«Mancano i macchinari, i laboratori, il personale medico e manageriale». Non è solo colpa del Covid-19 se in Italia non partecipano ai programmi di screening oncologici. Eppure, la prevenzione potrebbe ridurre del 40% la mortalità. Torna nelle piazze l’azalea della ricerca per sostenere l’Airc

Sono più di 3 mila le donne in Italia che hanno un tumore al seno ma non lo sanno. Questo perché, a causa dell’impatto che il Covid-19 ha avuto sul Servizio sanitario nazionale, le operazioni per gli screening oncologici sono state prima sospese, durante il lockdown di marzo-aprile 2020, poi fortemente rallentate nonostante la ripartenza. Per la mancanza di personale medico specializzato, di risorse, per la paura del contagio tra la popolazione. E anche perché manca un piano oncologico nazionale aggiornato, l’attuale risale al 2011.Tanto che ancora oggi non siamo tornati ai livelli pre-pandemia, sebbene la velocità con cui i ritardi si accumulano rispetto al 2019 si stia lentamente affievolendo.

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Come ricorda la dottoressa Paola Mantellini, coordinatrice dell’Ons, l’Osservatorio nazionale screening, l’ente che lavora a supporto sia delle Regioni, sia del ministero della Salute, «non è detto che tornare alla situazione pre Covid-19 significhi rientrare in un quadro ottimale visto che molte Regioni lavoravano male già prima. Perché invitavano una bassa percentuale degli aventi diritto a fare i test di prevenzione, o ricevevano una risposta scarsa di partecipazione da parte della popolazione. Per queste l’obiettivo non è ripetere il 2019 ma arrivare a livelli mai raggiunti fino ad ora. È il caso, ad esempio, della Calabria, commissariata, che da anni non investe nella prevenzione».

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In molte aree italiane mancano i laboratori, i macchinari, le attrezzature, il personale medico specializzato e manageriale essenziale per effettuare gli screening, perché alla base c’è l’assenza di una programmazione adeguata e funzionale, nonostante gli studi dimostrino che «nelle donne tra i 50 e i 69 anni la partecipazione allo screening può ridurre del 40 per cento circa la mortalità per il tumore alla mammella». Così scrive la Fondazione Airc nella Guida agli screening oncologici che distribuirà il prossimo 8 maggio, quando, in occasione della festa della mamma, l’azalea della ricerca tornerà a colorare molte piazza d’Italia, per sostenere i ricercatori impegnati a trovare diagnosi sempre più precoci e terapie efficaci.

 

«Parliamo di cancro al seno perché è il più diffuso in Italia. Nel 2021 sono stati diagnosticati 55 mila nuovi casi su 182 mila tumori in totale tra le donne», spiega la dottoressa Lucia del Mastro, professore ordinario di Oncologia all’Ospedale San Martino-Università di Genova. «È il più frequente anche in quelle che hanno meno di 50 anni. Quindi, una diagnosi precoce è fondamentale per ridurre la mortalità, insieme all’efficacia delle terapie post-chirurgiche per abbassare il rischio che si formino metastasi». Se da un lato, come dice Del Mastro, «le novità per la cura del tumore alla mammella sono tante e la ricerca procede spedita: solo nell’ultimo anno sono stati introdotti tre nuovi farmaci molto validi per le terapie post-intervento». Dall’altro, invece, si legge nell’ultimo report dell’Ons, ci sono ancora 800 mila donne in meno rispetto al 2019 che hanno eseguito lo screening mammografico.

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Non è definito l’impatto effettivo che i ritardi nell’effettuare i test di prevenzione hanno sull’incidenza del tumore al seno perché i dati complessivi del 2021 non sono pronti e perché «molto dipende dalla velocità di recupero nei programmi di screening che, però, varia da regione a regione ed evidenzia - proprio come succedeva nell’Italia pre Covid-19 - una forte discrepanza tra il nord, che ha mostrato una migliore capacità di resilienza, e il sud del Paese», spiega Mantellini. Ma grazie ai modelli matematici è possibile stimare che oggi 3558 donne hanno un carcinoma alla mammella che non è ancora stato individuato.

 

«In più tra quelli che stiamo curando adesso - nota Del Mastro - c’è un aumento delle dimensioni a causa del fatto che sono stati diagnosticati più tardi del solito, cresce il numero di tumori di grandezza superiore ai 2 cm che possono necessitare di terapie più invasive per essere eliminati». Una diagnosi tardiva, quindi, porta all’aumento del rischio di mortalità. All’utilizzo trattamenti post-chirurgici più duri nei confronti del paziente e alla crescita dei costi a carico del Servizio sanitario nazionale. Come ricorda la Fondazione Airc da anni, per contrastare il tumore è importante investire nella prevenzione e nell’educazione dei pazienti ad accettare senza timore l’invito a partecipare agli screening, fondamentale garanzia per la salute