Sanità
Dalle intossicazioni alla minaccia nucleare: il Centro Antiveleni di Pavia affronta le emergenze. Con 22 persone
Il reparto specialistico degli Istituti Maugeri è una struttura d’eccellenza. Riferimento per gli ospedali di tutta Italia, si occupa in media di 200 segnalazioni al giorno. Ma sconta i guasti del sistema
A Zaporizhzhia, in Ucraina, i bombardamenti cadono a pochi metri dalla centrale nucleare. E riportano l’Europa all’incubo di Chernobyl. Mentre l’Agenzia internazionale per l’energia atomica avverte che intorno a quei reattori si gioca con il fuoco, la Russia accusa Kiev di voler utilizzare ordigni con materiale radioattivo. In questo clima di tensione, dallo scorso febbraio, gli esperti del Centro antiveleni di Pavia lavorano senza sosta proprio per essere pronti ad affrontare eventuali emergenze di tipo nucleare o radioattivo. Pur facendo i conti con un organico ridotto all’osso e con storture ataviche della sanità nostrana.
«Ci confrontiamo quotidianamente con le istituzioni governative e amministrative per prepararci a intervenire, qualora si verificassero davvero incidenti o attacchi», spiega Carlo Locatelli, direttore del cosiddetto Cav dal 1992. In pratica, sin dalla fondazione di questo polo d’eccellenza ospitato dagli Istituti clinici scientifici Maugeri. Un unicum. «In Italia esistono altre nove realtà analoghe, ma nessuna si occupa di questioni legate alla minaccia nucleare, al terrorismo, alle armi chimiche, ai disastri industriali e alle nuove droghe», continua il professore: «Noi siamo il riferimento sanitario per crisi del genere. E fungiamo da Centro nazionale d’informazione tossicologica; cioè da collettore di ogni aspetto relativo a diagnostica, cura, prevenzione e sperimentazione nell’ambito delle intossicazioni».
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Così la squadra di Locatelli affina la capacità di risposta agli scenari peggiori che la guerra in Ucraina evoca, sia per ciò che riguarda il nostro Paese sia per le misure necessarie a livello continentale: «Saremmo allertati nell’immediato. Fondamentale è comprendere che cosa sia successo, quante persone siano coinvolte e dove. Saremmo in grado di capire quali sostanze pericolose siano state diffuse e con quali conseguenze. Procederemmo con le analisi chimico-cliniche, con le diagnosi e, se opportuno, avremmo anche la possibilità di trasferire i pazienti dalla zona colpita alla nostra o ad altre strutture. Per partire con i trattamenti più urgenti».
Perciò il Cav pavese collabora con il ministero della Salute, in materia di difesa civile, e con la presidenza del Consiglio dei ministri, in particolare con i dipartimenti delle Politiche antidroga e della Protezione civile. È il solo, poi, a essere inserito in un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico come Maugeri: tra i suoi compiti, per definizione, rientra la ricerca. «A Pavia, nel 1967, sono nate la prima scuola di specializzazione in Tossicologia e la Società italiana di tossicologia», ricorda Locatelli: «C’erano le condizioni ideali per creare anche un Centro antiveleni, che via via ha sviluppato competenze specifiche. La principale consiste nel saper mettere a sistema le risorse, gestendo i rapporti e muovendosi sull’intero territorio nazionale. Un ruolo gravoso, sommato all’attività di routine».
Il telefono del Cav, infatti, squilla 24 ore su 24. Chiama chi ha mangiato tonno avariato, chi ha maneggiato pesticidi nocivi, chi soccorre bambini che hanno ingerito sostanze stupefacenti lasciate incustodite. Un modello rodato di telemedicina. «Negli anni Cinquanta, l’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato le intossicazioni come problema di salute pubblica non gestibile nei singoli ospedali e ha dettato linee guida per istituire servizi specialistici a distanza», racconta il direttore: «Pur non essendo presenti fisicamente all’esame dei loro pazienti, supportiamo i colleghi che ci contattano da tutta Italia. Le patologie riscontrate sono complesse, gli agenti che le causano sono infiniti e variabili. Il nostro personale deve essere altamente qualificato ed efficientissimo. Il servizio, dunque, ha costi notevoli. Motivo per cui nei Paesi meno ricchi stenta ad affermarsi».
In parallelo vengono garantite le prestazioni ospedaliere, con gli ambulatori e i posti letto, così come le attività d’insegnamento in diverse università, quelle dei laboratori e della centrale operativa. Una cabina di regia «delicata e protetta», sottolinea Locatelli, perché custodisce un patrimonio di conoscenze strategiche. «Nel 2021 abbiamo effettuato più di 92 mila consulenze; in media, riceviamo 200 richieste al giorno. Rappresentiamo un osservatorio epidemiologico straordinario sul piano nazionale. Siamo fonte di una casistica sterminata: raccogliamo, compariamo e forniamo dati agli enti regionali e statali, studiamo i trend delle intossicazioni per segnalare alle autorità di vigilanza situazioni di rischio». Quali? Dal dilagare tra i giovani di tentativi di suicidio con determinate sostanze al commercio di cibo contaminato.
La squadra che il professore dirige, però, è formata da 22 persone tra medici, chimici, biologi, farmacisti, tecnici: «Sono inclusi gli specializzandi, preziosi per la mole di lavoro che si sobbarcano. Dovremmo essere molti di più. Come altri comparti sanitari, soffriamo per la carenza di organico e per la difficoltà nel reclutare forze fresche. Se è vero che s’impara sul campo, è altrettanto innegabile che per resistere ai ritmi del Centro antiveleni servano doti non comuni: preparazione specifica, rapidità nel reagire e nel prendere decisioni, attitudine alla sintesi e nervi saldi. Spesso fronteggiamo circostanze ignote in emergenza».
Non solo. Secondo Locatelli, il fatto che si seguano tanti casi in poco tempo e che si sia responsabili assieme ai colleghi che si trovano sul posto comporta un’elevata esposizione ad azioni legali: «Ci vuole grande spirito di sacrificio, anche perché occorre essere sempre reperibili. La retribuzione è la stessa che viene riconosciuta per servizi ben più tranquilli. Non è corretto, occorre ripagare la fatica di ciascuno in misura equa laddove il carico sia più impegnativo».
C’è un ulteriore tasto dolente: «Non sono ancora correttamente accreditate nel Servizio sanitario nazionale le funzioni svolte dai Cav in generale. E il nostro risulta ancora più penalizzato perché, essendo interno a una struttura privata, non riceve neanche il finanziamento per il personale medico, che è invece corrisposto a quelli presenti negli ospedali pubblici. Eppure la nostra funzione è di sanità pubblica, unica e di riferimento nazionale. In pratica, per svolgerla siamo costretti a sostenerci con i fondi ottenuti attraverso i progetti di ricerca». Ricerca che costituisce vanto e onere. Il team pavese si concentra sulla tossicologia clinica, sperimentale e analitica; allo studio, per esempio, ci sono le intossicazioni alimentari e ambientali, oppure generate da farmaci, prodotti per uso domestico, alcolici, metalli rilasciati da protesi, morsi di vipera e persino da errori terapeutici.
Al Cav, inoltre, fa capo il sistema nazionale di allerta precoce per le droghe. Si monitora la diffusione di nuove sostanze d’abuso, di cui non si conoscono tossicità ed effetti, per individuare i trattamenti e i meccanismi di prevenzione. Come avverte Locatelli, «si tratta di una piaga seria tra ragazze e ragazzi, per cui condividiamo a livello sia nazionale sia europeo le informazioni raccolte». Le quali, peraltro, confluiscono in uno dei quattro database implementati dal Centro.
Oltre ai due con gli elenchi dei casi identificati e degli esami tossicologici, il più significativo tra questi è la banca dati nazionale degli antidoti. Aggiornata di continuo, consente di fare una ricognizione in tempo reale degli antidoti dislocati sul territorio e di movimentarli dal luogo più vicino all’ospedale che li richiede. Una rete telematica, a cui le strutture aderiscono in modo volontario e gratuito condividendo i dati. E il Cav di Pavia coordina pure la Scorta nazionale antidoti. In parte sono disponibili nella sua sede: «Li inviamo con l’elisoccorso o con i mezzi delle forze dell’ordine e diamo indicazioni su come somministrarli. Sono distribuiti ovunque. Con urgenza, giorno e notte, in Italia e all’estero. Siamo gli unici, per esempio, a disporre di immunoglobulina antirabbica», prosegue il direttore: «Per certi farmaci rari, invece, si è raggiunto un accordo con importanti aziende a rilevante rischio d’incidente, come il petrolchimico, le quali conservano scorte nei loro depositi e con cui cooperiamo per attività specifiche. È un modello senza pari al mondo».
Nonostante gli ostacoli, Locatelli resta «innamorato di questo mestiere eccitante. Affrontiamo cose talvolta strambe e talvolta drammatiche, ma possiamo dirci soddisfatti. Cito il fronte del terrorismo: abbiamo calibrato la nostra operatività sull’ipotesi di molteplici attacchi in città diverse e lontane; siamo più avanti di altri Paesi». Il Cav pavese, quindi, va preservato: «Innanzitutto, per le peculiarità del servizio, non è pensabile porre in discussione l’assetto nazionale. Le divisioni regionali non hanno senso per talune problematiche. E vorrei concludere con un monito. Se chiudessimo, si impiegherebbero oltre vent’anni per ricostruire l’esperienza accumulata finora. E si priverebbero i pazienti dell’ultima spiaggia, dell’ultimo presidio che può salvare le loro vite in caso di intossicazioni di difficile diagnosi e trattamento».