La premura di indicare il mestiere esercitato dalle vittime sembra essere prevalente rispetto al fatto che si tratta di un delitto contro le donne. E il movente sessuale per Giandavide De Pau non può prescindere dai suoi legami con l’universo criminale di Massimo Carminati

Cominciamo col chiamarlo per quello che è, e, quindi, dovrebbe esserlo anche nel lessico. Quello di Roma, definito "giallo di Prati", impropriamente per almeno due ragioni, è un femminicidio plurimo. Un triplice femminicidio. Non si capisce perché sulla fine tragica di tre donne, la pur ragionevole premura cronachistica di indicare il mestiere esercitato dalle vittime sia prevalente rispetto al punto di non considerare che le modalità del crimine - l'arma, l'impeto, l'insistita crudeltà dello sfregio, la responsabilità maschile - ricalchino in tutto l'abusato copione dei delitti contro le donne.

Non è un giallo, perché di fronte a un assassino che lascia un telefono sul luogo di uno dei delitti e finisce denunciato dalla sorella, i margini di mistero sono esigui. E il contributo delle telecamere che hanno mostrato Giandavide De Pau nei pressi dei luoghi dello scempio, resta a suggello di un'indagine lampo chiusa ben prima che il rovello si facesse largo nella testa degli investigatori. Una velocità che ha permesso al questore di Roma l'annuncio di una rassicurante tranquillità ritrovata dalla città, rispetto all'incubo di un serial killer, ovvero lo spettro di qualunque Maigret, a qualunque latitudine.

Particolare, forse secondario, ma che per amore di verità conviene sottolineare, infine, è che anche la collocazione geografica in Prati, è leggermente arbitraria per estensione. Pur avendo l'innegabile vantaggio della brevità del bisillabo, il quartiere in questione si colloca un po' più in là rispetto al triangolo in cui si è verificata la vicenda, prossima, anche simbolicamente, alla cittadella giudiziaria di Piazzale Clodio. Che, peraltro, ha una sola vocale in più.

Probabilmente, risolto il caso, restano una serie di interrogativi aperti che le ore e una buona dose di esami scientifici, oltre che testimonianze, si incaricheranno di sciogliere.

Su tutto: il movente. Perché sembra esserci un filo che lega le vittime alla donna che ha ospitato il presunto assassino prima che la sorella ne agevolasse la cattura. Non solo, per paura o connivenza, si è incaricata di procurargli un salvacondotto, ma sembra conoscesse le vittime. Quindi, ai fini della ricostruzione, pare essere persona decisiva per venire a capo di quello che ovviamente De Pau, complici i suoi trascorsi, ha tutto l'interesse a prospettare come l'evento insensato di un folle.

Cresciuto alla scuola di un capo come Michele Senese, accanto ad altri istinti, anche De Pau deve aver coltivato l'arte della dissimulazione come via d'uscita. Quell'arte che al suo mentore ha fatto guadagnare l'epiteto di “O' Pazzo”, dopo anni a giocare tra inesistenti patologie, finte diagnosi e provvidenziali ricoveri in reparti di psichiatria, con contorno di imprescindibili attestazioni di favore.

Le ore, gli esami e, si spera, altre indicazioni decisive racconteranno cosa cercasse esattamente De Pau a casa delle donne che ha ucciso. E anche perché fosse finito proprio da loro. Mandato o in compagnia di chi? La degenerazione aberrante di un criminale in ascesa, precipitato negli inferi degli assassini di donne, non sembra reggere rispetto al profilo di un intraprendente aspirante capo rimasto “orfano”  ma con una quantità di addentellati a cui offrire i propri servigi. Forte di un curriculum spesso quanto il faldone dei propri precedenti. Fatti anche di una violenza tentata su un'altra donna diverso tempo fa. Ma non solo.

Le foto di Giandavide De Pau che pubblichiamo qui (in maglietta bianca) lo mostrano insieme a Massimo Carminati (in camicia scura), fino al 2012, uno dei re di Roma, nel quadriunvirato di fatto con Senese, Carmine Fasciani e Giuseppe Casamonica.

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Ed è proprio con Carminati che De Pau, accompagnando Senese, si è ritrovato a Roma Nord nelle istantanee a corredo delle indagini sul Mondo di mezzo.

 

Quella Roma gonfia dei soldi della droga ma che non disdegna ogni impiccio utile, pronta a ritagliarsi una fetta di mediazione ovunque ci sia passaggio di soldi. Che non disdegna le estorsioni e il ricatto, che si muove verso il basso dei traffici di strada o da appartamento, che al pari della mala milanese delle bische e delle signorine, ha da tempo abbattuto ogni steccato di regole, per così dire morali, che un tempo separavano papponi e usurai dal resto del mondo. Magliana docet.

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Sarebbe per questo troppo facile liquidare De Pau come il criminale alla deriva che in preda alle proprie ossessioni, accecato da pulsioni e coca, si è accanito sul corpo di tre donne senza un perché. Converrà evitarle le semplificazioni che vorrebbero questo un femminicidio di prostitute, ultimo gradino nella già non abbastanza considerata categoria dei crimini. Liquidati, quotidianamente, con storture tipo “delitto per gelosia” o “omicidio per amore”. Ecco, evitiamo qui di fermarci al luogo comune: il “delitto per sesso”. E scaviamo negli “impicci”. Che fanno del milieu criminale romano un universo fatto di mondi in perenne contatto, dall’alto al basso e lungo il cammino inverso.

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Nella città del mondo di mezzo, fatta di più incroci di quanti ne contino le strade della capitale, anche qui i femminicidi hanno il loro contesto. Che non ha il potere di relegare a elemento secondario il fatto che di tre donne uccise stiamo parlando.