Si è spento a 95 Benedetto XVI, dopo una lunga malattia. La morte è avvenuta nel Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano.

È morto oggi  a 95 anni Joseph Ratzinger, 265esimo pontefice e primo papa emerito nella storia della Chiesa. La sua vita si è spenta lentamente nel monastero Mater Ecclesiae, nel cuore dei Giardini Vaticani, lì dove l’ultimo teologo del Novecento aveva scelto di ritirarsi nel 2013 pregando per la chiesa e per papa Francesco. Con lui si chiude il capitolo del cattolicesimo europeo, quello emerso dalle macerie degli ultimi totalitarismi, reso fragile dal passaggio tormentato all’era moderna. Papa Benedetto XVI ha incarnato questo: lui che, fin dalla scelta di diventare sacerdote, voleva solo mettersi all’ombra della croce, si è trovato incollate le ombre di un passato ingombrante per tradizione e per nulla assimilato dai posteri.

La svastica e la croce

La prima delle ombre era quella della Hitler-Jugend, la gioventù hitleriana a cui venne iscritto, allora 14enne, insieme ai seminaristi tedeschi. Ma gli anni della drammatica ascesa del nazionalsocialismo saranno anche quelli decisivi per Ratzinger, perché maturerà la sua vocazione. Il sacerdozio diventò per il giovane bavarese una scelta radicale, il simbolo della resistenza evangelica ai richiami del Terzo Reich. Ratzinger era appena adolescente ma maturato questa consapevolezza grazie all’esempio del vescovo August von Galen, il cosiddetto Leone di Münster che si scagliò contro Hitler. In questo buio, la fede in lui fu come una fiammella: «Ho capito lì la bellezza e la verità della fede» dirà da cardinale ricordando il suo ingresso nel seminario di San Michele. A questa radicalità, Ratzinger non rinunciò neppure quando, a 17 anni, fu canzonato per aver scelto, insieme a pochi altri seminaristi, la strada del sacerdozio mentre la gioventù tedesca veniva galvanizzata nei campi di addestramento nazisti. Fu il primo di una lunga serie di oltraggi, per lui occasioni di vita.

Il rifiuto del Sessantotto

A sei anni dalla fine della guerra, il 29 giugno 1952, mentre il mondo scopriva le immagini raccapriccianti dei campi di concentramento, Joseph Ratzinger e il fratello maggiore Georg venivano ordinati sacerdoti. Dopo pochi mesi come cappellano nella parrocchia di Monaco, Ratzinger iniziava la sua brillante carriera di professore, che lo portò dalla Scuola teologica superiore di Frisinga all’Universtà di Bonn, nella Germania ovest, ma che non gli risparmierà incomprensioni. La prima, nel Sessantotto quando, dopo una parentesi a Munster, era docente a Tubinga durante le prime proteste antireligiose degli studenti. Lascerà Tubinga per la cattedra di Teologia dogmatica a Ratisbona: «Un contesto meno agitato», disse poi, mentre dava alle stampe L’introduzione al Cristianesimo, dove i problemi della fede sono per la prima volta affrontati in chiave filosofico-scientifica. Ratzinger si dissociò dalle istanze del Sessantotto allora come nel 2019 quando, oramai papa emerito, fu criticato per averle definite espressioni di un «radicalismo senza precedenti» causa di un «collasso che ha reso la Chiesa indifesa contro i cambiamenti nella società».

Il rapporto col Concilio Vaticano II

Su Ratzinger venne, così, modellata la maschera di anti-conciliarista, malgrado egli avesse criticato la «dichiarazione di Colonia» firmata da un gruppo di professori di teologia nel 1989 e la loro «contestazione del magistero della Chiesa» di Giovanni Paolo II. Al contrario, Ratzinger non criticò mai il Concilio Vaticano II, definendolo viceversa parte di «crisi che possono sembrare terremoti, ma sono comunque salutari». Ne aveva esperienza diretta, essendo stato consulente teologico dell’arcivescovo di Colonia, Joseph Frings, che lo portò con sé a Roma. Gli anni Settanta segnarono un giro di boa nella vita di Ratzinger: la sua carriera di stimato docente universitario venne stravolta dalla nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga, il 25 marzo 1977. Un mese dopo papa Paolo VI lo creò cardinale. Così la strada del silenzio e degli studi fu sconvolta in lui che, coerente con lo spirito evangelico, cercò sempre nel silenzio quell’oasi di preghiera. Roma diventò più vicina alla Baviera, ma Ratzinger cercò di coltivare la preghiera e lo studio, malgrado gli impegni: per questo, chiederà all’amico Karol Józef Wojtyła, eletto papa il 16 ottobre 1978, di non accogliere l’invito di seguirlo a Roma. Ci ripenserà solo quando Giovanni Paolo II, reduce dall’attentato per mano di Ali Ağca, lo volle vicino, nominandolo Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede.

Dopo i no, Roma

Il 1° marzo 1982 Ratzinger assunse l’incarico di prefetto, sperando di mettere a frutto l’esperienza maturata negli anni della rivista Concilium quando, allora giovane teologo, aveva fatto parte dell’ala progressista dell’episcopato tedesco, perché contestava le posizioni più reazionario con approccio scientifico e studi approfonditi. Ma tutto questo non emerse a Roma, dove il suo ruolo da prefetto fu assorbito nei palazzi romani, restituendogli un’immagine distorta: Ratzinger l’austero, che divenne il Panzer-Kardinal, fanatico dell’ortodossia, a capo dell’ex Sant’Uffizio. Certamente, alcune posizioni dottrinali gli vengono tuttora contestate. Il matrimonio omosessuale, per esempio è per il cardinale tedesco un elemento di rottura rispetto all’Europa cristiana: «Innanzitutto mi sembra importante osservare che il concetto di matrimonio omosessuale è in contraddizione con tutte le culture dell’umanità che si sono succedute fino a oggi, e significa dunque una rivoluzione culturale che si contrappone a tutta la tradizione dell’umanità sino a oggi» ha scritto ne La vera Europa, l’antologia dei suoi testi edita da Cantagalli nel 2021. Era il novembre 1986 e il prete genovese Gianni Baget Bozzo, teologo della sessualità, scrisse su Repubblica “E Wojtyla riscopre Sodoma”, definendo inaccettabile la sua lettera ai vescovi, perché proponeva un’interpretazione restrittiva della dichiarazione Persona humana del 1975: «Sul piano strettamente spirituale, la Lettera è drammatica perché́ predica agli omosessuali la semplice rinuncia al sesso in nome della Croce. Mentre la Chiesa ritiene che la verginità̀ sia un dono e un carisma personale, la pratica di un consiglio evangelico non imposto da alcuna norma ma prodotto solo dalla vocazione della grazia, la Lettera afferma che gli omosessuali debbono rimanere vergini per natura o per destino». Le stesse contestazioni sono state avanzate, in tempi recenti, dai cattolici protagonisti del cammino sinodale della chiesa tedesca.

Teologia della Liberazione e America Latina

Negli anni da prefetto si consumò un altro braccio di ferro, che ha cristallizzato attorno a Ratzinger l’aura di teologo inflessibile: avvennero le prime frizioni con la Teologia della Liberazione, la corrente teologica nata in America Latina che legittimava la lotta sociale armata per liberarsi dal giogo delle dittature. Ratzinger avviò un braccio di ferro con il teologo brasiliano Leonardo Boff, che prese forma in due istruzioni: la Libertatis Nuntius e la Libertatis Conscientia dove il porporato tedesco definiva la visione marxista della società incompatibile col messaggio evangelico: «Aggressione radicale, spietata contro il modello istituzionale della chiesa cattolica» scrisse nel 1984, inaugurando un rapporto burrascoso con le chiese latinoamericane che recupererà solo da papa, con gli incontri della Celam nel santuario mariano di Aparecida, poi confluito nel documento omonimo, che ricalca le sue parole: «Il Vangelo è arrivato nelle nostre terre nel clima di un incontro drammatico e impari di popoli e di culture […]. I “semi del Verbo”, presenti nelle culture autoctone, resero più facile ai nostri fratelli indigeni incontrare nel Vangelo le risposte vitali alle loro più profonde aspirazioni». E proprio nelle Americhe, in Messico e a Cuba, con il suo 23esimo viaggio internazionale, papa Benedetto XVI pose fine ai suoi viaggi apostolici.

L’ultimo papa europeo

Ironia della sorte, sarà un cardinale cileno, Jorge Estevez, che alle 17:50 del 19 aprile 2005, 17 giorni dopo la morte di papa Giovanni Paolo II, annunciò l’elezione di papa Benedetto XVI. Ratzinger è l’«umile lavoratore nella vigna del Signore» che sceglie il nome di Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale e patrono d’Europa, «padre di molti popoli» come lo definì lui stesso a Subiaco: «Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, [...] a fondare Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli». L’idea ratzingeriana di rinascita dalle rovine è quella di un’Europa plasmatasi nel Medioevo attraverso le sue istituzioni: ordini monastici, concili e università, quelle di Anselmo di Canterbury e Alberto Magno, Tommaso d’Aquino e Duns Scoto. Eppure, lui che si era formato negli ambienti accademici, dovette vedere il mondo accademico scagliarglisi contro. Il 12 settembre 2006, nell’aula magna dell’Università di Ratisbona, la sua lectio magistralis sul rapporto tra fede e ragione, suscitò alcune forti reazioni del mondo islamico e dei media: «Avevo concepito quel discorso come una lezione strettamente accademica, senza rendermi conto che il discorso di un papa non viene considerato dal punto di vista accademico, ma da quello politico» ebbe poi a dire. Polemiche che ricalcano le sue parole, non i gesti, a loro modo rivoluzionari. Come quei due minuti di preghiera nella grande Moschea Blu di Istanbul, in babbucce bianche davanti al «mihrab», la nicchia di marmo che indica la direzione della Mecca.

Papa Benedetto XVI e la pedofilia

In otto anni di pontificato che sembrarono una personale via Crucis, papa Benedetto XVI affrontò un nemico interno: quella pedofilia già posta sotto i riflettori nel gennaio 2002, quando un’inchiesta del Boston Globe portò alla rimozione dal sacerdozio di 55 preti pedofili. Ratzinger aveva affrontato la piaga degli abusi dal motu proprio Sacramentorum Sanctitatsi Tutela, con cui Giovanni Paolo II assegnò tutte le competenze in materia di pedofilia alla Congregazione per la dottrina della Fede. Un calvario che non sottrasse Ratzinger dallo scrivere parole dure nell’ultima, sofferente via Crucis di Wojtyla: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute!». Eletto papa, incontrò le vittime e chiese perdono, unendo l’approccio pastorale a quello amministrativo e intransigente della tolleranza zero, poi ereditato da papa Francesco: «Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati» scrisse nella Lettera ai cattolici irlandesi. È il 2010 l’anno topico: quando tutta la stampa guardava a Roma, papa Ratzinger modificò le norme sui delicta graviora: ampliò la prescrizione da dieci a vent’anni, snellì le procedure, e inserì fra i delicta anche la pedopornografia. Intensificò, inoltre, il dialogo con le conferenze episcopali particolari attraverso linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale di minori da parte di chierici.

L’annus horribilis: il 2012 e Vatileaks

Ma è il 2012 l’annus horribilis per il papa tedesco, quando alcuni documenti riservati uscirono dalla camera del pontefice per essere dati in pasto alla stampa: lotte intestine di potere, mancata applicazione delle norme anti-riciclaggio da parte della Banca Vaticana erano alcuni dei temi scottanti che misero sotto i raggi x dell’opinione pubblica la Santa sede guidata da Benedetto XVI. Nel maggio 2012 la Gendarmeria vaticana arrestò Paolo Gabriele, aiutante di camera del pontefice autodefinitosi «infiltrato dello Spirito Santo nella Chiesa», con l’accusa di furto aggravato. Malgrado la fiducia minata da parte di Gabriele, nel frattempo condannato a un anno e tre mesi di reclusione, Ratzinger gli concesse la grazia poco prima di Natale. Nel 2012 Benedetto XVI era stanco e senza forze. Così l’11 febbraio del 2013 annunciò in Concistoro le sue dimissioni: «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». Parole che sarebbero passate alla storia: dopo otto anni di pontificato, Benedetto XVI ammetteva l’incapacità di guidare la chiesa. Il 28 febbraio, nei 15 minuti più lunghi della storia, il papa lasciò il Vaticano in elicottero, riavvolgendo il suo nastro con Roma: «Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso. Non porto più la potestà […], ma nel servizio della preghiera resto nel recinto di San Pietro» aveva detto all'ultima udienza generale. Riecheggiavano le parole del prete bavarese, del teologo che amava la preghiera e la musica. Oggi che i Giardini Vaticani sono piombati in un silenzio sommesso, si sente tutto il peso delle parole di un uomo che, malgrado tutto, ha portato su di sé la radicalità di quella Parola che reca l’infinito, mai la fine: «Il “sempre” – disse nella sua ultima udienza generale - è anche un “per sempre”».