Nascono dappertutto, recuperando cascine e fondi abbandonati. Ad animarli sono comunità solidali aperte a un turismo incentrato sulla condivisione e la sostenibilità ambientale

L’idea di vivere in modo sostenibile e possibilmente all’interno di comunità che lascino un’impronta ecologica positiva sul Pianeta, attira una folta schiera di nuovi sostenitori.

 

Gli ecovillaggi sono diventati la destinazione ideale per vivere un’esperienza che va al di là di una vacanza alla ricerca di relax: sono una scelta di vita legata alla salvaguardia ambientale, allo scambio e condivisione tra nuovi visitatori e abitanti permanenti di comunità. Questo stile ad impatto zero segue modelli socioeconomici diversi dalla maggioranza, privilegiando un’alimentazione biologica, a volte vegetariana, l’utilizzo di energie rinnovabili e l’impiego di biomateriali da costruzione come legno e fibre vegetali. «Gli ecovillaggi fanno parte delle comunità intenzionali, un gruppo di persone che mosse da un’intenzione e stessi ideali vivono insieme affinché si possa realizzare un sogno comune. Non serve un vincolo sanguigno per decidere di vivere insieme e raggiungere un preciso obiettivo, si deve puntare l’accento piuttosto su una scelta di base, ovvero come trasformare la propria vita in un’ottica ecologica, già a partire da ciò che si mangia, dall’abbigliamento, da come ci si relaziona con gli altri, dalla scelta lavorativa o dall’educazione dei figli, ma anche come rendere equanime la partecipazione di tutti», spiega Francesca Guidotti, ex presidente e membro attivo del Rive, “Rete italiana villaggi ecologici” e fondatrice dell’ecovillaggio “La torre di mezzo” di Prato.

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Nel suo libro “Ecovillaggi e cohousing” e nel secondo, “Vivi gli ecovillaggi d’Italia “ di Lorenzo Olivieri e Jacopo Tabanelli, di cui Francesca Guidotti ha curato il primo capitolo, accompagna in maniera dettagliata all’interno delle varie realtà del centro nord, zone di maggiore attivismo, spiegando quali ispirazioni spingono verso questo stile di vita sobrio, basato su relazioni autentiche di solidarietà e fiducia reciproca. Ma l’aspetto più interessante è sicuramente l’apertura dei villaggi ecologici verso gruppi di principianti spinti da un improvviso impulso di eco condivisione. In Italia, infatti, alcune comunità permettono anche a visitatori “estranei” di soggiornare per periodi più o meno lunghi solo in cambio di un semplice aiuto.

 

È il caso dell’ecovillaggio Lumen di San Pietro in Cerro, in provincia di Piacenza, una comunità fondata nel 1992 su ideali di pace, etica e attenzione allo sviluppo armonico degli esseri umani attraverso la promozione di sani stili di vita. Il villaggio può ospitare comodamente cinquanta famiglie negli oltre mille metri quadrati di spazi a disposizione per gli ospiti. Della nascita di Lumen ha beneficiato anche l’ambiente circostante, grazie ad azioni dirette di bonifica per eliminare le sterpaglie e far posto a frutteti, orti e a una biopiscina. Dove c’era una cascina disabitata ora vivono quindici famiglie e laddove non esistevano prospettive di lavoro è stata creata una realtà economica variegata e vivace, in forte collegamento con le istituzioni. Tra le attività dell’ecovillaggio, al primo posto ci sono sicuramente le cure naturali alternative e l’uso responsabile delle energie rinnovabili, ma la comunità oggi si fa promotrice dello sviluppo del potenziale umano, dell’educazione responsabile dei figli, sostenendo al tempo stesso i valori di democrazia e solidarietà e spingendo i suoi ospiti verso la ricerca della libertà. «Creiamo comuni e comunità libere il più possibile dal denaro, libere dalle religioni, che fungano da spazi sociali per attività culturali e di sviluppo ecologico, trattando argomenti inerenti alla vita rurale, il ritorno alla campagna, agli orti, alla terra, al rispetto reciproco e alla critica costruttiva», si legge nella pagina Facebook ufficiale degli ecovillaggi. «Il momento storico che stiamo vivendo ha messo in crisi il sistema di riferimento di tantissime persone. Molti hanno iniziato a chiedersi: è davvero questo quello che voglio fare o essere nella mia vita?», continua Francesca Guidotti.

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La maggior parte di queste comunità naturali sono rivolte a interi gruppi familiari e propongono persino servizi di istruzione per bambini molto piccoli. All’interno di queste associazioni autogestite sorgono delle vere e proprie scuole di naturopatia, perché alla base dell’insegnamento c’è la vita comune dei residenti di queste microsocietà, capaci di organizzare formazioni individuali e collettive, mettendo l’essere umano e la natura al centro del percorso e ponendo la vita come una continua opportunità di apprendere lezioni nuove. Secondo l’idea dei comunardi, infatti, dalla corretta conoscenza di sé è possibile sviluppare talenti e superare punti deboli; in questo modo l’ecovillaggio diventa un’alternativa che permette ad ogni essere umano di essere inserito in un tessuto sociale fatto di relazioni sane, stabili e amorevoli. Fonti di ispirazioni per questi luoghi sono i villaggi nordici, che traggono spesso il loro nome dai personaggi fantastici che vivono in totale armonia con la natura e i suoi abitanti, nel pieno rispetto dei ritmi di ciascuno.

 

Non a caso, l’ecovillaggio di Sambuca pistoiese, si chiama proprio “Il popolo degli elfi” e questa comunità elfica è considerata uno dei primi esperimenti di vita in gruppi naturali presenti in Italia. Nato dall’occupazione di terre e ruderi abbandonati da decenni, questo vasto agglomerato conta quattro piccoli villaggi e altre quattordici case coloniche in cui si vive senza elettricità, tv e pc compresi, mentre riscaldamento ed illuminazione sono assicurati da sole e fuoco. La giornata tipo si svolge raccogliendo frutti, coltivando ortaggi e allevando alcuni capi di bestiame, il tutto esclusivamente per la quotidiana sussistenza. Gli ospiti esterni non sono da meno e collaborano attivamente con i residenti usuali anche nei lavori di manutenzione e recupero delle abitazioni. Ma è a pochi chilometri da Ventimiglia che dal 1989 il lavoro di rifacimento di un piccolo borgo medievale ha dato vita alla comunità “Torri Superiore”, l’ecovillaggio più antico d’Italia.

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Per le opere di restauro sono stati impiegati soltanto pietre locali e materiali naturali come sughero o fibre di cocco. Tutti i serramenti sono in legno sostenibile e le pitture murali totalmente ecologiche. Si produce acqua calda con pannelli solari e gli impianti di riscaldamento sono mantenuti a bassa temperatura. Non mancano diversi orti e frutteti, ispirati ai principi della permacultura, un’agricoltura inattiva che lascia ai ritmi e ai processi della natura il compito di fare tutto il lavoro. Non si effettua nessuna coltivazione, né si ara il terreno perché è compito dei microrganismi occuparsi della fertilizzazione e ovviamente sono banditi anche concimi chimici e pesticidi.

 

Quel borgo originario abbandonato è stato così recuperato in forma di ecovillaggio, un gioiello di innovazione agricola, ospitalità e turismo sostenibile. Attualmente a Torri Superiore abitano in modo permanente trenta persone, tra adulti e bambini, attirando ogni anno ospiti temporanei che cercano momenti di convivialità sostenibile. Si tratta di una condivisione che non è soltanto interna al villaggio, ma si instaura specialmente tra ecocomunità distanti grazie alla rete Rive, che garantisce il collegamento tra i centri più maturi e le nascenti comunità, offrendo un grande supporto a chi decide di muovere i primi passi anche come semplice volontario. Occorre innanzitutto partire dal pensiero che sta alla base di un ecovillaggio: «Tutto nasce dal comune sentimento degli esseri umani e dalla consapevolezza di ciò che questo rappresenta e di cosa siamo noi come persone, individui con tendenze naturali quali condivisione, uguaglianza, rispetto e onestà, valori che tentiamo di mettere in atto nelle comunità intenzionali e negli ecovillaggi.

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L’intento è mettere in pratica e far propri questi valori ideali. Non è semplice, ma possibile: vivere una realtà diversa è una scelta di appartenenza, un modo di rimanere in armonia col tutto e condividere questa visione con altre persone», specifica Gabriella Oliva, fondatrice e comunarda dell’ecovillaggio “Tempo di vivere” di Piacenza. «Ma non esistono norme in Italia che riconoscano queste forme di aggregazione senza vincoli di parentela e spesso si è obbligati a fare ricorso a forme giuridiche previste dal nostro ordinamento, come associazioni, cooperative o aziende agricole», spiega il Rive. Serve una legge che favorisca l’utilizzo dei beni comuni abbandonati, fornendo tutela e una destinazione d’uso delle strutture e aree verdi a favore delle comunità. Al contrario, si cade spesso in fraintendimenti e si finisce per non riconoscere appieno le potenzialità di questi gruppi. I passi necessari per creare realtà di questo tipo partono infatti da un processo cosciente di appartenenza: che siano ecovillaggi più aperti alla condivisione o co-housing relativamente più private e con gestione collettiva soltanto di alcune parti, tutte queste forme di comunità intenzionali si basano fondamentalmente sulla salvaguardia ambientale e su una scelta di cambiamento del modo di ascoltare sé stessi e di conseguenza di rapportarsi con gli altri. Questo è per i comunardi il tentativo di riappropriarsi di valori etici, quali il rispetto dell’individuo e della diversità. È il punto di partenza per uscire dall’individualismo.