Hanno una rigida organizzazione e rifiutano di essere assimilati ad altri nomadi. Vendono palloncini nelle fiere di paese. Una fotografa ha vissuto con loro e ne ha documentato vita, diffidenze e discriminazioni

Un progetto foto-antropologico, l’espressione dell’effimera libertà della comunità nomade dei Caminanti di Noto. Ephemeral freedom è l’esperimento socio-culturale della giovane fotografa pugliese Arianna Todisco che ha deciso di intraprendere un’avventura di quattro mesi, trasferendosi presso una famiglia di girovaghi per vivere ogni istante alla loro maniera.

 

Una quotidianità poco raccontata da immortalare con una serie di fotografie schiette e spontanee, volte a cogliere la parte sensibile degli “invisibili” nomadi siciliani, considerati gli unici continuatori di un’antica tradizione fondata ancora sulla parola, la presenza di un capogruppo anziano e matrimoni stabiliti all’interno del clan, anche tra cugini primi.

 

«Sbarcati in Sicilia alla fine del Trecento, al seguito dei profughi Arberes’h, i Caminanti netini sono caratterizzati da una costante malinconia e instabilità», spiega Arianna Todisco che ha vissuto in prima persona la difficoltà di questo popolo di 2500 persone di amalgamarsi con i siciliani stanziali. I Caminanti rifiutano di essere assimilati ad altre popolazioni nomadi e provano a scrollarsi di dosso il pregiudizio. Che resiste, nonostante tutto e si trasforma in una segregazione di fatto. «Il loro nome deriva dal termine siciliano “camminanti o camminatori”, ma non ci sono documenti etnografici che parlano effettivamente di questo popolo.

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Questi “siciliani erranti” sono gli ultimi eredi di una cultura basata sul movimento, ma rimangono “siciliani” in ogni gesto: dal culto della campagna all’abito di panno “buono” indossato per la messa domenicale, fino al modo di cucinare e disossare gli animali o alla gestualità, tipica di chi ha conosciuto l’alternanza di dominazioni diverse e che trova nel segno un formidabile strumento di comunicazione. Un mimetismo colorato che deriva dalla loro essenza errante», spiega Arianna Todisco. Ancora oggi la professione che caratterizza i Caminanti è quella di venditori di palloncini, quasi dei “commercianti” ambulanti di gioia per i bambini.

 

«Quando ero piccola e vivevo in Puglia, durante le feste patronali il corso centrale di Barletta era pieno di questi venditori di palloncini. Mio papà me ne comprava sempre uno; ricordo i sorrisi di quei venditori stranieri e la diffidenza degli adulti nei loro confronti. Da lì è nato il desiderio di partire per incontrarli», ricorda Arianna Todisco, che ha deciso di porre ad icona del suo progetto proprio il palloncino. «Inizialmente, durante il mio viaggio alla scoperta di questo popolo, ho alloggiato in un b&b di Noto per chiedere informazioni e trovarli». Ephemeral freedom si è trasformato subito in un viaggio alla scoperta di una nuova cultura, un mezzo istantaneo per raffigurare la verità di questo popolo.

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«Dapprima, facendo le mie ricerche ho scoperto che i Caminanti sono stati riconosciuti come cittadini di Noto a partire dagli anni ’80 e uno dei primi sindaci di quegli anni faceva parte della loro comunità, veicolando il riconoscimento di molti loro diritti. A Noto però non è stato semplice trovare una guida che conoscesse i loro costumi, poiché i netini non vogliono avere molto a che fare con questi girovaghi. Così ho improvvisato, chiedendo ai locali se conoscessero una famiglia di Caminanti».

 

Nell’elegante cittadina, patria del barocco, c’è un principio di coesistenza e intesa che lega questa comunità ai locali, ma non di integrazione. Dopo non poche difficoltà, finalmente, Arianna ha localizzato una comunità vicina e senza ripensamenti ha bussato alla porta di una di quelle famiglie, raccontando loro il motivo della sua visita, ovvero il desiderio di documentare dal vivo la loro quotidianità. I Caminanti hanno accolto la sua richiesta e permesso ad Ephemeral freedom di veicolare la loro voce, in una missione per esaltare l’aspetto di un’esistenza vissuta da sempre in un limbo, sostenuta da una propensione a spostarsi di continuo e mostrando a tutti la dura realtà di un popolo emarginato.

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Quella dei Caminanti è una situazione paradossale, di chi oscilla tra una tensione al viaggio e la tragicità di una realtà fissa che li emargina, eppure non si scompone di fronte alla loro presenza. La famiglia di Caminanti scelta da Arianna, l’ha subito accettata con grande entusiasmo, raccontandole molti episodi di discriminazione di cui il gruppo è costantemente oggetto, nonostante sia riconosciuto a livello burocratico. I più piccoli che frequentano ancora la scuola, sono spesso vittime di isolamento e bullismo e nella maggioranza dei casi, i genitori, a loro volta analfabeti, decidono di lasciare i figli a casa, privandoli della possibilità di completare gli studi, senza ascoltare le loro aspirazioni, ma indirizzandoli piuttosto a svolgere il loro mestiere senza formazione scolastica. «Si diventa consapevoli di che realtà si tratti, soltanto una volta entrati in contatto con loro. Nella famiglia con cui ho vissuto, la mamma e i suoi figli risentivano molto della discriminazione locale, nonostante si trattasse di un gruppo ormai stanziale, che lavora a Noto da molti anni», prosegue.

 

La giovane fotografa ha condiviso anche alcuni gesti essenziali, come la vendita nelle fiere con le bancarelle, la siesta pomeridiana o i viaggi in gruppo fuori porta con i loro furgoni camperizzati. In mezzo a racconti carichi di malinconia e rassegnazione, ci sono stati anche molti episodi divertenti di chi è capace di gioire soprattutto per le piccole cose. «Un momento buffo del mio soggiorno è stato quando una volta andai al mare con una parte della comunità e per rispetto decisi di fare il bagno con il vestito lungo. Nonostante fossi completamente coperta, presi ugualmente un’insolazione, rimanendo due giorni a letto. In quell’occasione, tutto il gruppo si preoccupò per me, prendendomi anche un po’ in giro».

 

Dopo qualche settimana insieme ai nomadi, Arianna è riuscita a trovare una chiave di lettura che potesse bene rappresentarli, innalzando ad icona proprio il palloncino che incarna perfettamente la loro condizione, un misto di spensieratezza e malinconia. «Quella dei Caminanti è un’identità fratturata e scomposta, che oscilla tra l’ideale di una vita nomade e il desiderio delle nuove generazioni di rimanere legati ad un territorio, al quale alla fine non sentono ancora di appartenere», conferma Arianna. Sensazioni simili a quelle provate da un bambino quando perde il palloncino appena acquistato, che per la sua innata volatilità cerca prepotentemente di staccarsi dal filo attaccato al polso per vagare verso altri luoghi. «Prima erano giocattolai, arrotini, stagnini, uomini e donne di fiducia, poi sono diventati venditori di palloncini, venendo inevitabilmente associati soltanto a quella determinata professione. Vivendo con loro si è creato un legame fortissimo e familiare».

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Durante la permanenza ci sono stati anche alcuni momenti difficili, conseguenza del naturale scetticismo di chi non si sente ben visto dagli altri. «I Caminanti non accettano facilmente gli estranei, perché si tratta di una rigida organizzazione. Sono un’unica e grande famiglia, ma credo abbiano capito la sincerità con la quale volevo documentare la loro quotidianità e l’abbiano apprezzata. Dopo avermi conosciuta sono sempre stati protettivi, gentili e ospitali con me», racconta Arianna Todisco. Inoltre, in seguito alla pandemia, anche il loro carattere tipicamente errante è cambiato, crescendo al contrario il desiderio di rimanere fermi in un luogo che li facesse sentire totalmente integrati, pur mantenendo intatte le antiche tradizioni.

 

La freschezza di un’esperienza di vita si è così materializzata in un libro di fotografie, ma per Arianna il passo successivo sarà l’esplorazione delle radici Arberes’h dei Caminanti in Italia e la ricostruzione della loro storia: un nuovo progetto sostenibile sulla piattaforma di crowdfunding SelfSelf, che supporta i fotografi emergenti. Ephemeral freedom è stata un’avventura doppiamente proficua, poiché ha arricchito Arianna, come artista e donna, ma anche gli stessi Caminanti che hanno avuto la possibilità di alzare la voce, senza essere giudicati, per riconquistare una piccola parte di quella considerazione cercata nel tempo e ritrovare un’identità soffocata, quale espressione di una cultura che non merita di scomparire.

 

«Prima di andare via, ho fatto loro una promessa, ovvero che avrei donato il libro fotografico che li racconta a scuole e biblioteche ed è un impegno che voglio portare avanti».