La storia
Vita e trucchi di John Scarne, il più noto cartomago di sempre che prestò le mani a Paul Newman
Aveva origini abruzzesi il celebre illusionista ingaggiato per il film “La stangata”. E si chiamava Scarnecchia. È sua la più celebre movimentazione di carte della storia del cinema
Avrebbe compiuto tra poco cent’anni John Scarne, il più famoso cartomago di tutti i tempi, che aveva origini italianissime. Il suo vero cognome era, infatti, Scarnecchia: i genitori erano sbarcati negli Stati Uniti al tramonto dell’Ottocento, in fuga dalla miseria di un paesino abruzzese. Una parabola da copertina del sogno americano. E questo lo sanno in pochi. Tutti invece conoscono a memoria un ciak dell’immortale “La stangata”, anno di grazia 1973 e sette premi Oscar.
Scarne fece da consulente tecnico, anzi, molto di più: erano sue le mani, più veloci del West, che nel film sembrano appartenere a Paul Newman. Le doppiò da par suo. La scena è quella in cui Henry Gondorff, il suo personaggio smaliziato e incantatore, si lancia in vorticose movimentazioni di un mazzo di carte. Un abile montaggio e via, verso la leggenda. Ad apprendere certi riflessi ed escamotage in scaletta, l’attore dagli occhi d’oceano ci avrebbe impiegato mesi. Era un gigante, sì, ma del cinema. E non tutto è recitabile: per questo hanno inventato gli stuntmen. E perciò decise di andare a colpo sicuro, chiedendo al migliore sulla piazza di prestargli gli attrezzi del mestiere. È sbocciata così la più celebre manipolazione su un tavolo verde nella saga della settima arte.
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Racconta a L’Espresso Raul Cremona, il noto mago e comico milanese, precursore del cabaret magico: «Vi si vedono miscugli e fioriture che sono entrati nel repertorio classico. Quando mi sono avvicinato alla prestigiazione, negli anni Settanta, non giravano video a parte quel capolavoro, non esistevano nemmeno i videoregistratori. E aleggiava potente il mito di Scarne, zenith dell’abilità con le carte e nella cosmogonia dei massimi illusionisti». Del resto era stato proprio quest’ultimo a progettare la “card shoe”, la scatola in uso nei casinò per dare le carte, e a riformulare il conteggio nel Black Jack. E due suoi trucchi prodigiosi sono studiati e mutuati in perpetuo dai prestigiatori di mezzo mondo: l’estrazione in sequenza dei quattro assi da un mazzo più volte mischiato e la coincidenza di tre diverse carte da due mazzi differenti. Tutorial vintage e ante-litteram che affiorano oggi su YouTube.
John Scarne è stato un protagonista, un influencer della società di massa ben prima di Internet. Una star assoluta del Novecento, astro a stelle e strisce dello show-system, amico di Orson Welles e creatore di Teeko, il suo gioco del cuore, ideato e commercializzato tra la fine degli anni Trenta e il 1960. Lo adorava anche Marilyn Monroe. Sguardo sornione e mesmerico, eleganza e savoir-faire, rapidità fulminea dei gesti e nei pensieri. «Un intrattenitore insuperabile, un modello per noi maghi» aggiunge Cremona.
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Gusto dell’entertainment e numeri imprevedibili e virali: avrebbe fatto faville persino su TikTok. Un po’ come il canadese Dai Vernon, “il professore”, «l’uomo che ingannò Houdini». «Scarne è stato una colonna portante della generazione che ha rifondato l’universo illusionistico, portandolo dalla sofisticazione distante del palcoscenico all’intimità realistica del tavolo da gioco», dice Raffaele De Ritis, storico dello spettacolo e dell’illusionismo: «Capitalizzò i segreti di carte e dadi per diventare il più grande esperto planetario del gioco d’azzardo: advisor di casinò e polizie, artefice di bestseller dedicati». «Le case da gioco si contendevano le sue consulenze per difendersi e non farsi raggirare dai bari», afferma Raul Cremona. E non solo: allo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’esercito yankee lo sguinzagliò nelle sue basi qua e là sulla terra per allertare i soldati sui pericoli del gioco. La ludopatia (analogica) può provocare parecchi guai, dentro un conflitto.
Quando morì, nel 1985, il New York Times lo ricordò con le parole dello scrittore John Lardner: «Scarne è stato per il gioco quello che Einstein è stato per la fisica». Un paragone che la dice lunga sul livello di popolarità che aveva raggiunto nell’America adottiva. Eppure questa è una storia, come accennavamo all’inizio, plasticamente tricolore, che rimanda alle massicce ondate di emigrazione a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo.
Perché prima di trasferirsi nel continente nuovo, per la precisione a Steubenville dove John vide la luce il 4 marzo del 1903, i suoi genitori erano nati e cresciuti a Barrea, in provincia dell’Aquila. E dopo l’Ohio, il New Jersey. Il padre si guadagna da vivere in mille modi, per assicurare al figlio un futuro di riscatto dall’indigenza avita. Però al ragazzo la scuola sta stretta. È dotatissimo per quei calcoli matematici che gli sarebbero poi tornati utili per divinare percentuali e probabilità. Ma preferisce la strada. «Un giorno rientra a casa con le tasche piene di dollari, e alla madre che chiede come se li sia procurati, risponde: “Con il gioco delle tre carte”. In verità il bambino aveva conosciuto, ed eletto a sua stella polare, un anziano baro, che gli aveva insegnato ogni mistero della manipolazione delle carte. Un’iniziazione», spiega Geremia Mancini, cultore e “ricostruttore” di biografie di vecchi italoamericani di successo. Spesso sconosciute, come le loro radici. Per restare alla magia novecentesca, un altro mostro sacro globale è stato, per esempio, Slydini, nome d’arte di Quintino Marucci, consacrato e scomparso negli States a più di novant’anni. E di dov’era originario questo precursore di Silvan e di altre sparute celebrities del “trucco c’è, ma non si vede”, latore di innovazioni modernissime? Non New York, o Las Vegas: data e città di nascita, esattamente il 1900, Foggia.
Ma torniamo a Scarne. La madre lo striglia, gli intima di tenersi alla larga dalle truffe e dalle insidie degli ambienti ambigui. Ma non può e non vuole mortificare un talento sempre più lampante, carico di predestinazione. Lo incoraggia ad andare avanti. È la genesi del “piccolo mago”. Di lì a breve esordisce, con piglio pionieristico, nel “close-up magic”. «Gli illusionisti precedenti erano stati respinti dai teatri, per la crisi del varietà e l’avvento del cinema», continua De Ritis: «E così, verso la fine degli anni Venti, i nuovi maghi trovano lavoro tra i tavoli dei night-club o nelle case private, con clientele sofisticate e salari generosi». Addio a cilindri e conigli: ora si scommette forte. Il nostro accorcia il suo cognome in Scarne e frequenta il cosiddetto inner circle dei prestigiatori di Manhattan, «un bizzarro gruppo di persone che andavano a cercare le nuove tecniche di manipolazione a fini di spettacolo non tra gli artisti della scena, ma nelle bische clandestine o tra gli avanzi di galera». Tra i suoi clienti figurano Franklin D. Roosevelt, Lucky Luciano e Arnold Rothstein, il boss che ispirò Francis Scott Fitzgerald per Gatsby. Un demi-monde che oscilla tra i teatrini di burlesque e gli editori pulp, i chiaroveggenti e i fumettisti, la microcriminalità e i fabbricanti di scherzi e pseudo-miracoli per corrispondenza. Si riuniscono nei retrobottega dei negozietti di giochi di prestigio o si scambiano per posta segreti a peso d’oro. Nella banda, lo avevamo già evocato, c’è il giovane Orson Welles e con lui Clayton Rawson, tra gli antesignani del romanzo giallo. Ma tutt’a un tratto John Scarne si allontana da questo milieu. Ha assorbito quello che gli interessava assorbire. È il momento di assurgere a personaggio glamour e pop. Divulga i retroscena del gambling sui rotocalchi popolari, dà in pasto all’editoria di consumo gli aneddoti più disparati sulla sua vita straordinaria. Time gli riserva un ampio servizio, lo scritturano i night, i Grand Hotel, le crociere e i soliti casinò. La sua scalata alla gloria marcia inesorabile.
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Una sera sfida due slot machine contemporaneamente e vince. È ospite in tv, sul grande schermo. Si fa imprenditore di sé stesso, a capo della John Scarne Games. Pubblica decine di libri tematici: guide al poker, ai dadi, alle carte in ogni salsa. Sulle piattaforme online vanno tuttora a ruba, tra gli addetti ai lavori, volumi come “Scarne on card tricks” e “Scarne’s magic” che «raccolgono un’infinità di effetti magici basilari, indispensabili per chi, come capitò a me da ragazzo, si sta affacciando a quest’arte», conclude Raul Cremona: «Erano editi dalla Dover e costituirono una pietra angolare per la crescita e il consolidamento del nostro repertorio». Nonostante fluidi e poteri, il “mago Oronzo” non percepisce eredi all’orizzonte: «Scarne è una leggenda a sé stante». Certo, quel tipo di cartomagia andrebbe oggi storicizzato, «siamo giunti a dei vertici siderali di virtuosismo, soprattutto per merito della scuola coreana». Ma adesso ci si esibisce in un contesto asettico. La gavetta avviene direttamente sui social. Non esistono più i mattatori universali di un tempo, magari animati da una poderosa fame di rivalsa. Non c’è più brivido, né alchimia, né inganno. Se bari ti blocco, o segnalo. I like sono il nuovo “apriti sesamo”. «È inutile essere un artista se devi vivere come un impiegato», disse Henry Gondorff/Paul Newman ne “La Stangata”.