A Siena centinaia di pakistani sono rimasti fuori dalle strutture. E tra mancate ricollocazioni, burocrazia e dati mancanti, si finisce per favorire l’illegalità

L’estate appena trascorsa ha messo in luce alcune delle debolezze del sistema di accoglienza italiano. Molte sono infatti le persone che si sono ritrovate a dormire in strada, perché i posti in accoglienza non sono sufficienti. Nella piccola città di Siena (53.777 abitanti) da aprile a settembre 2022 sono arrivati oltre trecento migranti, la quasi totalità di origine pakistana.

 

Tutte le mattine affrontano una lunga fila davanti alla Questura cittadina, per capire se riusciranno a formalizzare la richiesta di asilo ed entrare in una struttura. La giornata tipo prosegue con il pasto che la Caritas fornisce e con la tappa alla Corte dei Miracoli, un’associazione che dà loro la possibilità di ricaricare il cellulare, effettuare medicazioni, reperire vestiario o semplicemente passare il tempo al chiuso. La notte invece si torna nel parcheggio della stazione, dove i volontari arrivano con il pasto e, quando va bene, con coperte aggiuntive per affrontare l’arrivo del primo freddo. Questo almeno fino alla mattina del 17 ottobre, quando la polizia municipale ha sgomberato il rifugio temporaneo.

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Nonostante non ci siano posti in accoglienza le persone a Siena continuano ad arrivare. In molti, tramite reti di connazionali, lavorano nelle campagne. «C’è stato un effetto passaparola che ha portato molti a credere che a Siena fosse più semplice entrare in accoglienza. Nonostante siano stati lasciati in un limbo di attesa dalle Istituzioni, si sono subito organizzati. In autonomia hanno prodotto una lista, condivisa con noi operatori, per ordine di arrivo per non creare ingiustizie: riesce a ottenere un posto chi è arrivato prima degli altri, dando la precedenza ai minori non accompagnati e a chi si trova in condizioni di salute precaria», racconta Cassandra Rofi, operatrice dello sportello legale della Corte dei Miracoli.

 

La totalità di loro arriva dalla cosiddetta “Rotta Balcanica” e ha alle spalle mesi, o più facilmente, anni di viaggio. Un viaggio che tutti si portano sulla pelle, in molti sotto forma di ferite: le aggressioni dei cani della polizia in Serbia e Bosnia ricorrono in molti racconti. Chi arriva è spesso in condizioni di salute precaria: la scabbia una delle malattie più frequenti.

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Le motivazioni che li hanno portati a lasciare il Pakistan sono le più disparate: povertà, mancanza di lavoro, violenza, ma anche le inondazioni che distruggono le città di provenienza. «Siamo partiti da Sargada, in Pakistan. La nostra città è stata più volte distrutta dalle alluvioni. Anche nel mese di settembre c’è stata un’inondazione, le nostre famiglie raccontano cosa accade e noi per adesso non possiamo fare niente per aiutarli perché non abbiamo soldi da inviare», raccontano Ali e Mohamed. Non manca chi racconta delle incursioni e del reclutamento forzato dei talebani. Nel Nord Waziristan, al confine con l’Afghanistan dall’estate 2021, gli sconfinamenti si sono fatti più frequenti. «Le formazioni armate arrivano e ti obbligano ad andare con loro. Chi si rifiuta fa una brutta fine. Noi siamo scappati perché non era più sicuro», raccontano altri due migranti. Anche se si dorme in strada c’è fiducia tra la neo-comunità pakistana: «È vero che dormiamo in strada ma qui ci sentiamo al sicuro».

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A preoccupare gli operatori è però l’aspetto psicologico. «Si sottovaluta la traumatizzazione. Tutti gli orrori che le persone subiscono durante il loro viaggio, parte dei quali diretta responsabilità di scelte politiche dell’Unione Europea, ricadono sul territorio di arrivo: sul sistema sanitario che in qualche modo deve assisterli, sull’inserimento nel mondo del lavoro», spiega Tommaso Sbriccoli, antropologo esperto di Sud Asia.

 

C’è poi la questione documenti: nessuno dei richiedenti asilo a Siena li ha con sé. «I datori di lavoro o le autorità li ritirano durante il viaggio, oppure sono i migranti stessi che scelgono di lasciarli prima di attraversare la frontiera per paura che vengano loro requisiti o rubati. Sul Monte Carso, in provincia di Trieste, ho avuto modo di trovare in poche ore un’enorme quantità di oggetti che i migranti lasciano prima di entrare in Italia», racconta Rofi.

 

Nel 2022 un aumento degli arrivi c’è stato ma, secondo gli osservatori, non così cospicuo da giustificare la crisi del sistema. Secondo i dati del ministero dell’Interno i migranti sbarcati dal 1° gennaio 2022 al 15 settembre 2022 sono stati 66.162, mentre erano 42.750 l’anno precedente e 21.073 nel 2020. Oltre agli arrivi via mare questa estate si è verificato un aumento via terra, ovvero dalla rotta balcanica. Incremento stimabile, secondo i dati dell’Ics (Consorzio italiano solidarietà), in un 30 per cento in più, con l’Afghanistan come prima nazionalità in arrivo. Se nel 2021 erano state 6.500 le persone che avevano ricevuto accoglienza e assistenza istituzionale dalla rotta balcanica, quest’anno siamo attorno agli 8.000. Numeri da prendere con le pinze, perché gli arrivi via terra non sono monitorati, come lo sono invece gli sbarchi.

 

«Il conteggio dei migranti dalla rotta balcanica non c’è mai stato in Italia, nonostante queste persone siano richiedenti asilo a tutti gli effetti», spiega a L’Espresso Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics, ente di tutela diritto di asilo che gestisce il sistema di accoglienza a Trieste e socio Asgi: «Noi che lavoriamo nel settore da anni ci chiediamo il motivo di questa falla. Una spiegazione potrebbe essere che queste persone arrivano non da uno Stato terzo ma da un altro Paese Schengen».

 

Oltre all’aumento degli arrivi a mettere in crisi il sistema è stata la mancata ricollocazione in altre Regioni. «Nell’anno in cui sono cresciuti gli arrivi sono crollate del 70-80 per cento le quote di trasferimento dei richiedenti dal Friuli Venezia Giulia al territorio nazionale. Gli anni scorsi, ogni due-tre giorni partiva un autobus per ricollocare le persone nelle altre regioni, cosa che non è successa questa estate. I posti in accoglienza però ovviamente non sono bastati. La Caserma Cavarzerani di Udine, ad esempio, è arrivata a ospitare 900 persone, anche se era adibita per 350. A Trieste il sistema di accoglienza diffusa, che non prevede grosse strutture, si è trovato in difficoltà e da modello virtuoso si è trasformato in un problema. E le persone sono rimaste in strada, aiutate solo dal volontariato locale. A oggi in strada ce ne sono circa 300 e metà di loro da più di un mese», continua Schiavone.

 

E chi non resta nel capoluogo friulano parte ridistribuendosi autonomamente in varie città del Centro Nord come ad esempio a Trento, Firenze, Siena. «In questo modo l’Italia sta violando il decreto 142/2015, che recepisce la direttiva europea sull’accoglienza. La legge, infatti, impone allo Stato di recepire la domanda di asilo e di farsi carico del richiedente. Quest’estate invece molte persone sono state lasciate in strada senza poter fare i documenti e senza accoglienza», spiega Schiavone.

 

Capire quanti sono effettivamente i posti disponibili è un altro punto dolente. Quello che si sa è che molte strutture in tutta la Penisola si sono ritirate dalla gestione dell’accoglienza dal 2019, anno in cui sono stati tagliati fondi, ma stabilire quanti sono i posti liberi oggi resta difficile.

 

La relazione “Diritto di asilo e accoglienza dei migranti sul territorio”, presentata dalla Camera e datata 16 settembre 2022 riporta i dati diffusi nel rapporto sul funzionamento del sistema di accoglienza di stranieri nel territorio nazionale, riferita all’anno 2019 e trasmessa a fine dicembre 2020 dal ministero dell’Interno al Parlamento. La rete della prima accoglienza era costituita da: 9 centri governativi e 5.465 strutture di accoglienza temporanea dislocate nel territorio, in diminuzione rispetto alle 9.132 del 2017 e alle 8.102 del 2018. I dati pubblici si fermano quindi al 2019. «Complessivamente tali centri ospitano la maggior parte dei richiedenti asilo, pari a 63.960», si legge.

 

Secondo un’indagine di OpenPolis, una fondazione indipendente che promuove progetti per l’accesso alle informazioni pubbliche, l’accesso ai dati sul numero di posti presenti nel 2022 «è stato negato con la motivazione che i dati sarebbero incompleti». Continua Schiavone: «Il fatto è che in Italia l’accoglienza è totalmente sottostimata rispetto alle esigenze e un aumento, anche se non così consistente, degli arrivi via terra e via mare mette in ginocchio l’intero sistema. La mia impressione è che in corrispondenza della crisi politica anche gli atti amministrativi siano stati rallentati. Non posso escludere che si volesse creare il caos che è emerso, creando l’immagine che le persone dormono in strada perché sono troppe, addossando loro la colpa di essere arrivati e non al sistema che avrebbe dovuto provvedere».

 

Il rovescio immediato di questa strategia è portare i migranti a essere invisibili (chi non viene registrato come richiedente per lo Stato di fatto non esiste) traghettandoli nell’illegalità.