Bacini prosciugati, campi inariditi. E poi alluvioni, frane e smottamenti. Come nelle Marche o a Ischia tra settembre e novembre. Da un lato l’abbandono del territorio, dall’altra lo spreco di un bene vitale come l’acqua

Fiumi in secca divenuti sentieri da trekking. Laghi trasfigurati in spianate riarse. Letti d’acqua prosciugati e arbusti secchi piantati in mezzo al nulla. Luoghi scenografici alla rovescia, inquietanti, immanenti. Italia, deserto. Non un’iperbole esotica ma una realtà mediterranea a tutti gli effetti. Sono le conseguenze della siccità dilagante. Non bisogna più andarsene in Africa o in Asia per restare abbagliati dai miraggi della sabbia arida sconfinata. Ecco cosa può comportare il cambiamento climatico contrassegnato dall’aumento sistematico delle temperature, dalle ondate di calore, dalla scarsità delle precipitazioni piovose (e nevose), dai terreni disabituati ad assorbire l’acqua piovana. Il degrado progressivo del suolo fagocita ecosistemi oltremodo sensibili. Al resto provvediamo noi, sprecando lo sprecabile.

 

Nel Belpaese è ormai a rischio di desertificazione tra il 20 e il 30 per cento del territorio e questa stima è destinata ad accentuarsi ulteriormente, viste le cronicizzate condizioni ambientali e meteorologiche. Un pericolo che pare irreversibile in Sicilia (dove è “polverizzabile” il 70 per cento del suolo), Puglia (57 per cento), Molise (58 per cento) e Basilicata (55 per cento). L’Italia come un nuovo e imprevedibile Sahara. Lo testimoniano, per ultimi, gli scatti del fotografo Gabriele Galimberti, vincitore l’anno scorso del World Press Photo, che ha girato in lungo e in largo il Paese quest’estate insieme a Camilla Miliani. Il risultato è una pubblicazione dal titolo in apparenza paradossale: una “Guida turistica ai deserti d’Italia” all’interno del progetto “Acqua nelle nostre mani” di Finish. Eravamo in piena emergenza, ma è molto difficile che le cose si capovolgano. Nei prossimi mesi diventerà una mostra fotografica a Milano.

 

In Sicilia, in provincia di Enna, c’è il deserto di Pozzillo. Sì, avete letto bene. Si dipana per una superficie di 8 chilometri e l’abbiamo creato, per assurdo, noi. Al suo posto troneggiava uno dei più grandi bacini artificiali europei, con una capacità di 150 milioni di metri cubi d’acqua. Serviva a irrigare i campi agricoli circostanti, nella zona prosperavano gli agrumeti e persino un bosco di alberi di eucaliptus. Oggi la siccità l’ha cancellato, complice una manutenzione insufficiente. Nel Molise, tra Termoli e Campobasso, sotto un viadotto trafficatissimo, si staglia per quasi 8 chilometri il deserto di Guardialfiera, con le sue crepature geometriche perfettamente incastrate l’un l’altra. Il panorama si scolpisce seduta stante nella memoria. Fino a non molto tempo fa vi sorgeva un invaso generato dall’innalzamento di una diga sul fiume Biferno, per fornire acqua ai paesi della zona. Ora la natura matrigna se l’è ripreso.

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Con un unico contrappasso positivo, se vogliamo: quando il livello delle acque si annichilisce, come accaduto a luglio e agosto, riaffiora una passerella favolosa di cui si erano perse secolarmente le tracce. È il redivivo ponte di Annibale: si dice che l’intrepido condottiero cartaginese lo guadò per raggiungere la Puglia durante la seconda guerra punica. Altri esempi. In provincia di Teramo si profila il deserto del Salinello. È lungo 45 km e si snoda anche in altezza con punte di 200 metri. Le sue pareti di rocce mandano in deliquio gli amanti delle arrampicate. Insomma, un canyon dentro il parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, circondato da grotte ed eremi. Il punto è che alla sua base dovrebbe scorrere tuttora un fiume, il Salinello, che deve il suo nome alle saline in prossimità della foce. Ma si è tramutato in un sentiero sterrato. Non lontano da qui, in provincia di Ascoli Piceno, sotto i Monti Sibillini, a un’altitudine di 1941 metri e intervallato da dune d’ordinanza, ecco il deserto di Pilato. Era un laghetto di origine glaciale, uno dei tanti in predicato di scomparire. E quelli che sembrano due occhi spalancati altro non sono che quel che resta dei bacini d’acqua dove sarebbe stato custodito, sulla scorta della leggenda, il cadavere di Ponzio Pilato. Due rimasugli di specchi liquidi alpini; uno sguardo affievolito dalla latitanza della neve, che potrebbe spegnersi per sempre. In provincia di Perugia fa straniante e asciuttissima mostra di sé il deserto del Trasimeno, sulle ceneri (parziali) del più celebre e omonimo lago. Un’immensa spianata friabile, fratturata da venature a mo’ di solchi giganti. Non dipende solo dal dio delle piogge. E dire che questo eden lacustre aveva riempito d’incanto scrittori come Virginia Woolf e Goethe.

 

Ancora: ogni giorno più di 8 mila autoveicoli percorrono il ponte Paladini, a sud-ovest di Piacenza. Quando venne edificato, dieci anni fa, sovrastava il fiume Trebbia. Adesso galleggia sulla terra spoglia. Gli automobilisti si sono abituati a questo sinistro fondale emerso, che si solidifica incessantemente. In provincia di Sondrio è arduo non lasciarsi ipnotizzare dall’inconcepibile deserto di Montespluga, avvinto da catene montuose che ne fanno una sorta di cratere. Un landscape lunare nell’Alta Valchiavenna, sul limitare della Svizzera. Che poi all’inizio guizza una pozzanghera: un pallido, residuale retaggio di un lago “sintetico” che sprigionava una profondità di 67 metri nonché una capienza di 32 milioni di metri cubi d’acqua.

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Italia, deserto, 2022. I risvolti esiziali non finiscono qui. Il deficit idrico è inesauribile, non piove mai e quando avviene si scatena spesso l’apocalisse. Alluvioni, frane e negligenze umane. L’ultimo evento estremo ha devastato a novembre Casamicciola a Ischia e prima ancora, a settembre, le Marche. I problemi idraulici sono una ferita aperta. Secondo Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi (Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue), «molti degli alvei oggi in secca sono stati, nel recente passato, protagonisti di disastrose esondazioni. I consorzi di bonifica monitorano il territorio di competenza, ma va sollecitata l’attenzione anche delle comunità locali perché un territorio arido è uno straordinario acceleratore della velocità delle acque di pioggia: le previsioni hanno dimostrato di non poterne determinare con precisione né la quantità, né le modalità». Basta sempre meno per innescare un disastro. Quanto alla siccità in generale, il nord-ovest sprofonda in zona rossa. I laghi principali crollano sotto le medie del periodo, con percentuali di riempimento sovente sotto la soglia del 10 per cento. Riserve idriche dimezzate ovunque, compresi i bacini montani e il fiume Po sotto il suo minimo storico: al centro-sud va un po’ meglio. «Urge aumentarle, trattenendo al suolo più dell’11 per cento di acqua piovana che attualmente riusciamo a stoccare, quando arriva», aggiunge Massimo Gargano, che dell’Anbi è il direttore. Le falde acquifere tricolori tendono al prosciugamento. Versano, per almeno un terzo, in pessimo stato. Nel 2020 si sono smarriti per strada, nei capoluoghi di provincia e nelle città metropolitane, 41 metri cubi giornalieri per chilometro. Un’enormità, il 36,2 per cento dell’acqua immessa in rete. E il nostro consumo pro capite resta tra i più elevati al mondo: ne consumiamo, per uso domestico, 152 metri cubi l’anno.

 

Si sono estinte le mezze stagioni, anzi le stagioni tout-court, ma dobbiamo entrare in un’inedita stagione di consapevolezza. Ridimensionando la dispersione idrica nelle case, nell’industria, nell’agricoltura. L’acqua è il principio della vita ed è un bene sempre più prezioso, in via di rarefazione. È davvero il nuovo oro, blu. Cominciamo dai classici accorgimenti della micro-sostenibilità, un uso più accorto di docce, lavatrici, lavastoviglie: basta col voltarsi dall’altra parte, verso un passato che non c’è più. Quanto al surriscaldamento globale, il punto di non ritorno sarà pur superato ma facciamo e diciamo la nostra, diamo ascolto e voce ai giovani, strigliamo i governi, coltiviamo la buona stella. Limitiamo i danni. Altrimenti ci attendono solo lande desolate, vertigini brulle e sassose, spettacoli distopici alla Ballard. Un mondo anecumenico e argilloso, fuori dal tempo. E le oasi sono inganni della mente nel deserto che avanza.