La proposta al capo della polizia è di Tina Montinaro, vedova del caposcorta di Giovanni Falcone. Fulvio Sodano fu trasferito su pressione di Antonino D’Alì, l’ex sottosegretario forzista in carcere come complice di Matteo Messina Denaro

Un ulivo nel Giardino della memoria per ricordarlo e la richiesta che il ministro dell’Interno assegni la medaglia al valor civile all’ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano. L’iniziativa è di Tina Montinaro, moglie di Antonio, il caposcorta del giudice Giovanni Falcone, ucciso con lui a Capaci assieme alla moglie del magistrato Francesca Morvillo e ai colleghi Rocco Dicillo e Vito Schifani.

 

Per Sodano si tratta di un riconoscimento postumo dovuto a un servitore dello Stato, isolato e poi estromesso dalla frontiera trapanese da Antonio D’Alì, il più influente dei colletti bianchi complici dell’allora superlatitante Matteo Messina Denaro. Fu infatti l’allora sottosegretario all’Interno con delega ai collaboratori di giustizia, oggi in carcere per scontare una condanna a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa, a perorare l’allontanamento del prefetto.

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Il decreto di trasferimento fu firmato dal ministro Giuseppe Pisanu. D’Alì si è consegnato a Opera giusto un mese prima della cattura del superboss. Una circostanza temporale sottolineata in un appunto della vedova di Fulvio Sodano, Maria che L’Espresso ha pubblicato all’indomani della cattura del capomafia.

Il marito morì nel 2014, fiaccato dalla Sla che ne aveva minato il corpo, privandolo della parola ma lasciandolo lucido fino all’ultimo.

Sodano era arrivato a Trapani nel 2000. Gestendo la Calcestruzzi Ericina, patrimonio confiscato al boss trapanese Vincenzo Virga, non volle rassegnarsi alla penuria di commesse che con la gestione pubblica stavano segnando la fine dell’azienda e dei lavoratori. Contrariato, D’Alì, in un pranzo a quattr’occhi, minacciò obliquamente il prefetto, ricordandogli di avere carta bianca sul trasferimento dei prefetti. Sodano andò dritto per la propria strada e nel 2003 il prefetto fu trasferito ad Agrigento su disposizione del governo Berlusconi. Ci rimase fino al 2005.

 

Possidente con interessi diretti nella Banca Sicula, poi ceduta alla Comit, D’Alì aveva avuto Francesco Messina Denaro, il padre di Matteo come campiere, ruolo poi ereditato dal figlio. A chi gli rinfacciava quei rapporti sosteneva di averli subiti. La realtà delle indagini racconta di una disponibilità ininterrotta nei confronti dei boss.

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Attento ai rapporti con la comunità che gli valse l’epiteto di prefetto del popolo, Sodano, contribuì al risveglio delle coscienze trapanesi, come gli riconobbe il capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi. «Per questo – dice Tina Montinaro – va chiuso il ciclo e restituita la memoria che merita al prefetto Sodando da parte di quello stesso Stato che lo ha mortificato: chiederò al ministro Piantedosi il conferimento della medaglia e nel giardino di Capaci pianteremo un albero di ulivo per Sodano. Gli altri alberi, in ricordo delle tante, troppe vittime del dovere, danno già i loro frutti. Produciamo l’olio per le funzioni sacre in loro ricordo. Un olio che idealmente contrapponiamo all’olio sporco di sangue di cui Messina Denaro menava gran vanto».