosiddetta perla del Tirreno è uno dei simboli turistici della Calabria, conosciuta a livello internazionale per la sua bellezza paesaggistica e per l’iconica cipolla rossa, considerata tra le più dolci al mondo. A livello amministrativo, però, di strato in strato la situazione che emerge risulta essere tutt’altro che dolce. Anzi, fa venire quasi da piangere.

 

Dopo lo scioglimento e il commissariamento per infiltrazioni mafiose dell’ente, che durò dal 2016 all’ottobre 2018, l’allora minoranza ha vinto le elezioni comunali e attualmente amministra le sorti del Comune tirrenico. La Prefettura di Vibo Valentia chiese infatti l’incandidabilità solo per il sindaco dell’epoca e un ex assessore, ma non per tutti gli altri consiglieri e assessori citati nella relazione per rapporti sospetti.

 

L’Espresso ha potuto visionare il documento riservato che analizza i profili di coloro che oggi guidano il Comune calabrese, con in testa l’attuale sindaco Giovanni Macrì di Forza Italia. Sul suo conto la relazione prefettizia riporta che è il nipote diretto di Gerardo Macrì, pluripregiudicato denunciato per favoreggiamento della latitanza del boss Giuseppe Mancuso, e considerato un prestanome dell’omonimo clan. Nel 2004 il collaboratore di giustizia, Domenico Cricelli, dichiarò che entrambi i Macrì (zio e nipote) fra il 1992 ed il 1994 erano soliti frequentare e pranzare proprio con il boss Giuseppe Mancuso.

 

Nel documento spunta anche il nome dell’assessora Erminia Graziano, ai tempi sposata con Gaetano Muscia, ritenuto un affiliato del clan Mancuso e La Rosa, condannato in via definitiva a sette anni per usura ed estorsione e a cinque per narcotraffico internazionale. Trame e intrecci che inquinano anche lo scandalo del “cimitero degli orrori”, che ha travolto Tropea nel febbraio 2021, quando la Guardia di Finanza ha scoperto che il custode Francesco Trecate (impiegato del Comune e zio dell’assessora Greta Trecate, che ritroveremo tra poco), insieme al figlio Salvatore (cugino dell’assessora) e a Roberto Contartese gestivano un business macabro, con cadaveri incendiati, disseppellimenti e posti al cimitero venduti illegalmente. In quel frangente il Comune di Tropea decise di costituirsi parte civile, ma la relativa delibera della giunta non è stata votata dall’assessora Greta Trecate e proprio dall’assessora ai servizi cimiteriali, Erminia Graziano. Perché? Semplice, il figlio dell’assessore Graziano, Francesco Muscia, era l’avvocato di Roberto Contartese.

 

Tornando all’organigramma comunale: sull’attuale vicesindaco Roberto Scalfari la relazione della Commissione di accesso agli atti ha evidenziato che è il compagno della nipote di Gaetano Muscia, mentre il consigliere con la delega allo Sport, Francesco Addolorato, è primo cugino dei boss Antonio, Pasquale e Francesco La Rosa di Tropea, fondatori dell’omonimo clan di Tropea.

 

C’è poi l’attuale assessora agli Affari Generali del Comune di Tropea, Greta Trecate, che vanta un padre e quattro zii paterni citati nel documento di commissariamento, ex sorvegliati speciali, più volte arrestati. Lo zio materno dell’assessora è invece Ivano Pizzarelli, condannato in via definitiva a sette anni per associazione mafiosa (clan Mancuso). Infine, il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso ha dichiarato che alla sua famiglia nella zona di Tropea erano collegate le «famiglie La Rosa e Trecate, detti Patati».

 

Quanto allo sponsor politico della brigata tropeana: si tratta del deputato, nonché coordinatore regionale di Forza Italia in Calabria, Giuseppe Mangialavori. L’onorevole forzista, che non è mai stato né condannato, né imputato, né indagato, nel 2021 viene accusato dal pentito Bartolomeo Arena, nelle carte di Rinascita Scott, di essere legato alla ’ndrangheta, in particolare al clan Anello di Filadelfia. Nelle carte dell’operazione “Imponimento”, invece, si parla del sostegno dei clan alla sua candidatura, mentre negli atti dei magistrati della Dda di Catanzaro viene evidenziato che «dal 2018 la figlia di Tommaso Anello è stata dipendente della Salus Mangialavori Srl».

 

«Sono legami evidenti e compromettenti. La Prefettura di Vibo Valentia sta legittimando, con il suo silenzio e la sua inerzia, questi amministratori, creando un pericolosissimo precedente», spiega il presidente uscente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra. «Ho chiesto più volte all’allora prefetto di Vibo l’invio della Commissione di accesso agli atti per verificare se ricorressero le condizioni per lo scioglimento per infiltrazioni mafiose, senza mai ricevere risposta. È stata un’omissione gravissima».

 

A sollevare dubbi sulla squadra di governo comunale è anche il consigliere d’opposizione Antonio Piserà. Negli ultimi anni Piserà ha portato avanti una battaglia di trasparenza, chiedendo più volte alla Prefettura di Vibo una «Commissione di accesso per verificare l’attività del Comune e una copia dei documenti fiscali della società che amministra il porto di Tropea: entrambe le richieste mi sono state negate». Sia la Prefettura, sia il porto sono attenzionate nell’inchiesta Olimpo.

 

Perché tanta resistenza? Forse lo sapremo presto, in quanto nelle ultime settimane il Viminale ha inviato cinque ispettori per acquisire ed esaminare documenti in diversi uffici della Prefettura. Nel frattempo, per decisione del consiglio dei ministri, la prefetta di Vibo Roberta Lulli è stata trasferita a Roma, al suo posto Paolo Giovanni Grieco.